giovedì 2 dicembre 2010

9. Primi incontri con i plantigradi

Lasciammo la colazione, il negozio, ed i mille gadget esposti, alla volta di qualche piccola escursione. Era il giorno in cui avremmo dovuto girare tutto il parco e fermarsi nei posti più alla mano, più famosi, più camminabili. Come prima meta scegliemmo le Lower Falls. Sono delle cascate sul fiume Yellowstone che devono il loro nome al fatto di avere delle sorelle posizionate un po’ più a monte del fiume (Upper Falls, per l’appunto), ma a dispetto della posizione geografica e del nome diminutivo, sono più alte delle sorelle, che raggiungono circa 35 metri. Le Lower infatti, gettano l’acqua del fiume verso un salto di 92 metri! Ed essendo lo Yellowstone un fiume, più che un torrente, lo spettacolo è assicurato. Noi scendemmo per il percorso pedonabile che porta dal parcheggio alla bocca delle cascate, e ci trovammo di fronte ad uno scenario che sembrava dipinto: l’acqua azzurra dello Yellowstone che si getta a precipizio, diventando bianca, nella gola che il fiume stesso ha scavato con i millenni. Essa, a strapiombo tra due pareti di roccia giallo-oro che guadagnano una tinta arancione crescendo in altezza, corre tra le montagne e si insinua nel territorio del parco, percorrendolo verso oriente. Sulle cime dei fianchi infine, verdi alberi ricoprono le vette, protendendosi verso il grande, sconfinato cielo azzurro che noi italiani non siamo abituati a vedere. La reazione è quella di prendere una sedia, comoda, una tazza di tè, e accomodarsi lì per passare un paio d’ore in contemplazione di quello spettacolo magnifico della natura. Cosa purtroppo irrealizzabile, a patto di mandare all’aria i programmi futuri per la giornata. Lasciamo a malincuore il posto, per raggiungere invece la parte nord del parco. La meta era Tower Roosvelt, il distretto nord-orientale del parco. Lì, lasciamo la macchina e facciamo due passi fino alle Tower Falls (niente di che e piuttosto affollate – due deficienti combattono per chi fa la foto migliore con la macchinetta migliore, sfida alquanto stupida perché era come fotografare un merlo quando di fianco hai un’aquila). L’aquila in questione era il fiume Yellowstone che in quel punto da, secondo me, il meglio di sé. Scorre al solito impetuoso in una vallata più ampia, con rive larghe e parzialmente ricoperte da sassi bianchi e ocra, che non stonano comparati alle montagne circostanti. Che pace laggiù, con la copertura dei boschi alle spalle, il fiume e le vette di fronte, e l’acqua che tinge di un blu profondo la piatta colorazione chiara della terra. Solo i soliti giapponesi stramazzanti con i loro schiamazzi, le loro fotografie fatte malissimo e la loro foga turistica possono rovinare un simile idillio. Ma, anche il tempo è tiranno, ed in questo caso è lui il giapponese. Dobbiamo tornare su, al parcheggio, giusto in tempo per assistere a due eventi naturalistici. Il primo, notato acutamente da Raffaella, è una famigliola di cerbiatti che bruca erba nella boscaglia. Sono animali un po’ sempliciotti secondo me: infatti, cogliendo l’occasione al volo, mi ci avvicino, badando a non calpestare rami o far franare sassi, insomma, badando a non far rumore e a tenermi sottovento. Gli sono a due metri di distanza in un minuto. Ed ecco che ho, a questa distanza, due piccoli Bambi e, poco più indietro, la loro mamma. Mangiano l’erbetta a loro agio, fissando ogni tanto me e la mia reflex come stessero pensando “Farsi gli affaracci suoi no eh..”.
E’ emozionante. Alla fine, sono cose che ad un italiano non capitano spesso, eccetto quando si va allo zoo, ed anche li c’è la recinzione che ti separa dalla natura. Quella invece è WILDlife. Selvaggia, vive allo stato brado. E’ quello il bello. E’ come pescare un pesce in una vasca da bagno, o pescarlo in mare. Tutta un’altra cosa. Il secondo evento invece, è di quello che contraddistingue le giornate. Si trattava di un orso, finalmente.
Mentre aspetto Raffaella, recatasi ad espletare un piccolo bisognino, girovago nel parcheggio, e alla fine decido di eliminare uno degli strati dell’abbigliamento “a cipolla”. Parentesi. Ci si veste a cipolla a Yellowstone, ovvio. Come in montagna. Stai con maglietta, dolcevita e maglione fino almeno alle 10 di mattina. Poi, qualche volta, ti togli il maglione, o se fa freddo, ti tiri semplicemente su le maniche. Verso le 11 però inizia a far caldo, se splende il sole, e allora parte il primo layer. Quel giorno fu il caso del maglione. Spesso poi, si arriva a stare in maniche corte fino alle 7 di sera. Sempre posto che il sole sia alto nel cielo. Se il giorno è umido, piovoso, o peggio, nevoso, la cipolla rimane integra fino a fine giornata.
Stavo dicendo, mi tolgo il maglione, lo deposito in macchina, e mi godo qualche secondo di canottiera, prima di rinfilarmi il dolcevita. Si sta bene, il sole scalda e un po’ di contatto con l’aria frizzante di lassù è sempre piacevole. Poi però vedo un piccolo assembramento di gente sul bordo del parcheggio prospiciente al bosco. Indicano qualcosa giù, dove il terreno degrada con pendenza di circa il 35-40% verso il letto del fiume, trecento metri in basso. Inizialmente vedo solo erba alta, qualche albero, e nient’altro. Chiedo alle persone ed un francese, con un inglese molto storpiato dalla pronuncia della loro madre lingua, mi dice che il suo amico asserisce di aver visto un orso nero, al contrario di lui, che deve ancora avvistarlo. Rimaniamo lì, per qualche secondo, fino a quando le canne e le erbe più alte iniziano a muoversi di brutto, segno evidente della presenza di qualcosa. In pochi attimi, ecco materializzarsi una grossa macchia scura, passo pesante, deciso: era proprio un orso nero! Gli eravamo a circa una ventina-venticinque metri (per conoscenza, le regole dei parchi dicono che orsi e lupi dovrebbero essere rispettati di una distanza di almeno 90 metri), ma in posizione piuttosto sicura, protetti dalla pendenza del terreno, dal numero di persone accalcate, e dalla vicinanza di vetture e albergo. Guardiamo il bestione, anche se al cospetto di un grizzly sarebbe quasi un piccoletto, passeggiare parallelamente a noi, offrirci lo spettacolo naturale tra i più belli che lo Yellowstone possa offrire, e dirigersi infine verso il fiume. Verso la pista. Già, pensammo con Raffaella, proprio verso la pista che cinque minuti fa stavamo risalendo noi! Bel tempismo! Chissà quei poveracci che stavano rientrando allora: avrebbero potuto trovarsi faccia a faccia con l’orso.

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