domenica 21 luglio 2013

Cody Nite Rodeo

Sono le 8 della sera, il sole picchia ancora sulle teste di parecchia gente, quando si accendono le luci al “World Famous” Cody Nite Rodeo. Siamo nella pacifica cittadina di Cody, Wyoming, 53 miglia ad est del parco di Yellowstone. Citta’ del famoso “Buffalo” Bill Cody, il cacciatore, politico, showman, businessman che piu’ di ogni altra persona ha rappresentato lo spirito del West nella mente di milioni di persone.
Il rodeo sta al cowboy come la pasta all’Italia. Ed il cowboy sta al Wyoming come la pizza sta a Napoli. Sebbene pensando ad un cowboy si possa pensare al Texas – a ragione – ora quella cultura li’ a sud sta scomparendo, soppiantata in modo legale o meno da sombreri, tacos e margaritas. Messicani, insomma. Ovunque. I cowboy sono “long gone”, come si dice qui. Cosa di una volta, ricordi dei bei tempi andati, quando i cowboy radunavano le mandrie giu’ al Pecos e il saperci fare a cavallo aveva senso, valeva denaro, e magari qualche donna in piu’. Qui in Wyoming invece la cultura, l’immagine e’ ancora viva. Debole, ma sopravvive. D’altronde, il simbolo dello stato e’ il cowboy che cavalca un bronco imbizzarrito. Salutando alzando il cappello, con una mano. Cosa che un vero cowboy sa fare peraltro. Il Wyoming incarna la cultura cowboy meglio di ogni altro stato qui. E Cody e’ un ottimo posto per vedere cosa tutto cio’ vuol dire. Lo si scopre parlando con la gente anzitutto, vedendo come vivono, come lavorano sodo, come sopportano il clima e madre natura, come convivono e combattono con lei. Lo si vede visitando una fattoria, un ranch, un allevamento di bestiame. Ma lo si vede anche in un rodeo. Versione un po’ turisteggiante, ma pur sempre stampo della realta’.
Il rodeo. L’arena. Le gradinate. I corrals attorno dove vengono tenuti cavalli, tori e vitelli. E un sacco di cappelli (da cowboy), jeans, camice, cinturoni e stivali. Ovviamente. Non siamo mica a San Francisco. Per fortuna.
 
Cody Nite Rodeo, Cody, WY. Copyright Emanuele Canton, 2013

L’aria si fa frizzante quando entrano i primi contendenti per il “Bronc Saddle riding”. Cavalcare per il tempo piu’ lungo possibile un bronco infuriato, con sella. Non bareback. Speroni giu’ fino alle orecchie del cavallo – penalita’ altrimenti – una mano in aria, e via. Non una cavalcata piacevole, e nemmeno molto lunga.  
Bronc Saddle riding. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
C’e’ grande eccitamento e partecipazione per il “Team roping”. In questa specialita’ due cowboys collaborano per tirar giu’ un vitello, uno dei due prendendolo al lazo per il collo, l’altro (compito ovviamente ben piu’ arduo) cercando di catturare entrambe le gambe posteriori. A me sembra impossibile, eppure c’e’ chi riesce a farlo. Penalita’ sono assegnate nel caso di cattura di una sola gamba o di partenza anticipata, lasciando meno possibilita’ al vitello di scappare. Questa disciplina richiede una padronanza magistrale della cavalcatura, del lazo, e di un’ottima dose di tempismo. Un buon cavallo – parliamo di 30-40mila dollari di bestia – e’ una garanzia.
Team roping. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
Copyright Emanuele Canton, 2013

Quando poi si arriva ad un classico – il barrel racing – si va giu’ veloce. Scopo della competizione, lanciarsi a tutta velocita’ verso un barile, girargli attorno, virare a 90 gradi verso un altro barile, aggirarlo, fiondarsi verso un terzo barile a fondo pista (i tre barili formano un triangolo isoscele, se le mie nozioni di geometria non m’ingannano) aggirare anch’esso e fulminare il cavallo verso la linea di partenza, a tutta birra. In questa disciplina un cavallo veloce ovviamente aiuta, ma essere leggeri ancor di piu’. E’ cosi’ che vedi ragazzine di 13 anni – dico 13 anni! – spronare i cavalli al massimo, rimbalzare sulla sella mentre la bestia macina terreno, e finire in cima alla classifica. Spaventoso. Mi commuovo, perche’ io cadrei per terra, perche’ io alla loro eta’ non sapevo manco stare sui pattini (nemmeno ora lo so fare ho idea), e perche’ pensare a quanto brave siano e quanto coraggiose anche, beh.. a me fa un certo effetto. 
Barrel racing. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
Copyright Emanuele Canton, 2013

