giovedì 16 febbraio 2012

Mai visto cosi' tanta neve in vita mia

Nella vita ci troviamo ogni tanto a dire qualcosa come “Non mangero’ mai cervello di scimmia”, oppure “Mai e poi mai provero’ simpatia verso un Genovese” o addirittura “Non mi chiamo piu’ Comediavolomichiamo se mai provero’ anche solo a pensare di spendere piu’ di Xmila euro per la mia macchina”. Ecco, una cosa che io avrei detto era invece: “Credo proprio non mettero’ mai piede a Belgrado in vita mia”.
Ebbene, come molte delle frasi perentorie, imperative che ci troviamo a pronunciare nella nostra esistenza vengono puntualmente smentite, eccomi qui all’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, in data solare 11 febbraio 2012 (nel bel mezzo di un’ondata di freddo che l’Italia ricordera’ per un bel pezzo) ad aspettare un volo per.. Belgrado! (un paese dove, se possibile, fa ancora piu’ freddo e trovero’ ancora piu’ neve).
Questa strana, insolita, strampalata meta (per quanto mi riguarda, io che ho sempre preso voli diretti ad Ovest o al piu’ a Nord) non e’ saltata fuori col classico “bendati gli occhi e punta il dito a caso sull’atlante”, bensi’ per motivi strategici che affondano le proprie radici addirittura alla notte di capodanno. Le prime ore del 2012. Un incontro cosi’, un po’ forzato, anche se casuale, due parole blaterate in inglese, una nuova, fugace amicizia. Il giorno dopo, qualche sms, il numero ricevente e’ serbo ma la comunicazione c’e’ comunque, un secondo, piu’ lungo incontro. Se il giorno prima si era nell’affollatissima piazza S.Marco a Venezia, ora ci si trovava a camminare per le deserte vie di Jesolo lido. Un ragazzo, una ragazza. Una serata fredda ma piacevole, scaldata da qualcosa che – ovviamente – va piu’ in la di due semplici chiacchiere. All’arrivederci, che forse piu’ sensatamente avrebbe dovuto essere quasi un addio (il mondo e’ grande ed il nostro tempo su di esso e’ gran poco, tutto sommato), l’idea. E se ci rivedessimo? Il si e’ di entrambi. Un saluto tenero, dolce, la fine di un bellissimo primo giorno dell’anno. No, stavolta nessuna dormita fino alle 14, nessun pranzo a base di avanzi del cenone, nessun pomeriggio in stato comatoso passato tra libri, orribili programmi tv di un pomeriggio festivo e auguri ai parenti. Solo, solo, un lento planning di una serata da passare con un quasi sconosciuta che dalla Serbia si trova in vacanza a Venezia. E la differenza tra le due alternative si sente eccome.
Non sapevo nulla della Serbia all’epoca, 1 gennaio 2012, e non sapevo nemmeno se avrei veramente tenuto fede alle mie parole. Voglio dire, dai, andro’ veramente a Belgrado – con i costi connessi - per rivedere una sconosciuta con cui tutto sommato ho solo passato una romantica serata?! Ma dai! Eh invece, pare che sia proprio vero quel detto “Le vie del Signore sono infinite” – anche se a volte un po’ fredde e ricoperte di neve. Ad ogni modo, non che ora sappia di piu’ sulla Serbia, la sua gente, i suoi posti – anzi non so un cazzo proprio, e’ quello il tragico! – so solo che voglio rivedere questa ragazza e per questo ho speso dei soldi, preso delle ferie, e sto scrivendo queste 4 righe scapestrate a narrare queste mie vicissitudini. Non sapevo allora a cosa andavo incontro: non sapevo nemmeno se la Serbia fosse uno stato o una regione di un qualche altro stato piu’ grosso (sapete, guerra di qua guerra di la, ad essere onesto non so nemmeno se siano finite le guerre da quelle parti!), non sapevo quanti abitanti avesse Belgrado.. ero scettico sulla cosa. E invece.. invece, un amicizia accettata in Facebook, qualche dialogo qua e la, sotto le coperte, prima di andare a letto, ed eccoci al punto. Si va a Belgrado. Per quanto mi riguarda, il motivo c’e’. Ok, non andro’ a visitare monumenti, non andro’ a parchi nazionali, ma trovero’ comunque il modo di passare il tempo. E’ uno di quei casi in cui preferisco la compagnia umana a quella di un fiume, di un sentiero, di un orso (in lontananza s’intende). Prenoto il volo pochi giorni dopo, ferie accordate per lunedi’ e martedi’. 4 giorni nella capitale serba. Sinceramente, non sono mai stato cosi’ felice di recarmi in un posto per me (non me ne vogliano i serbi, dico solo A NASO) cosi’ maledettamente insignificante! Non e’ quella felicita’ che provo quando so di essere di ritorno nei miei beloved United States of America, e’ una cosa diversa. Ma e’ appagante, soddisfacente, motivante in egual maniera. Partiamo, l’11 febbraio, un sabato mattina, e torniamo martedi’ 14, la notte. Una cosa imprescindibile ormai per i miei viaggi e’ quella di tornare a lavoro il giorno dopo senza un maledetto secondo di pausa, senza un riposo tonificante, senza un giorno vuoto nel mezzo. A dire il vero, non riesco a prescindere da un rientro notturno, assonnato, terrorizzato dalla bomba che mi attendera’ sul posto di lavoro il giorno dopo. Bah, fuck ‘em all. Per ora sono in vacanza, poi si vedra’.
