Ci sono momenti delle mie giornate in cui l’unica cosa che
posso fare, di fronte a tanto stupore, tanta meraviglia, tanta magnificenza, e’
fermarmi un attimo e farmi un bel segno della croce. Non trovo altro da fare.
Non trovo utile imprecare, urlare, o semplicemente star zitto. Trovo giusto e
sensato fare un pensiero, rapido ed indolore, a chi non solo ha creato tutto
cio’, non solo lo ha reso a noi disponibile, ma anche a chi e grazie a chi sto
facendo e vedendo tutto cio’. A Lui sono immensamente grato. Sono grato perche’
vedo cose fantastiche, perche’ gli animali (finora) non mi fanno del male, e
perche’ (sempre, finora) ho incontrato solo gente per bene e benintenzionata.
Oggi ho ringraziato piu’ di una volta, addirittura. Evidentemente, dovevo essere
in un gran bel posto penserete, vero?
Ebbene, si. In questi due giorni Theodore Roosevelt national
park, nell’estremo Ovest del North Dakota, e’ entrato maledettamente in fondo
al mio cuore. Vi voglio raccontare questi due giorni vissuti costantemente con
i brividi. Quelli da emozione.
Il North Dakota e’ uno stato abbastanza piatto, desolato
come lo definirebbe certa gente. Io quella “certa gente” la definisco ignorante
ovviamente. Io ci sguazzo in posti del genere, piu’ di una spiaggia attorno a
South Beach. Passo un pomeriggio intero a guidare la US 2 West verso il parco,
immerso in campi verde smeraldo, sotto un cielo piu’ blu del famoso “Blue
Montana Sky”. Passo campi coltivati, distese di fiori gialli, ed il tramonto e’
dolce quando i colori si fanno tenui, il caldo del giorno lascia spazio ad una
lieve brezza serale, e la palla gialla sprofonda li in lontananza, laggiu’
verso il Montana appunto. Parcheggio il mio truck nel parcheggio di un motel a
Watford City, 14 miglia a nord della North Unit del parco, e dormo le mie
consuete 8 ore. Riposo sereno stanotte.
Mi sveglio al mattino pronto per guadagnare la North Unit.
Caccio 20 dollari di benzina in macchina, compro un sacco di ghiaccio per tener
fresca l’acqua e un po’ di formaggio (questo offre di fresco la mia dispensa in
giornata, altrimenti solo barattoli e pasta), e parto. Ai ranger del visitor
center chiedo un permesso per il backcountry, quindi per dormire una notte in
tenda. Permesso che decidero’ di non utilizzare, visto che il backcountry non e’
cosi’ back. La strada a North Unit non dista mai tanto piu’ di un paio di
miglia. Un tiro di schioppo in pratica. Guido le 14 miglia dello scenic loop
del parco, dove mi imbatto nella mandria di bisonti, e in qualche overlook
degno di nota. River bend overlook lascia quasi senza fiato il turista che si
affaccia su queste badlands inverdite da erba, cespugli e qualche piccola
foresta di juniper pine. Oxbow overlook, alla fine, lo uccide del tutto. Non
posso far altro che restare immobile per qualche minuto, a lasciarmi colpire e
disintegrare dalla bellezza della scena. Il Little Missouri porta le sue acque
verso est, e i suoi meandri all’apparenza fangosi riflettono la luce del sole,
fanno splendere le colline, rendono incantato il posto. Decido di camminare
fino a Sperati point, 0,8 miglia piu’ avanti, per un close-up e un posto piu’
isolato. Non mi piace avere gente intorno in questi momenti, potrebbero anche
vedere un mio occhio lucido. Cammino – super attento a cosa faccio. Al visitor
center sentivo di un ranger uscito al mattino e tornato dopo mezzora con 6,
dico 6 zecche! Avendo gia’ avuto questi spiacevoli ospiti per 2 volte, vorrei
evitare un terzo incontro, quindi cammino con pantaloni lunghi nonostante il
caldo. Ho cura di infilarmi la maglietta in essi, e di spruzzare spray
anti-qualsiasi-insetto-e-con-velenosissimi-prodotti-chimici-ho-idea su
pantaloni, maglietta, e me stesso. Terrei lontano anche un leone affamato,
nutro dubbi su zanzare e zecche comunque. Cammino evitando l’erba alta. Tengo
le braccia attaccate al corpo e sollevate, a mo’ di jogging. Potrei sembrare un
cretino – anzi toglierei il condizionale – ma son sicuro di poter ridurre le
percentuali in questo modo, e questo e’ cio’ che conta! Arrivo al viewpoint,
solo, e ammiro. Nella mia mente, mentre braccia conserte osservo badlands a
destra e a sinsitra, gli strati geologici chiaramente visibili tra i rossi,
gialli e grigiastri delle argille, le cime ricoperte di erba fresca pastura per
bisonti, il fiume li sotto, scorrono immagini antiche. Gli indiani storici
abitanti della zona. I bianchi, i Custer che realmente attorno al 1850-60
invasero la zona. Le guerre che qui intorno presero atto (la riserva indiana di
Fort Berthold e’ mezzora a nord-est di qui, Standing Rock, famosa per essere stata
la riserva di Toro Seduto, un paio d’orette a sud-est). Immagino i pensieri che
scorsero nelle menti di Lewis e Clark, i due famosi esploratori che nel 1812-13
(se non ricordo male) esplorarono per primi il West fino alla costa sul
pacifico. Si dice che i due trascorsero piu’ tempo in North Dakota che in
qualsiasi altro stato. Si dice, anche, perche’ questo piu’ di ogni altro posto
colpi’ i due esploratori.