Tutti pero’, si sa, attendono la ciliegina sulla torta, l’apice del divertimento, il culmine della serata. Il bull riding! Si apprestano 6 tori che a me sembrano enormi ma che mi vien detto essere “roba tranquilla”. Un cowboy viene quasi sbalzato via dal toro ancora dentro al corral. Cacchio se saltano ste bestie. E quando si apre il cancello.. via! Obiettivo, stare in groppa il piu’ a lungo possibile, senza regole, senza limiti. Solo avere il culo appoggiato al toro. Inutile dire che durano poco i ragazzi la fuori. Ma e’ bello vedere la loro determinazione. Non invidio affatto i clown addetti a distrarre il toro appena dopo la caduta del cowboy, invece. Credo sia la parte piu’ pericolosa di tutte. Non so se preferire essere inseguito da uno di quei cosi o da un bisonte, a dire il vero.. entrambi sembrano terribilmente grossi, incazzati e pericolosi!
Bull riding. Copyright Emanuele Canton, 2013

Le due ore di rodeo scorrono in fretta, piacevoli, interessanti. A me e’ venuta una voglia matta di saperne di piu’, di imparare di piu’. Conversando con un amico texano conosciuto durante la serata, son venuto a sapere diverse cose. La vita qui non e’ tutta rose e fiori, e fare il cowboy non e’ come giocare a sparare agli indiani. Voglio provarlo in prima persona. Provero' a cercare un ranch dove, in cambio del mio lavoro, mi possano insegnare a cavalcare. E mi vestiro’ a puntino: stivali (beh, forse le scarpe da trekking faranno da sostitute), jeans levis, cintura, camicia bianca e cappello texano. Sono pronto a fermarmi qui a Cody, nella valle di Wapiti per un po’. Non ho fretta. E soprattutto, ho troppa voglia di fare il cowboy per un po’! La vita e lo stile di NY ed LA, non fa per me.

