Ieri, 5 gennaio 2012, a Glenorchy e’ stato “il giorno”. L’evento
dell’anno. Il momento in cui tutto in paese diventa frenetico e tutti accorrono
anche dai paesi vicini (paesi, parlo di 4 case e un ostello), persino da
Queenstown: le horse races.
Quando la gente qua mi parla di races io non so perche’
penso sempre alle macchine. Mi immagino autodromi o piste alla “Fast &
Furious” dove ragazzotti del posto un pelo tamarri si sfidano in velocita’ con
le loro auto truccate. Invece, hehe, ovviamente sono nel torto. Ovviamente sono
infognato in un remoto paesello del sud della Nuova Zelanda – e non a Bari –
quindi non si tratta di auto bensi’ di corse con i cavalli (essendo onesto
credo che a Bari per strada corrano anche con i cavalli la notte, e non solo
con le auto, ma non importa. Spero nessuno si offenda leggendo). Io realizzo la
cosa solo il mattino stesso, quando svegliandomi attorno alle 9 e mezza apro le
finestre e sento un qualche citrullo che parla tramite altoparlanti in paese.
Mi torna in mente la cosa. Butto l’occhio piu’ in giu’, alla strada, e vedo in
quell’istante ben 5 auto di fila che si dirigono verso il centro del villaggio:
cosa mai vista prima! Il numero massimo di auto direzione Glenorchy che avevo
mai visto in vita mia era stato 2 finora – una delle quali era la mia. Capisco
che l’affare e’ rilevante, quindi mi vesto e vado a dare un occhio. Porto con
me anche il costume, essendo caldo come non mai potrei non disdegnare un tuffo
in lago.
Le races prendono luogo nel locale “complesso sportivo” – un
campo da rugby con un campo da tennis e tipo 4 buche per il golf. All’interno
del campo si trova lo spazio per i camper, le tende, e qualche piccolo stand
gastronomico. Il perimetro esterno, in erba, e’ destinato a pista per le bestie
(pregasi leggere bestie con la “E” chiusa. Suona molto meglio). Un sacco di
gente affolla il luogo, sembra quasi l’atmosfera che c’e’ nei parcheggi degli
stadi di football americano prima di un match. Tutti intenti a bere, mangiare,
divertirsi assieme, e poi, marginalmente, fare il tifo per l’amico, la mamma,
la nonna in gara col proprio cavallo. Vengo a sapere da un’amico che anche un
paio di colleghe – parlo di ragazze sui 20 anni – gareggiano. Infatti, non
trattandosi di un evento per professionisti, chiunque vi ci puo’ prendere
parte. Capita dunque che praticamente in ogni famiglia del paese vi sia un
membro di essa in gara. Ergo, tutto il paese si trova qui. Vengo a sapere che
qualcuno, in camper, ha addirittura preso posto la notte prima per accaparrarsi
i posti migliori. Da non credere. A me comunque viene il voltastomaco a pensare
che questo sia l’evento dell’anno. Voglio dire, rispetto il paese e i suoi
abitanti, rispetto il fatto che sia isolato, rispetto la cultura del posto. Ma
che poi una locale che conosco mi venga a dire – dopo il mio palese
disinteresse nella cosa a favore piuttosto di un bagno in acqua – “Non t’interessa
delle tradizioni locali?”, questo proprio no. Le ho risposto qualcosa tipo “Non
piu’ di tanto, non sono il tipo da cultura & tradizioni”, anche se avrei
voluto piu’ risponderle “Persino la piu’ infima sagra paesana in tutto il
veneto e’ quasi migliore di sta merda qua – eccetto per il fatto che qui girano
cavalli, li no”. Tengo pero’ la mia sarcastica affermazione per me stesso. Non
voglio sembrare troppo brontolone. Almeno, non anche qui haha. Assisto alla
prima gara, prima e ultima anche visto il caldo atroce che mi soffoca. La gara,
niente di che. Veramente non me ne sbatte una mazza di vedere dei cavalli che
corrono attorno ad un prato. E’ come vedere una partita di calcetto in
patronato, con l’unica differenza che i calciatori non cavalcano cavalli. Pero’,
quasi mi commuovo. Perche’? Perche’ quando vedo i cavalli correre a spron
battuto, incitati dai loro fantini, mi tornano alla mente gli indiani. Mi si
dipingono nella mente immagini di battaglie, di guerrieri indomiti che
cavalcano i loro cavalli a pelo, scagliando frecce, tomahawks. Mi viene una
voglia matta di tornare quanto prima a Pine Ridge, a Kyle, dove ancora ricordo
tenersi in luglio l’annuale gara giovanile di corsa a cavallo. 5 km di
competizione tra giovani indiani, tra le colline del Dakota. Non vedo l’ora, di
tornare nella mia seconda casa.
