mercoledì 22 dicembre 2010

Macchine & cowboy gay

Correndo verso casa però, noto che si accende qualcosa sulla plancia elettronica della macchina, sopra il volante. E’ un poco rassicurante segnale che ci invita a provvedere un cambio di olio del motore al più presto. Non essendo pratico di tali questioni meccaniche, per quanto mi riguarda potevo anche rischiare di rimanere a piedi nel giro di dieci minuti. Usando il raziocinio però, pensai che nessun ingegnere così imbecille avrebbe potuto progettare una macchina che ti lascia a piedi senza olio motore nel giro di sì breve tempo, quindi ripresi morale ed arrivai alla prima stazione di servizio utile, poco oltre Fishing Bridge. Lì proviamo a contattare telefonicamente la compagnia di noleggio auto, impresa che si rivela impossibile anche per un’ottima conoscitrice della lingua inglese come la mia compagna di viaggio, che fa fatica a selezionare l’opzione giusta del disco registrato e conclude alla fine in un nulla di fatto, persa tra i meandri dell’opzione 1.2.2.3.1.1,5 e la 1.2.2.3.1.1,7. Mi avvio deciso all’interno dell’officina dove vengo ricevuto dal meccanico, il quale mi dice che per quel lavoro avrei dovuto aspettare 45 minuti – giusto il tempo esecutivo – e sganciare altrettanti verdoni. Un po’ troppo per entrambe le cose giudicai, tempo in particolare, quindi decidemmo di guidare, speranzosi di arrivarci, fino al motel dove avevamo prenotato le successive due notti: lo Yellowstone Valley Inn di Cody. Non che il posto si trovasse esattamente in città, ma lo scoprimmo a posteriori. Era in realtà a venti miglia circa dalla pittoresca cittadina che deve il nome al famoso Buffalo Bill Cody, di cui parlerò in seguito. Noi non sapendolo, acceleriamo l’andatura, avendo perso tempo prezioso tra coyote e spaventi meccanici. Scendendo tra le ripide e tortuose curve che dal Sylvan Pass portano verso la valle dello Snake River, i freni lavorano duramente. Così duramente che, talvolta, la macchina sembra stia correndo sulle traversine della Union Pacific Railroad. Invece, sta solo frenando a manetta. Mentre penso alla mia macchina stile treno e mi immagino un po’ macchinista, vedo materializzarsi in mezzo alla strada un cipmunk. Corre fino a piantarsi nel bel mezzo della corsia in cui noi scendevamo veloci. Dentro di me penso “Bisogna evitarlo”, e muovo le ruote in modo tale da poter passare sopra l’inerme creatura senza ridurla in poltiglia. La suddetta creaturina però, deve aver pensato qualcosa, qualcosa di molto simile a ciò che ho pensato io. Quindi, riprende a correre verso destra, per uscire dalla strada. In questo modo, suo malgrado, va incontro a morte certa. Fu così che finì esattamente sotto la mia ruota anteriore destra, spiaccicato dalla mia Chevrolet Impala, facendomi diventare un assassino di wildlife già al mio terzo giorno di vacanza. Macchio di rosso la mia fedina penale. Rimango quasi scioccato, di fronte alla vita che ho interrotto. Una povera bestiola che pochi secondi fa mi guardava impaurita ora giaceva esanime e parte integrante dell’asfalto. Brutta storia. E con lo stato d’animo di un killer che si chiede il perché delle sue azioni, imbocco una strada che Roosevelt, non so con quanta cognizione di causa, definì con “le 52 miglia più panoramiche degli Stati Uniti”.
Ora, non che io abbia visto tutto il paese, ovvio. Non che io abbia una gran cognizione dunque, di ciò che può esser considerato il posto più panoramico degli USA. E altrettanto non pensavo che quelle steppe semiaride, assomiglianti un po’ alla mia idea di Arizona, con formazioni rocciose aguzze talvolta e arrotondate altre, che fungevano da pareti di un canyon al cui interno giaceva la strada, potessero essere un posto così degno di nota. Col passare delle miglia però, capii il perché. La terra lì, di un giallo scuro che contrasta alla perfezione con le ombre del tramonto, esala un fascino profondo, di pace, che il viaggiatore può assaporare miglio dopo miglio. Non è mai uno scenario uguale, cambia con l’avvicendarsi di ogni roccia, di ogni vetta. Ci sono degli alberi di un verde acceso che cambiano il giallore delle alture. Le nuvole scure, ma rade, maculano il cielo delle cinque e mezza di pomeriggio, che si appresta ad imbrunire, e rendono lo sguardo verso le rocce ancor più degno di interesse. Scattando una foto, ti rendi conto ancor più di quanto colore, quanta diversità, quanta splendida magnificenza porti con sé quel pezzo del paese. Questa vallata angusta poi, conduce verso la terra aperta, dove lo Snake River abbandona il suo letto coperto dalle rocce e si snoda sulla prateria. Le due catene montuose si allargano per lasciar spazio alla campagna, a qualche casa e qualche piccolo villaggio. Addirittura una scuola. Sembra di vivere, architettura degli edifici a parte, 150 anni indietro. Cullati dal sole che dolcemente si avvia dietro le montagna più alte e lontane, giungiamo al nostro motel, che è in realtà un complesso che sorge, indisturbato, nella valle. Al suo interno comprende una trentina di cabins, piccole unità abitative grandi poco più di una camera di motel, piazzole per camper contrassegnate da vere e proprie vie, una sauna, una piscina, e l’edificio più grande, al centro, che ospita la reception, il bar ed il ristorante. Avremmo potuto mangiare appena finita la doccia, uscendo in ciabatte e senza dover mettere il culo in macchina! Molto piacevole, mi attirava un sacco come idea. Stanchi, ma con spirito positivo, arriviamo alla reception dove ci accoglie, sorpresina, un cowboy gay. Qualcuno si metterà a ridere, qualcuno lo prenderà come uno scherzo, qualcuno non ci crederà, ma è così. Sebbene il cowboy non sia proprio il tipo di persona che solitamente si scopre essere omosessuale, così ci capitò. E fu piuttosto strano sentir spiegata la strada verso Cody con gesti piuttosto femminili ed una vocina suadente, che a Raffaella faceva un po’ ridere ma che a me, l’interlocutore, lasciava un po’ intimorito. Superato questo chiamiamolo imprevisto, prendiamo le chiavi di “casa” ed entriamo nella cabin. Abbiamo anche saputo, grazie alla gentilezza del gayboy, avremmo dovuto recarci all’aeroporto di Cody per sostituire la vettura con una nuova, con una fornita di olio. Bella merda. Danno auto ai turisti per un sacco di soldi, e per giunta senza olio. Il cambio olio si fa una volta ogni 4-5000 miglia, perché diavolo mi ritrovo senza dopo 1200 non lo so. Sapendo bene che mi sarei lamentato allo sportello debito, una volta giunto in aeroporto, mi metto in tasca la cosa e penso a farmi una doccia, anzi, prima di tutto, ad aprire la porta di casa. Quanta semplice felicità nel vedere le pareti di legno accoglienti, la stanza modesta ma comoda e funzionale, il bagno in condizioni più che accettabili a dispetto di ciò che uno potrebbe pensare. E quanta profonda gratitudine nel potersi gettare di slancio sul morbido lettone queen size che ti si prospetta di fronte. Una potenza!

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