venerdì 19 luglio 2013

Rangers love me


Devo essere altamente attrattivo o altamente idiota, e non so perche’ tendo ad escludere la prima ipotesi. Sono a Grand Teton, nei pressi di Jackson Lake lodge, e sto guidando il mio truck proprio diretto alla lodge, attorno alle 9 di sera, di ritorno da un giro “a wildlife”. Per nulla produttivo peraltro. Ho i finestrini giu’, e sto ascoltando un po’ di musica a volume “California” come lo chiamo io (del tipo, alto e in barba al posto). Vedo a bordo strada, sull’altro lato, parcheggiato un pickup di un park-ranger, evidentemente di pattuglia. La velocita’ e’ quella giusta, ma non sto indossando le cinture. Non mi preoccupo nemmeno di indossarle mentre passo davanti al ranger. Voglio dire, c’mon now, siamo in un parco, sto facendo le 30 miglia orarie, il massimo danno che posso fare a questa velocita’ e’ sbucciare un ginocchio a qualcuno o graffiarmi il dito un piede. Passo davanti al ranger cantando e pompando “Cruise” dei Florida Georgia line. Pochi metri dopo, cosi’ giusto per curiosita’, do uno sguardo allo specchietto retrovisore e vedo che il ranger si mette in moto, sulla mia stessa direzione, anche se senza accendere le sirene. “Beh”, mi dico, “coincidenza. Dovra’ seguire la stessa direzione”. Poco dopo metto la freccia a sinistra per entrare sul vialetto della lodge. Anche il ranger fa lo stesso, lo specchietto mi fa notare. “Beh”, osservo nuovamente, “per quanto non mi sovvenga il motivo per cui un ranger di pattuglia debba entrare nel parcheggio di una lodge, sara’ evidentemente un’altra coincidenza”. Quando il pernicioso specchietto mi fa infine notare una serie di sirene blu e rosse che si accendono subito dietro di me – sto facendo i 15 mph, se investissi un criceto probabilmente rimbalzerei – smetto di pensare a coincidenze impossibili e accosto a destra, mani sul volante e stereo spento. Magari al ranger i Florida Georgia line stanno sulle palle. Per la prima volta, vedo che il ranger e’ in realta’ UNA ranger. Anche discretamente carina. La prima domanda che mi fa e’, con sguardo sospetto, “C’e’ qualcuno la dietro?”, indicando il retro del truck. Le rispondo che ovviamente no, non c’e’ nessun altro, a meno che non esistano persone capaci di sopportare un viaggio cosi’ penoso la’ dietro. Passa poi ad accusarmi – che presuntuosa! – che mentre la passai pochi minuti prima non stavo indossando le cinture. Io, candido come la neve, “Io? Non sia mai!”. Lei poco convinta “Sei passato abbastanza lento e ho avuto modo di vederlo”. E io di nuovo “Non penso proprio, sai, e’ abbastanza buio magari non si son viste.. sicura fosse il mio truck e non un’altro?”. La cosa piu’ scema che potessi dire. Ma ho imparato una cosa dalla vita: se devi mentire, fallo con convinzione. Me lo insegno’ un professore all’universita’ (cosa si insegna nelle aule italiane eh..), che ci disse “Se non sapete una cosa durante un esame, piuttosto che far scena muta, inventate, ma fatelo con aria convinta. Magari qualcuno vi crede”. E’ quel che spero. Sto cercando di affinare l’arte al meglio. Ad ogni modo, la ranger sembra perplessa. Mi chiede, al solito, patente assicurazione e certificato di proprieta’ dell’auto, per controllare i dati con la loro centrale, come di prassi per ogni tutore della legge che si rispetti. Sento il mio cognome scandito a lettere per l’ennesima volta (credo di essere ricercato in piu’ stati io di Al Zawhairi – o comunque si scriva). Dopo poco l’affascinante ranger torna al mio veicolo, con un sorrisetto stampato sulla bocca – che solitamente equivale ad almeno 150$ di multa – e mi dice “Allora Emanuele, sei in viaggio qui? Come sta andando finora?”. Perdo un paio di denti. Dico io, da criminale di guerra ad amico d’infanzia qui?! Le rispondo che sta andando benissimo, dove son diretto, blablabla. E lei “Wow, fantastico, ti divertirai un sacco in Alaska! Quali sono i tuoi programi poi?”. Ascesso gengivale. Sono perplesso. Ma le idee giuste le ho sempre un minuto dopo. Rispondo semplicemente alle domande, sorridendo un po’ piu’ del dovuto – ovviamente sono ancora in modalita’ “evita la multa” – per accattivarmi la simpatia della donzella. Che mi domanda dove intendevo passare la notte. Le rispondo a West Yellowstone, in qualche motel – umanamente impossibile trovandosi a un’ora e mezza di macchina dalla mia posizione attuale. Altra balla difficilmente credibile ma pronunciata con la convinzione di un testimone di Jeovah. Alla fine del dialogo, lei mi saluta dicendomi “Emanuele, buon viaggio allora e mi raccomando, le cinture!”. E io, raggiante come uno scoiattolo di fronte ad una bella ghianda, “Certo, mai tolte sia mai!”. Col naso che toccava il marciapiede.

Riprendo la strada verso nord, ovviamente non diretto a West Yellowstone ma verso il prossimo visitor center, appena 5 miglia piu’ su. Immagino ci siano diverse macchine lassu’ quindi mi sara’ facile parcheggiare e schiacciare un pisolino indisturbato. Nel mentre penso: “Deve avermi fermato soprattutto perche’ attratta da me. E’ evidente. O devo averla colpita non appena mi ha fermato. Altrimenti mi avrebbe schiaffato la multazza e non mi avrebbe certo lasciato andare con quel tono”. Chiaro. Alla sua domanda “Hai nessuna domanda da pormi?”, avrei dovuto risponderle “Si, a che ora smonti stasera?”. Solita scimmia poco intuitiva, era fatta.