Mi godo la giornata con un’altra camminata di 4,5 miglia in
mezzo a badlands e qualche altro overlook in compagnia di un paio di americani
dalla qui vicina Watford City. Non vediamo bisonti, i viewpoint sono piu o meno
sempre quelli, ma ci fermiamo lo stesso, comunque. Sarebbe un delitto non
farlo. C’e’ gente che si ferma a guardare ogni singolo grattacielo di
Manhattan: perche’ diavolo non si dovrebbe (non sprecare, ma) investire qualche
secondo della propria esistenza davanti a cotanta meraviglia? Uno dei miei
compari americani mi racconta, tirandomi un po’ su il morale e facendomi
riflettere sul fatto che non tutti i newyorkesi siano degli insulsi, che un suo
amico prende l’aereo ogni estate da Manhattan per raggiungere questo parco e
passarci qualche giorno. Una notizia che illumina la mia giornata ancor piu’ di
quanto gia’ non lo fosse.
Decido di guidare la mia macchina fuori dal parco per la
notte, scegliendo come meta Painted Desert, un overlook/area di sosta lungo
l’interstate 94. Guido per un’ora con la National Grassland alla mia destra, un
sacco di polverose strade rosse, emblema del “countryside” americano, che
portano verso selvagge praterie e pascoli verdi. Non mi ci addentro, comunque.
Proseguo, godendomi la strada, finestrino aperto, braccio fuori, musica country
a tutto volume, occhiali su. Arrivo a Painted Desert, un posto decisamente curioso.
E’ considerato all’interno del parco nazionale, anche se si tratta quasi solo
di un overlook. C’e’ un solo sentiero che per un miglio scende e ti porta un
po’ nel cuore delle badlands, e un visitor center con souvenirs sul parcheggio.
Null’altro. Questo parcheggio funge anche – anzi, principalmente – da area di
sosta, munita di bagni e acqua potabile. Ottimo posto dove passare la notte,
per quanto mi riguarda. Il panorama e’ fantastico. Ti permetto ti andare a
dormire con un tramonto da favola, e di consente di svegliarti con uno
spettacolo cosi’ dolce che raramente i tuoi occhi possono assaporare. Sono
ormai le 7.30, e mi preparo la cena. Un’ottimo pane vecchio di 5 giorni con 4
fette di formaggio ed un barattolo di piselli. Da Gambero Rosso. Il fatto e’
che puoi mangiare anche una merda con un po’ di sale e pepe di fronte ad un
posto del genere.. e ti sembrera’ quasi commestibile. Se non passabile. Godo di
un tramonto da cartolina, il vento fresco della sera che raffredda la mia pelle
ancora calda dal giorno trascorso sul sentiero. La fotocamera, nemmeno in mano
al piu’ bravo dei fotografi, in questo posto come in quasi nessun’altro, non
saprebbe catturare appieno la magia del posto. Mi accontento dei risultati
ottenuti, e decido di contemplare lo spettacolo senza foto, solo con la mia
mente e il mio cuore. Vengo solo interrotto da una ragazza di origini iraniane,
residente in California, che inizia a parlarmi. Non la mando via dicendole
“Scusa, devo vedere il tramonto”, ovviamente. D’altro canto, un po’ di
compagnia fa sempre piacere.