Il fatto e’ un’altro, pero’. Chissa’ come mai – anche se io una spiegazione me la son fatta, daje e ridaje come dicono in quel di Roma – pochi giorni prima della mia presunta partenza sull’Italia e sul resto dell’Europa si e’ scatenata un’ondata di freddo polare che non si registrava da decenni. Neve ovunque, ghiaccio, strade bloccate, aeroporti in tilt, addirittura, in molti paesi (soprattutto dell’est europa) gente morta per il freddo. MA VA’! Ci avrei quasi scommesso qualcosa, su qualche disastro naturale. Se non e’ l’eruzione di un cazzo di vulcano, uno sciopero o una qualche tempesta tropicale, doveva pur essere un’ondata anomala di freddo a mettere a rischio la mia dipartita, giusto?! Neanche il finale di un film di Rocky poteva essere piu’ scontato. Le avversita’ climatiche sembrano essere un’altro sgradito compagno dei miei viaggi, a quanto pare. Ricordo benissimo i tempi del Dakota del Sud, quando in 2 mesi venni spazzato da ben 3 blizzard – quelli seri, non le nevicate e do raffiche de vento che QUI chiamano blizzard. Ma fosse solo questo, che in realta’ gia’ sarebbe abbastanza. La domenica della settimana precedente la partenza, il Super Bowl. Il giorno dopo, una stanchezza assurda. Il martedi’, alla stanchezza si aggiunge debolezza, fronte calda. Il TERRORE. Sano come un pesce per tutto l’inverno ed ora, al piu’ bello, condannato a muoversi con un clima ostile e per giunta malato. Un disastro, si profila una Caporetto dei giorni moderni. Una ritirata frettolosa dai Balcani in cerca di una maledetta aspirina, di una tachipirina e del mio letto. Avrei preso a pugni anche un sacco di cemento, dal nervoso. Mi sentivo un po’ Fantozzi, un po’ Paperino, un po’ tutti quei personaggi a cui quando si mette, non ne va dritta una neanche a pregare tutti i santi del calendario. Sembrava una maledizione. Provo a pensare a quale tra gli amici poteva avermi maledetto cosi’ tanto da causare tutto cio’, maledetta invidia che riesce a scatenare tutto questo. Ma non trovando – in apparenza – alcun rilevante colpevole grazie a Dio, torno a pensare alla soluzione. Con un cargo di vitamine e del riposo importante riesco a riportare la condizione fisica a livelli accettabili per una trasferta in Siberia. Anche se so che moriro’ congelato per strada. Ma citando Fabio, come sempre, ha creato una frase degna di nota, “E’ un rischio che sono disposto a correre”. Risolvo cosi’ il problema salute, sono pronto ad affrontare la sfida climatica. Riusciro’ a decollare da Roma? E’ quello l’ostacolo. Venezia non pare un problema, ed una volta in volo per Belgrado da qualche parte dovro’ pur atterrare (anche se i Balcani sono estesi e nonn vorrei trovarmi a Skopje o a Timisoara), dunque il problema maggiore per quanto mi concerne e’ Roma. La Roma che per 2 cm di neve chiude uffici, scuole e qualsiasi altra cosa che si possa aprire o chiudere – porte comprese. Staremo a vedere.