Arrivo al visitor center, parcheggio alla larga dal general store e dalle docce evitando di dare nell’occhio, e mi preparo per la notte. Sistemo il truck, sposto la valanga di magliette e pantaloni semi-usati e semi-maleodoranti, e mi sdraio assonnato. Passano neanche due ore che i miei occhi si aprono sotto una forte luce. E un pugno che batte sul lato del truck. “Park ranger, c’e’ nessuno dentro?”. Ora, sarebbe un po’ scemo starsene li sdraiati immobili e pregare affinche’ il ranger se ne vada, dunque apro gli occhi e, mosse le tende oscuranti, faccio cenno che si, c’e’ qualcuno e che sto aprendo la portiera. Sono in mutande ma fa niente. Con mio enorme stupore – seguito da enorme senso di “esser fottuti” – scopro che e’ la stessa fascinosa ranger con cui avevo avuto a che fare poco prima. “Ora finisco in gabbia”, penso tra me e me. E’ abbastanza: non aver portato le cinture prima, aver mentito spudoratamente poi, e infine, non ultimo, dormire in macchina (cosa che in realta’ per quanto ne so non e’ affatto fellonia). Ad ogni modo, piu’ che accecato dalla torcia maledetta che ogni piedipiatti di sorta porta con se’, rispondo (continuando la serie improbabile di balle) che mi ero soffermato troppo ad usare il wifi, che ormai era tardi per West Yellowstone, e che avevo deciso PER LA SICUREZZA MIA E DEGLI ALTRI (la scusa numero uno, geniale, da persona assennata) di accostare qui e passare la notte qui. Alla ranger devo piacere proprio un sacco, perche’ anziche’ spruzzarmi dello spray al pepe mi indirizza invece al campeggio li vicino. “Trova una piazzola e passa la notte li, pagherai domattina. Questo e’ un avvertimento”. Grazie, magnanima. Anche se avrei preferito non esser disturbato e basta. “Mi raccomando.. buonanotte”. E se ne va, perdendosi lo spettacolo di questo pezzo di avventuriero che scende dal truck in mutande, mezzo accecato, con l’atleticita’ di un ragazzo distrutto e assonnato e risvegliato bruscamente alle 11 e mezza di notte.

Onestamente, stavolta anche se sarebbe stato piuttosto sensato, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di domandarle se potevo offrirle un drink la sera successiva. Ho proprio idea che avrebbe accettato volentieri – secondo me appena ha rivisto il mio truck ha pensato “Vediamo se stavolta si sveglia e me lo domanda”. Svegliarmi mi son svegliato, ma con la luna storta. Ti sei giocata male le tue carte, cara ranger ammaliante.

Il mattino dopo, sveglia alle 6, non penso neanche alla lontana di pagare il campeggio. Fellonia enorme. Che diavolo pero’, non era previsto. Non volevo. Non me lo posso permettere. Per me sarebbe una fellonia pagare. Guido il mio truck tra un sacco di tende, qualche campeggiatore assonnato e qualche cestino pieno. Esco alla svelta, dimenticando la nottataccia e lo sguardo della ranger. Ripenso alla serie di balle da record che son riuscito a far uscire dalla mia bocca in cosi’ poco tempo, la sera prima. Riprovevole. Mi ha fatto imparare una lezione, pero’: in linea di massima, se una ranger ti ferma e’ perche’ sei stupido, piu’ che attraente. Rimediero’ per invertire il trend.

sabato 13 luglio 2013

Magic sunrise

Stamattina ero in piedi alle 5.15 per vedere l'alba da uno dei posti piu' belli del creato. Faceva freddo, ho fatto tanta, tanta fatica a lasciare il calduccio della coperta e del sacco a pelo, e a camminare un miglio appena alzato, infreddolito e senza aver fatto colazione. Io pero' credo che la natura offra i suoi spettacoli migliori non a tutti, ma solo a quei pochi coraggiosi, temerari, intraprendenti che sopportano qualche sacrificio in piu' per andarle incontro. Che sia camminare tra gli orsi o prendersi un bel po' di freddo, essa poi ricompensa con enorme grandezza i temerari che si sono di lei fidati. Ed ecco cos'e' apparso davanti ai miei occhi questa mattina, in uno peraltro dei miei scatti meno riusciti. Quando assisti ad uno spettacolo cosi' grande, il mondo non esiste piu', non ci sono piu' problemi, liti, questioni, e l'unica cosa che senti e' una lacrima scendere sul viso.

This morning I was up at 5.15 to witness the sunrise in one of the Earth's most beautiful places. It was cold, and I had to struggle quite a lot to leave the warmth of my blanket and sleeping bag, to go hiking for a mile when just woken up, chilled and without breakfast. Yet I do believe that Nature doesn't offer its best sides to everybody, but just to those brave, reckless, daring who do sacrifice something to get closer to Her. Is it through hiking among bears or suffer cold, She then reward with no limits those brave guys who trusted Her. And that's what my eyes saw this morning, nevertheless in one of my worst shots. When you witness such a magnificent happening, the world exists no more, there ain't no troubles, conflicts, issues, and the very only thing you feel is a tear falling on your face.