Il giorno dopo sono in piedi alle 6.30. Quando realizzo
l’ora, apro le tendine nel truck, e vedo che ormai il sole e’ gia’ levato in
cielo, impreco. Sfumati i miei piani di assistere all’alba. Per due cose,
troppo sonno, e troppo presto sorge il sole. Pazienza. Mi faccio del
caffe’latte al volo (dico, con acqua fredda.. sara’ un tonico quando saro’ in
Alaska.. sto gia’ imprecando per questo) e decido di camminare quel miglio fino
giu’ nelle badlands. Cosi’, di primo mattino alla buon’ora. Per svegliarsi
fuori. Infatti rischio di finire giu’ per una collina al primo scalino. Tutto
sommato arrivo giu’ senza danni, controllando tracce di bisonti e scrutando
l’orizzonte. Di bisonti manco uno, ma lo spettacolo e’ grande. Il silenzio
delle praterie. Il fruscio della wild sage, degli arbusti scossi dal vento. I
richiami di tanti prairie-dogs in lontananza. Non posso prentedere molto di
piu’ per svegliarmi in realta’. Potessi scegliere di svegliarmi cosi’ ogni
giorno, saprei gia’ in partenza di avere davanti un’esistenza felice.
Per la giornata decido di inoltrarmi a South Unit e di fare
una bella camminata nel cuore del parco, sperdendomi un po’ lungo qualche
trail. I miei amici americani non son fatti proprio per camminare (almeno, una
buona parte di loro), e mi e’ facile sfruttare questo piu’ il fatto che e’
lunedi’ per isolarmi un po’ dalla civilizzazione e dal contatto umano. Scelgo
un “loop” di circa 11,5 miglia, ed inizio alle 11.30. Grandissimo cervello poi,
per iniziare sotto la candela con 80F sul termometro. Il fatto e’ che per fini
fotografici la luce, i contrasti che ci sono tra le 12 e le 15 non si ripetono
piu’, ed anche a costo di abbronzarmi un po’ piu’ del dovuto, e di imprecare un
po’ piu’ del dovuto.. corro il rischio. Cammino per 400 metri dopo il
parcheggio, circondato da colline a 360 gradi e da un’enorme prairie-dog town
sulla sinistra. Questi cani delle praterie (sono piccoli animaletti simili a
marmotte, in realta’) scavano tane che sotto terra si estendono anche per
diversi metri, lasciando il terreno in superficie coperto di innumerevoli buche
che da noi condurrebbero solo a un mucchio di talpe. Piu’ o meno. Sentirli
emettere i loro richiami impauriti mentre cammino in mezzo a loro, mi fa quasi
provar dispiacere. Non vorrei spaventare queste innocenti creaturine in
realta’. Poco dopo mi imbatto nel registro del sentiero. Decido di fermarmi e
firmarlo, annotando a margine il mio itinerario. Solo un po’ di buon senso,
giusto in caso. Chiudo lo sportellino metallico, lascio giu’ la penna, e nel
giro di un secondo, giro un piede, faccio per alzare la testa verso il
sentiero, e mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Sento un rumore, mentre
appunto sto ancora alzando la testa, di zoccoli, di aria sbuffata dal naso. Esclamo
ad alta voce “OH HOLY SHIT!”, e subito con entrambe le mani mi tappo la bocca,
come in un film. Ho davanti a me – dico, a forse nemmeno dieci metri di
distanza – un maschio di bisonte americano di circa 800 chili, coda eretta
all’insu’ e sbuffante aria dal naso. Pessimo segno. Non l’avevo minimamente
visto. Non tanto per deficienza mia (ma si, anche) quanto perche’ leggermente
nascosto dalla vegetazione e dalla curva del sentiero. Se ne stava pacifico
sdraiato nel bel mezzo della pista. Io, tempismo perfetto quanto il formaggio
sul pate’ di tonno. In 0,2 secondi penso: se mi carica adesso, sono fottuto.
Morto. O almeno gravemente ferito o mutilato. Se non mi carica, accendo un
cerino al santo. Indietreggio lentamente, faccia al bestio, passo dopo passo.
Ovviamente, non vedendo dove poggio i piedi, rischio d’inciampare malamente.
Accade, e cercando di stare in equilibrio dimentico la lentezza dei movimenti
per un secondo e mi dimeno per non cadere. Fortunatamente il bestio non coglie.