E’ l’11 febbraio 2012, mattina, le 7.20 quando mi sveglio. Scrivo subito all’amico Auri, sperando mi possa aiutare a conoscere lo stato del mio volo. Non risponde. Va bene, e’ uno statale e come tale stara’ probabilmente mangiando croissant alla marmellata con caffelatte facendo briciole sopra il pannello di controllo della torre.. pero’ cavolo, aiutare un amico!! Almeno quello, guadagnati lo stipendio onestamente cazzo! (So che auri non leggera’ MAI queste righe!) Dunque, mi informo presso altri siti vari ed eventuali e, tra una fetta biscottata al miele ed una alla marmellata d’albicocca, riesco a capire che il volo su Roma esiste ed e’ regolare, ma quello da Roma e’ tutta un’incognita. Incognita aggravata dal fatto che il volo precedente da Roma su Belgrado (8.00) e’ stato annullato. Sono nella merda fino ai 4 peli che crescono tra petto e collo, penso. Il che vuol dire, abbastanza. Chiamo il call-center Alitalia ma, OVVIAMENTE, la voce registrata che ti fa sentire un’idiota chiedendoti di scandire bene destinazione, orario, etc (dandoti quella sensazione tipo “Sei idiota, con chi cazzo stai parlando? Non hai mica la regina d’Inghilterra dall’altra parte della cornetta!”) non fornisce alcuna indicazione utile. Grazie per la spesa, sapevo di piu’ prima. Decido di sbattermene allegramente di tutto, e di tentare la sorte. Mi igienizzo e mi vesto alla velocita’ della luce, tiro su i miei fagotti e prendo la macchina. E’ strano, per la prima volta, partire veramente da solo. Nel senso: di solito ci sono i tuoi che ti accompagnano, di aiutano con i bagagli, ti salutano. Stavolta sei solo tu, i tuoi pensieri, ti gestisci da solo. Strana sensazione. Sembra brutto: il freddo, il ventaccio che tira fuori. Mentre carico la valigia nella mia Bravo macchiata dai residui della neve chimica, penso.. “Perche’ fai tutto cio’? Perche’ non ti sei tenuto quei soldi in conto e te ne sei stato a letto a dormire stamattina? Perche’ ti muovi quando nemmeno un lupo affamato lo farebbe, oggi?”. Ebbene.. questo sono io! Nel senso, dai ragazzi, la vita non e’ fatta per esser passata a casa, a Cadoneghe, con le stesse persone di sempre, con le stesse sicurezze di sempre, con i nostri soldi che accumuliamo lavorando, con mamma e papa’, con la ragazza sempre di fianco a noi.. no, NO CAVOLO! Soprattutto finche’ non abbiamo famiglia, non abbiamo delle rogne veramente grandi, adesso.. credo che cosi’ debba vivere, almeno io. Senza porsi limiti, senza domandarsi troppo “Ma faccio bene? Ma rischio qualcosa?”, senza preoccuparsi oltremodo. Sono comunque convinto di non far nulla di speciale, anche se qualcuno mi dice che si, non tutti farebbero quel che sto facendo, non avrebbero il coraggio, la voglia, il tempo, la pazienza e molte altre cose. Il fatto e’, ancora una volta, che io la vedo cosi’: se lavoro e ho qualche soldo, perche’ non mettersi in gioco e conoscere, girare, esplorare. Stavolta non esplorero’ parchi nazionali, fiumi, laghi, montagne, sentieri. Stavolta conoscero’ gente. Stavolta voglio passare del tempo con una persona, in un paese che non e’ il mio, in un contesto per me insolito, senza sapere assolutamente nulla di dove finiro’, di dove staro’, di come staro’. Ma a me tutto cio’ piace lo stesso. Credo sia insito in me ormai, il gusto di scoprire. Un po’ come quando sei bambino e ti appresti a scartare il tuo regalo di Natale.