The Teton range. Copyright Emanuele Canton, 2013
 

mercoledì 10 luglio 2013

The old mormon barn, Grand Teton NP, Wyoming

Left barn, late afternoon, facing north-east. Copyright Emanuele Canton, 2013

Right barn, sunrise, facing north-west. Copyright Emanuele Canton, 2013

martedì 2 luglio 2013

One of the best places I've ever seen in my life


Ci sono momenti delle mie giornate in cui l’unica cosa che posso fare, di fronte a tanto stupore, tanta meraviglia, tanta magnificenza, e’ fermarmi un attimo e farmi un bel segno della croce. Non trovo altro da fare. Non trovo utile imprecare, urlare, o semplicemente star zitto. Trovo giusto e sensato fare un pensiero, rapido ed indolore, a chi non solo ha creato tutto cio’, non solo lo ha reso a noi disponibile, ma anche a chi e grazie a chi sto facendo e vedendo tutto cio’. A Lui sono immensamente grato. Sono grato perche’ vedo cose fantastiche, perche’ gli animali (finora) non mi fanno del male, e perche’ (sempre, finora) ho incontrato solo gente per bene e benintenzionata. Oggi ho ringraziato piu’ di una volta, addirittura. Evidentemente, dovevo essere in un gran bel posto penserete, vero?

Ebbene, si. In questi due giorni Theodore Roosevelt national park, nell’estremo Ovest del North Dakota, e’ entrato maledettamente in fondo al mio cuore. Vi voglio raccontare questi due giorni vissuti costantemente con i brividi. Quelli da emozione.

Il North Dakota e’ uno stato abbastanza piatto, desolato come lo definirebbe certa gente. Io quella “certa gente” la definisco ignorante ovviamente. Io ci sguazzo in posti del genere, piu’ di una spiaggia attorno a South Beach. Passo un pomeriggio intero a guidare la US 2 West verso il parco, immerso in campi verde smeraldo, sotto un cielo piu’ blu del famoso “Blue Montana Sky”. Passo campi coltivati, distese di fiori gialli, ed il tramonto e’ dolce quando i colori si fanno tenui, il caldo del giorno lascia spazio ad una lieve brezza serale, e la palla gialla sprofonda li in lontananza, laggiu’ verso il Montana appunto. Parcheggio il mio truck nel parcheggio di un motel a Watford City, 14 miglia a nord della North Unit del parco, e dormo le mie consuete 8 ore. Riposo sereno stanotte.

Mi sveglio al mattino pronto per guadagnare la North Unit. Caccio 20 dollari di benzina in macchina, compro un sacco di ghiaccio per tener fresca l’acqua e un po’ di formaggio (questo offre di fresco la mia dispensa in giornata, altrimenti solo barattoli e pasta), e parto. Ai ranger del visitor center chiedo un permesso per il backcountry, quindi per dormire una notte in tenda. Permesso che decidero’ di non utilizzare, visto che il backcountry non e’ cosi’ back. La strada a North Unit non dista mai tanto piu’ di un paio di miglia. Un tiro di schioppo in pratica. Guido le 14 miglia dello scenic loop del parco, dove mi imbatto nella mandria di bisonti, e in qualche overlook degno di nota. River bend overlook lascia quasi senza fiato il turista che si affaccia su queste badlands inverdite da erba, cespugli e qualche piccola foresta di juniper pine. Oxbow overlook, alla fine, lo uccide del tutto. Non posso far altro che restare immobile per qualche minuto, a lasciarmi colpire e disintegrare dalla bellezza della scena. Il Little Missouri porta le sue acque verso est, e i suoi meandri all’apparenza fangosi riflettono la luce del sole, fanno splendere le colline, rendono incantato il posto. Decido di camminare fino a Sperati point, 0,8 miglia piu’ avanti, per un close-up e un posto piu’ isolato. Non mi piace avere gente intorno in questi momenti, potrebbero anche vedere un mio occhio lucido. Cammino – super attento a cosa faccio. Al visitor center sentivo di un ranger uscito al mattino e tornato dopo mezzora con 6, dico 6 zecche! Avendo gia’ avuto questi spiacevoli ospiti per 2 volte, vorrei evitare un terzo incontro, quindi cammino con pantaloni lunghi nonostante il caldo. Ho cura di infilarmi la maglietta in essi, e di spruzzare spray anti-qualsiasi-insetto-e-con-velenosissimi-prodotti-chimici-ho-idea su pantaloni, maglietta, e me stesso. Terrei lontano anche un leone affamato, nutro dubbi su zanzare e zecche comunque. Cammino evitando l’erba alta. Tengo le braccia attaccate al corpo e sollevate, a mo’ di jogging. Potrei sembrare un cretino – anzi toglierei il condizionale – ma son sicuro di poter ridurre le percentuali in questo modo, e questo e’ cio’ che conta! Arrivo al viewpoint, solo, e ammiro. Nella mia mente, mentre braccia conserte osservo badlands a destra e a sinsitra, gli strati geologici chiaramente visibili tra i rossi, gialli e grigiastri delle argille, le cime ricoperte di erba fresca pastura per bisonti, il fiume li sotto, scorrono immagini antiche. Gli indiani storici abitanti della zona. I bianchi, i Custer che realmente attorno al 1850-60 invasero la zona. Le guerre che qui intorno presero atto (la riserva indiana di Fort Berthold e’ mezzora a nord-est di qui, Standing Rock, famosa per essere stata la riserva di Toro Seduto, un paio d’orette a sud-est). Immagino i pensieri che scorsero nelle menti di Lewis e Clark, i due famosi esploratori che nel 1812-13 (se non ricordo male) esplorarono per primi il West fino alla costa sul pacifico. Si dice che i due trascorsero piu’ tempo in North Dakota che in qualsiasi altro stato. Si dice, anche, perche’ questo piu’ di ogni altro posto colpi’ i due esploratori.