Abbandono le races in favore del lago. Non che sia molto
meno affollato, ma almeno la ressa si limita alla spiaggia, e al molo. Mentre
cammino verso la fine del molo, incontro un amico che passeggia in costume. Gli
chiedo che cazzo stia facendo. Mi risponde “Trovo il coraggio per buttarmi in
acqua, sara’ gelida”. E citando un comico, “Mo’ gli faccio vedere iooo..” penso
tra me e me, appoggio lo zaino, salgo sulla staccionata, e mi tuffo senza
pensarci due volte in acqua, esibendo un’ottima capriola perfettamente
riuscita. Folla in delirio e palla a centrocampo. Uno a zero. L’acqua non mi
sembra in realta’ cosi’ gelida, mi sembrava peggio a Natale. Quando torno su,
mi dicono che questo in realta’ e’ il lago piu’ freddo della Nuova Zelanda. Io
sinceramente non ci credo, non puo’ essere. Se penso a quel giorno in cui ho
fatto il bagno a Marian Lake, mi tornano i brividi. Comunque, lo prendo come
dato di fatto, ed ora posso aggiungere alla mia lista anche l’aver fatto il
bagno nel lago piu’ freddo del paese! Ottimo. Non domo, prima di avviarmi verso
casa per prendere un po’ di sole (si lo prendo a casa, ho dimenticato lo spray
anti-insetti e non vorrei essere divorato vivo qui)mi esibisco in altre due
capriole acrobatiche. L’avessi mai fatto. Sento, dicendola alla Fantozzi, “un
leggero bruciore sulla schiena”. Quando torno a casa, mi guardo allo specchio. Mi
manca solo di leggere la scritta “Sei un cretino” stampata in rosso sulla mia
schiena altrimenti marroncina. Quelle due capriole troppo poco avvitate mi son
costate care. Mandando tutto a fare in culo, mi spalmo crema solare e spray
anti-insetti insieme e vado a prendere il sole.
Piuttosto stanco e frastornato, la sera mi reco a lavoro.
Una collega mi ha chiesto una sostituzione che ho accettato piu’ che
volentieri, dovendo realmente spaccarmi il culo se voglio riprendere i soldi
che mi son prefissato di recuperare (cosa peraltro impossibile). Il servizio
trascorre liscio, senza intoppi. La parte migliore pero’, al solito, e’ la
fine. Quando inizi a vedere che i cuochi lasciano il pane su un vassoio per
permettere a chi vuole di portarlo a casa. Quando vedi qualche piatto con
qualche leccornia lasciata a disposizione dello staff. Stavolta riesco ad
assaporare, nell’ordine: pork belly con romesco sauce (succulenta), crocchetta
di petto di quaglia al forno con salsa valois (sublime), e infine, un’intera
porzione di dessert, ovvero warm apple and caramel cake. Sentire questa torta
alla mela fatta in casa, morbida, calda, cosparsa di denso caramello e
contornata di pezzetti di mela, sciogliersi in bocca assieme magari ad un
cucchiaio di gelato al Baylis.. e’ qualcosa di indescrivibile, bisognerebbe
provarla. Mi ritengo fortunato di poter assaporare alta cucina praticamente
ogni giorno. E’ un lusso che pochi possono permettersi, se non del settore e se
non di questa nicchia del settore.
E come se non bastasse, a fine serata, prima di andarmene,
assisto “alla scena”: il frigo si apre, e gli chef esaminano le condizioni dei
gelati. Due scatole di gelato al caramello non passano i severi standard
imposti. “Troppo granuloso”. E’ stato fatto appena il giorno prima. Mentre uno
chef si dirige verso il cestino con i due contenitori, lo fermo con fare
disperato dicendo “Stai per buttarli?”. E lui, “Si”. E io “Sono troppo
maleducato se ti chiedo se posso portarlo a casa piuttosto?”. E lui,
inaspettatamente “No, fai pure!”.
Tornato a casa, assaggio subito il gelato strappato alla
forca. E’ semplicemente paradisiaco, uno dei gelati migliori che siano mai
entrati nelle mie fauci. Scioglievolezza a mille, il gusto del caramello e’ assoluto.
E cosi’, contento come un bambino a cui viene regalato l’Iphone 5 al suo sesto
compleanno (metafora al passo coi tempi), concludo la mia serata assaporando,
in piedi in cucina, col sorriso sulle labbra, un gelato delizioso, consapevole
di aver guadagnato circa 1,5 kg di esso completamente a gratis, al solo costo
di una misera domanda. A volte, tentar non nuoce.
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