Continuo la mia marcia all’indietro fino a che i suoi occhi non mi possono piu’
vedere. Non perche’ abbia distolto il contatto, quanto perche’ ostruito dalla
vegetazione. Sudore freddo da ogni poro della pelle. “Dammit!”, esclamo
sollevato. Ma l’ostacolo resta. Come proseguire? Decido di aggirare il bisonte
compiendo un accerchiamento sulla sinistra, manovra avvolgente. Mi inoltro su
per la collina, ignorante sul cosa si nasconda sul versante opposto. Infatti,
sbucato in cima, vedo non solo un bisonte, ma il resto della mandria pascolare
pacifica a un centinaio di metri da me. Porco. L’unica cosa che mi conforta e
che ho il vento a favore, e finche’ non faccio il demonio di rumore e cammino
tranquillo, probabilmente me la passero’ liscia. Cosi’ avviene. Quando rientro
sul sentiero, ricordo di essermi detto “Ok, che questa sia la cosa piu’ wild
del giorno. Sono contento per oggi. Contento di essere ancora integro.”
Mentre cammino da solo tra praterie ammantate di verde,
fiori multicolore che adornano le colline, non posso non pensare alla scena
idilliaca che si presento’ ai primi esploratori. Nessun sentiero, nessuna
strada, nessun paletto segnalatore per le piste. Mandrie di bisonti – mandrie
vere, non i 30-40 esemplari che si vedono ora – cosi’ fitte da annerire le
praterie. Cervi, antilopi, qualche orso qua e la. Ebbene, c’erano anche i
grizzly una volta, qui. Dev’essere stato pauroso, positivamente. Posso solo
immaginare, anche se mi accontento di quel che vedo. Cammino per ore senza
incontrare anima viva. Non potevo desiderare di meglio, per la mia giornata.
Esploratore solitario nelle mie amate praterie del Dakota, solo tra erba,
colline, e bisonti.
Quando sono ormai prossimo alla fine del sentiero, butto lo
sguardo all mia destra e su una collina sovrastante, vedo un bisonte. “Toh, un
bisonte”, esclamo puntando il dito verso di esso come indicandolo ad un amico
immaginario. Subito dopo pero’, da un cespuglio piu’ indietro, un secondo sbuca
fuori. E poi un terzo.. un quarto.. un quinto.. faccio qualche passo in piu’, e
quando il sentiero gira l’angolo, vedo che l’intera mandria e’ in movimento.
Non parlo di milioni di esemplari, non ne esistono al giorno d’oggi, ma vedere
40 bisonti americani in movimento fa comunque il suo effetto. Mi sono a circa
200 metri di distanza. Sembra il giusto, ma sembra ancora paurosamente poco
quando sei li in mezzo al nulla da solo. Non e’ come quando sei in macchina,
quando ti fermi a 10 metri a scattare foto. Non e’ come giu’ a Yellowstone
(dove pure diversi idioti ogni anno vengono feriti o addirittura spediti
all’altro mondo per qualche leggerezza commessa confrontando un bisonte). E
quando un giovane provoca la reazione di un’adulto, e diversi capi iniziano a
correre giu’ per la collina, il mio cuore inizia a battere stile “rigori finale
dei mondiali”. Riprendo a camminare, veloce. Giro l’angolo ancora, e me li
tolgo dalla vista. Sospiro. Pensavo, giusto prima di iniziare a camminare oggi,
che i bisonti – anche se per quanto mi riguarda sono gli animali che piu’
incarnano lo spirito del West americano – sono alla fin fine solo delle grosse,
forti mucche selvagge. Sto gran paio di.. Da oggi non li chiamero’ piu’ cosi’.
Quando sei li’ fuori da solo a confrontarti con la natura, capisci diverse
cose. Ho imparato a portare rispetto, oggi.
Tornato alla macchina, mi dirigo subito al visitor center.
Ho finito l’acqua e sto morendo di sete. Una volta li riempio due bottiglie con
acqua fresca, ci mischio un po’ di polvere di limonata rosa, e mi disseto
felicemente all’ombra. Momento da estasi. Cerco una doccia – son 4 giorni che
sguazzo nello sporco – e la trovo alle piscine comunali per 2$. Le docce piu’
fredde che mai si siano viste sulla faccia del creato. Ma funzionano sul mio
corpo surriscaldato, ed anche se mi costringono a reprimere piu’ brividi (e ancora,
imprecazioni) del previsto, mi lavo, mi raffreddo, e son bello che contento.
Passo il resto del pomeriggio a combattere i moschini nella piccola cittadina
di Medora, alle porte del parco, modesta ma carina nel suo stile west, ma
inutile per me se non per la quantita’ spropositata di wifi liberi. Una miniera
d’oro per un backpacker (o carpacker, come mi sto definendo ultimamente!) come
me! Fatte le mie cose, faccio armi e bagagli e me ne vado. Decido di tornare
allo stesso posto della sera precedente, Painted Desert, per cucinare la mia
deliziosa pasta alle acciughe e per dormire stanotte.
Ho come la sensazione che non potro’ mai averne abbastanza,
di questo posto incantevole.