Mi godo la giornata con un’altra camminata di 4,5 miglia in mezzo a badlands e qualche altro overlook in compagnia di un paio di americani dalla qui vicina Watford City. Non vediamo bisonti, i viewpoint sono piu o meno sempre quelli, ma ci fermiamo lo stesso, comunque. Sarebbe un delitto non farlo. C’e’ gente che si ferma a guardare ogni singolo grattacielo di Manhattan: perche’ diavolo non si dovrebbe (non sprecare, ma) investire qualche secondo della propria esistenza davanti a cotanta meraviglia? Uno dei miei compari americani mi racconta, tirandomi un po’ su il morale e facendomi riflettere sul fatto che non tutti i newyorkesi siano degli insulsi, che un suo amico prende l’aereo ogni estate da Manhattan per raggiungere questo parco e passarci qualche giorno. Una notizia che illumina la mia giornata ancor piu’ di quanto gia’ non lo fosse.

Decido di guidare la mia macchina fuori dal parco per la notte, scegliendo come meta Painted Desert, un overlook/area di sosta lungo l’interstate 94. Guido per un’ora con la National Grassland alla mia destra, un sacco di polverose strade rosse, emblema del “countryside” americano, che portano verso selvagge praterie e pascoli verdi. Non mi ci addentro, comunque. Proseguo, godendomi la strada, finestrino aperto, braccio fuori, musica country a tutto volume, occhiali su. Arrivo a Painted Desert, un posto decisamente curioso. E’ considerato all’interno del parco nazionale, anche se si tratta quasi solo di un overlook. C’e’ un solo sentiero che per un miglio scende e ti porta un po’ nel cuore delle badlands, e un visitor center con souvenirs sul parcheggio. Null’altro. Questo parcheggio funge anche – anzi, principalmente – da area di sosta, munita di bagni e acqua potabile. Ottimo posto dove passare la notte, per quanto mi riguarda. Il panorama e’ fantastico. Ti permetto ti andare a dormire con un tramonto da favola, e di consente di svegliarti con uno spettacolo cosi’ dolce che raramente i tuoi occhi possono assaporare. Sono ormai le 7.30, e mi preparo la cena. Un’ottimo pane vecchio di 5 giorni con 4 fette di formaggio ed un barattolo di piselli. Da Gambero Rosso. Il fatto e’ che puoi mangiare anche una merda con un po’ di sale e pepe di fronte ad un posto del genere.. e ti sembrera’ quasi commestibile. Se non passabile. Godo di un tramonto da cartolina, il vento fresco della sera che raffredda la mia pelle ancora calda dal giorno trascorso sul sentiero. La fotocamera, nemmeno in mano al piu’ bravo dei fotografi, in questo posto come in quasi nessun’altro, non saprebbe catturare appieno la magia del posto. Mi accontento dei risultati ottenuti, e decido di contemplare lo spettacolo senza foto, solo con la mia mente e il mio cuore. Vengo solo interrotto da una ragazza di origini iraniane, residente in California, che inizia a parlarmi. Non la mando via dicendole “Scusa, devo vedere il tramonto”, ovviamente. D’altro canto, un po’ di compagnia fa sempre piacere.