La Bravo, nonostante il clima rigidoo, parte che e’ una meraviglia e mi porta in breve al casello autostradale per Venezia. Fuori il tempo e’ veramente orso. Lo mitigo un po’ mettendo su del buon country che mi rallegra, mi fa canticchiare qualcosina. E’ importante, il morale, lo dice sempre anche il mio guru Bear Grylls. E spesso – anche se a molti non sembra – non dice stupidate, anzi. Tante cose si applicano non solo ad un uomo che cerca di tirarsi fuori dalla giungla amazzonica o dalle Rockies canadesi, ma anche ad una persona che parte per un viaggio. Absolutely. Con l’ausilio del navigatore sul cellulare (Dio benedica quel giorno che l’acquistai, mi ha tolto parecchie grane direzionali!) giungo a destinazione in breve tempo e son pronto a parcheggiare la macchina e dirigermi in navetta verso l’aeroporto. Bello no, stile Mamma ho Perso l’Aereo: non mi vengono a prendere a casa, pero’ mi parcheggiano la macchina, mi fanno salire nel furgoncino e mi portano a destinazione. Il bello e’ che cosi’ non scomodo nessuno, non devo sottostare a baci abbracci e puttanate varie dei saluti pre-viaggio (avessi, che so, Gisele Bundchen che mi viene a salutare all’aeoporto, ancora ancora..) e mi sento incredibilmente autonomo. Come ai famosi tempi della riserva, quando portavo in casa sotto un vento sferzante 4 o 5 buste della spesa piene per non dover fare un altro giro in macchina. Ero forte! Rinchiuso nei miei pensieri, tutto sommato allegro, con il piglio giusto, a dispetto delle condizioni meteorologiche avverse, arrivo al Marco Polo dove in velocita’ domando se il mio volo e’ regolare – e di cio’ mi danno conferma, con mia piena soddisfazione! – per poi fiondarmi a cannone al bagno, per la solita, irrununciabile pisciata fiume pre- check-in. E’ piu’ forte di me, gli aeroporti mi stimolano. Esco dal locale adibito a svuotare le vesciche con un sorriso a 34 denti (dente piu’ dente meno) che vuol dire qualcosa del tipo “Ragazzi che pisciata oh!”. Mi accomodo alla fila per il check salutando i tifosi giunti da mezza Italia per salutare la mia partenza. Qualcuno mi lancia della frutta per donarmi vitamine preziose per il viaggio (iperbole dell’autore). Ad un certo punto arriva Adriana, che mi scongiura di non partire. “E’ una cosa che deve essere fatta Adrian”, le dico, e mi volgo con sguardo pensieroso alle barriere d’ingresso. Ormai e’ fatta. (Anche questa, un’iperbole dell’autore rievocante un celebre film che sara’ menzionato piu’ volte) Giunto al gate prescelto, estraggo il mio libro da viaggio – non proprio un tascabile o un oscar da 200 pagine, quanto una mattonella di 540 pagine pure piuttosto ingombrante. Un libro da viaggio intorno al mondo direi. Non posso leggere in pace per 5 minuti, che sono bruscamente interrotto dall’arrivo di due coppie di petulanti signori sessantenni, veneti, impellicciati, saccenti. Tra un commento sul ritardo dei voli (circa un’ora), e un commento su Roma, sulla neve, e sulla figlia anch’essa onniscente a quanto pare, sono fortemente tentato di dar fuoco ai loro preziosissimi mantelli pelosi. Ma non volendo trascorrere i 2 giorni di ferie in gattabuia, freno a stento questo palese istinto. Istinto che si ripresenta gagliardo 10 minuti dopo, quando la mia lettura viene interrotta stavolta da un assolo musicale. Spero per voi non vi capiti mai di vivere una scena del genere, perche’ potreste non sopravvivere alla recrudescenza canora in scena. Una delle due signore sessantenni, a quanto pare colta da insolita (e ignominiosa, vista l’eta’) giovinezza, si improvvisa Rihanna e canticchia le note di “Umbrella”. Vi giuro, credo che la sensazione provata sia qualcosa come entrare in un cesso chimico e trovarlo traboccante di assorbenti usati, chili di merda ed un gabbiano che scava tra i rifiuti. Indescrivibilmente da brividi. E mentre rabbrividisco senza controllo, tengo presente la scena al mondo grazie alla tecnologia dei telefoni, che tramite internet riescono a connettere persone ovunque allo stesso istante. Gran cosa la tecnologia, talvolta. Bisogna solo scovarne il lato utile e sgrassarlo dalle tante applicazioni futili. Prima di chiudere il libro, ne traggo ispirazione per una targa. Si, la targa della mia prossima automobile. Negli USA il cittadino puo’ “comprare” una particolare targa semplicemente presentandosi all’ufficio preposto e presentando il nome che intende usare per la propria. Molto semplice. Io usero’ questo: IDGAF. Non sembra voler dire un cazzo in effetti. Vi do uno spunto: la mia interpretazione inizierebbe per “I don’t give”. Il resto completatelo voi.

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