Il giorno dopo sono in piedi alle 6.30. Quando realizzo l’ora, apro le tendine nel truck, e vedo che ormai il sole e’ gia’ levato in cielo, impreco. Sfumati i miei piani di assistere all’alba. Per due cose, troppo sonno, e troppo presto sorge il sole. Pazienza. Mi faccio del caffe’latte al volo (dico, con acqua fredda.. sara’ un tonico quando saro’ in Alaska.. sto gia’ imprecando per questo) e decido di camminare quel miglio fino giu’ nelle badlands. Cosi’, di primo mattino alla buon’ora. Per svegliarsi fuori. Infatti rischio di finire giu’ per una collina al primo scalino. Tutto sommato arrivo giu’ senza danni, controllando tracce di bisonti e scrutando l’orizzonte. Di bisonti manco uno, ma lo spettacolo e’ grande. Il silenzio delle praterie. Il fruscio della wild sage, degli arbusti scossi dal vento. I richiami di tanti prairie-dogs in lontananza. Non posso prentedere molto di piu’ per svegliarmi in realta’. Potessi scegliere di svegliarmi cosi’ ogni giorno, saprei gia’ in partenza di avere davanti un’esistenza felice.

Per la giornata decido di inoltrarmi a South Unit e di fare una bella camminata nel cuore del parco, sperdendomi un po’ lungo qualche trail. I miei amici americani non son fatti proprio per camminare (almeno, una buona parte di loro), e mi e’ facile sfruttare questo piu’ il fatto che e’ lunedi’ per isolarmi un po’ dalla civilizzazione e dal contatto umano. Scelgo un “loop” di circa 11,5 miglia, ed inizio alle 11.30. Grandissimo cervello poi, per iniziare sotto la candela con 80F sul termometro. Il fatto e’ che per fini fotografici la luce, i contrasti che ci sono tra le 12 e le 15 non si ripetono piu’, ed anche a costo di abbronzarmi un po’ piu’ del dovuto, e di imprecare un po’ piu’ del dovuto.. corro il rischio. Cammino per 400 metri dopo il parcheggio, circondato da colline a 360 gradi e da un’enorme prairie-dog town sulla sinistra. Questi cani delle praterie (sono piccoli animaletti simili a marmotte, in realta’) scavano tane che sotto terra si estendono anche per diversi metri, lasciando il terreno in superficie coperto di innumerevoli buche che da noi condurrebbero solo a un mucchio di talpe. Piu’ o meno. Sentirli emettere i loro richiami impauriti mentre cammino in mezzo a loro, mi fa quasi provar dispiacere. Non vorrei spaventare queste innocenti creaturine in realta’. Poco dopo mi imbatto nel registro del sentiero. Decido di fermarmi e firmarlo, annotando a margine il mio itinerario. Solo un po’ di buon senso, giusto in caso. Chiudo lo sportellino metallico, lascio giu’ la penna, e nel giro di un secondo, giro un piede, faccio per alzare la testa verso il sentiero, e mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Sento un rumore, mentre appunto sto ancora alzando la testa, di zoccoli, di aria sbuffata dal naso. Esclamo ad alta voce “OH HOLY SHIT!”, e subito con entrambe le mani mi tappo la bocca, come in un film. Ho davanti a me – dico, a forse nemmeno dieci metri di distanza – un maschio di bisonte americano di circa 800 chili, coda eretta all’insu’ e sbuffante aria dal naso. Pessimo segno. Non l’avevo minimamente visto. Non tanto per deficienza mia (ma si, anche) quanto perche’ leggermente nascosto dalla vegetazione e dalla curva del sentiero. Se ne stava pacifico sdraiato nel bel mezzo della pista. Io, tempismo perfetto quanto il formaggio sul pate’ di tonno. In 0,2 secondi penso: se mi carica adesso, sono fottuto. Morto. O almeno gravemente ferito o mutilato. Se non mi carica, accendo un cerino al santo. Indietreggio lentamente, faccia al bestio, passo dopo passo. Ovviamente, non vedendo dove poggio i piedi, rischio d’inciampare malamente. Accade, e cercando di stare in equilibrio dimentico la lentezza dei movimenti per un secondo e mi dimeno per non cadere. Fortunatamente il bestio non coglie. Continuo la mia marcia all’indietro fino a che i suoi occhi non mi possono piu’ vedere. Non perche’ abbia distolto il contatto, quanto perche’ ostruito dalla vegetazione. Sudore freddo da ogni poro della pelle. “Dammit!”, esclamo sollevato. Ma l’ostacolo resta. Come proseguire? Decido di aggirare il bisonte compiendo un accerchiamento sulla sinistra, manovra avvolgente. Mi inoltro su per la collina, ignorante sul cosa si nasconda sul versante opposto. Infatti, sbucato in cima, vedo non solo un bisonte, ma il resto della mandria pascolare pacifica a un centinaio di metri da me. Porco. L’unica cosa che mi conforta e che ho il vento a favore, e finche’ non faccio il demonio di rumore e cammino tranquillo, probabilmente me la passero’ liscia. Cosi’ avviene. Quando rientro sul sentiero, ricordo di essermi detto “Ok, che questa sia la cosa piu’ wild del giorno. Sono contento per oggi. Contento di essere ancora integro.”

Mentre cammino da solo tra praterie ammantate di verde, fiori multicolore che adornano le colline, non posso non pensare alla scena idilliaca che si presento’ ai primi esploratori. Nessun sentiero, nessuna strada, nessun paletto segnalatore per le piste. Mandrie di bisonti – mandrie vere, non i 30-40 esemplari che si vedono ora – cosi’ fitte da annerire le praterie. Cervi, antilopi, qualche orso qua e la. Ebbene, c’erano anche i grizzly una volta, qui. Dev’essere stato pauroso, positivamente. Posso solo immaginare, anche se mi accontento di quel che vedo. Cammino per ore senza incontrare anima viva. Non potevo desiderare di meglio, per la mia giornata. Esploratore solitario nelle mie amate praterie del Dakota, solo tra erba, colline, e bisonti.

Quando sono ormai prossimo alla fine del sentiero, butto lo sguardo all mia destra e su una collina sovrastante, vedo un bisonte. “Toh, un bisonte”, esclamo puntando il dito verso di esso come indicandolo ad un amico immaginario. Subito dopo pero’, da un cespuglio piu’ indietro, un secondo sbuca fuori. E poi un terzo.. un quarto.. un quinto.. faccio qualche passo in piu’, e quando il sentiero gira l’angolo, vedo che l’intera mandria e’ in movimento. Non parlo di milioni di esemplari, non ne esistono al giorno d’oggi, ma vedere 40 bisonti americani in movimento fa comunque il suo effetto. Mi sono a circa 200 metri di distanza. Sembra il giusto, ma sembra ancora paurosamente poco quando sei li in mezzo al nulla da solo. Non e’ come quando sei in macchina, quando ti fermi a 10 metri a scattare foto. Non e’ come giu’ a Yellowstone (dove pure diversi idioti ogni anno vengono feriti o addirittura spediti all’altro mondo per qualche leggerezza commessa confrontando un bisonte). E quando un giovane provoca la reazione di un’adulto, e diversi capi iniziano a correre giu’ per la collina, il mio cuore inizia a battere stile “rigori finale dei mondiali”. Riprendo a camminare, veloce. Giro l’angolo ancora, e me li tolgo dalla vista. Sospiro. Pensavo, giusto prima di iniziare a camminare oggi, che i bisonti – anche se per quanto mi riguarda sono gli animali che piu’ incarnano lo spirito del West americano – sono alla fin fine solo delle grosse, forti mucche selvagge. Sto gran paio di.. Da oggi non li chiamero’ piu’ cosi’. Quando sei li’ fuori da solo a confrontarti con la natura, capisci diverse cose. Ho imparato a portare rispetto, oggi.

Tornato alla macchina, mi dirigo subito al visitor center. Ho finito l’acqua e sto morendo di sete. Una volta li riempio due bottiglie con acqua fresca, ci mischio un po’ di polvere di limonata rosa, e mi disseto felicemente all’ombra. Momento da estasi. Cerco una doccia – son 4 giorni che sguazzo nello sporco – e la trovo alle piscine comunali per 2$. Le docce piu’ fredde che mai si siano viste sulla faccia del creato. Ma funzionano sul mio corpo surriscaldato, ed anche se mi costringono a reprimere piu’ brividi (e ancora, imprecazioni) del previsto, mi lavo, mi raffreddo, e son bello che contento. Passo il resto del pomeriggio a combattere i moschini nella piccola cittadina di Medora, alle porte del parco, modesta ma carina nel suo stile west, ma inutile per me se non per la quantita’ spropositata di wifi liberi. Una miniera d’oro per un backpacker (o carpacker, come mi sto definendo ultimamente!) come me! Fatte le mie cose, faccio armi e bagagli e me ne vado. Decido di tornare allo stesso posto della sera precedente, Painted Desert, per cucinare la mia deliziosa pasta alle acciughe e per dormire stanotte. 

Ho come la sensazione che non potro’ mai averne abbastanza, di questo posto incantevole.

lunedì 1 luglio 2013

Theodore Roosevelt National Park, ND

I'll never forget the beauty of this wild land. The rolling hills of the Dakotas, the Little Missouri river that meanders through the grassy plains, the buffalo herds..  Copyright Emanuele Canton, 2013.