giovedì 28 marzo 2013

Dramma nepalese


Alle 4.30 del mattino suona la sveglia – e quando suona prima delle 6, il dramma e’ profondo. Soprattutto se sei andato a dormire appena 4 ore prima. Purtroppo su Lukla solitamente si vola solo al mattino presto, quando il meteo solitamente e’ piu’ mite. Devo essere in reception alle 5, ed alle 6.15 il volo su Lukla dovrebbe lasciare Kathmandu. Ora: posso quasi dire che non me ne frega praticamente nulla di andare a vedere la montagna piu’ alta del mondo, adesso come adesso. Sono reduce da un giorno cosi’ sentimentalmente e passionevolmente super, che qualsiasi cosa (piu’ o meno) mi venisse proposta risulterebbe quantomeno scialba, se non inutile. La serata di ieri e’ passata in modo cosi’ delizioso, con una compagna cosi’ sublime, che non mi vien da pensare a null’altro, mi e’ proprio difficile concentrarmi su cio’ che dovrei fare. Figuriamoci poi se riesco ad alzarmi, dopo tutto questo e con tutto questo in testa, alle 4.30 della notte. Ma bafanculo.

[I] “Pack up my shit”, come dico spesso ormai qui, e alle 5.10 riesco ad essere pronto. Solita colazione to-go di merda e mangiata in macchina tra una buca e l’altra – le strade di Kathmandu meriterebbero un libro a parte, probabilmente intitolato “Guidare retro’: come nel 2013 si possa pensare di essere nel 1910”. Arrivo in aeroporto col freddo della notte (ed ovviamente sono in maniche corte) e al buio. Ho un sonno che mi cappotto. Entro nell’aeroporto con il minor livello di sicurezza al mondo – il local di Kathmandu ovviamente – dove l’agente che mi perquisisce mi lascia entrare con un cappello in testa, una mela in tasca e il borsello a tracolla, senza controllare nessuno dei tre oggetti. Evidentemente devono nutrire una discreta fiducia nel prossimo da queste parti, dev’essere la spiegazione. L’aeroporto sembra un carcere italiano degli anni ’60 – cioe’ praticamente un carcere italiano attuale. Sembra di essere in un film di Fantozzi. Intanto sono le 6.10, non sono mai entrato cosi’ in ritardo per prendere un volo, ma nessuno mi mette fretta qui. In effetti il mio volo e’ gia’ in ritardo, “causa maltempo a Lukla”. Ottimo inizio baby. Io fino a ieri mi ero detto, “se c’e’ una sola merda di nuvola, un filo di vento o qualcosa di peggio, non monto”. Il perche’ e’ presto detto. Il volo su Lukla e’ salito tristemente alle cronache negli anni passati, registrando abbastanza puntualmente un crash fatale all’anno o qualcosa del genere. La guida “Lonely Planet” gli dedica una  discreta pagina, menzionando amabilmente (fanculo) tutti i singoli incidenti e le vittime. Il fatto e’ che dovendo volare su un paesello arroccato sul tetto del mondo, bisogna passare alte catene montuose, correnti piuttosto potenti e tempo non sempre da cartolina, in un aereo che non e’ certo un Boeing 747. Bensi’ uno di quei catorcetti da 15 posti che verosimilmente sono stati acquistati dall’U.R.S.S. un ventennio fa. Holy shit. Di qui le mie fife. Oh, bungy lo faccio, e di notte anche, ma qui che cazzo.. la cosa e’ quantomeno sinistra. Come non bastasse il gruppo di americani che deve prendere l’aereo con me, e’ li che se la ride su cose del tipo “fotografiamo l’aereo per gli investigatori”, oppure, “ho sentito dire che l’ultima volta ne son morti 32”. Non so piu’ se imprecare o andare li a prenderli a ceffoni.

Ad ogni modo, sembra che la cosa diventi piano piano un miraggio. Infreddolito, senza possibilita’ di coprirmi – saggiamente ho imbracato lo zaino senza estrarre ulteriori layers – mi reco a pisciare una volta all’ora, ovvero piu’ o meno l’intervallo ove periodicamente posticipano il mio volo. Quindi, ogni ora parte un porcone. Dalle 6.15 alle 7.15, alle 8, alle 9, alle 10, e cosi’ via... Io alle 12.30 sono gia’ esausto – citando il mio commento su FB, “mi rompo i coglioni per aspettare il bus 5 minuti, figuriamoci ore in aeroporto a Kathmandu” – e vado in ristorante per due mo.mo di merda (i mo.mo sono praticamente dei ravioli). Il mio volo non decolla neancora. Mi viene offerto del caffelatte discreto per alleviare le mie sofferenze, ma l’unico effetto che provoca e’ la pisciata delle 13. Poi incredibilmente, alle 14, sento gli americani urlare di gioia con le braccia al cielo. Interrompo bruscamente la partita a solitario che stavo disputando sul mio preistorico Ipod (questo per darvi l’idea di come me la stessi spassando di gusto), scocciato, e realizzo che stavano annunciando l’imminente partenza del famigerato volo per Lukla. Non so se essere felice, preferivo probabilmente tornare in albergo quanto prima, mangiarmi un’anguria e farmi una doccia, che prendere un volo sapendo di dover poi – partenza alle 15 – camminare per 3 ore in montagna. Salgo sul pullmino. Sti americani eccitati li prenderei a cinghiate, mi stanno sulle palle come dei bambini gasati da una visita allo zoo. E ovviamente con i loro toni allegri sulle nostre misere possibilita’ di arrivare vivi a Lukla, non fanno altro che farmi protendere alla mazza chiodata piuttosto che alla cinghia. Il pullmino ci deposita ai piedi dell’aereo. Saliamo con calma. Prendo un tega da libri di storia mentre entro: non sono abituato ad un aereo da nani, e dimentico di pronare il capo, guadagnandomi del male. Fa niente. Mi siedo davanti, dove ho modo di vedere il pilota e l’attrezzatura a lui a disposizione. Penso che forse l’U.R.S.S. a sua volta aveva comprato l’aereo da qualche oscura nazione attorno al 1950 prima di venderlo al governo nepalese, da quello che mi passa del quadro comandi. Mi faccio un bel segno della croce, dico le mie ultime preghiere, e mi butto sul finestrino cercando di dormire. Decolliamo. Dopo 5 minuti ho un orecchio che sembra avere un choido ficcato dentro e il cervello ha perso la meta’ delle sue capacita’ cerebrali in seguito alle vibrazioni che la mia testa, appoggiata alla parete, deve subire. Mi viene offerta una caramella al mou, che credo dati piu’ o meno l’eta’ della compravendita dell’aereo da parte dell’U.R.S.S.. La mia ultima caramella. Riprendo a dormire. Vengo svegliato da una figa nepalese (la hoostess – ebbene si, ci sono hostess anche sugli aerei dei nani) che mi dice che stiamo invertendo rotta e tornando a Kathmandu, perche’ il tempo e’ ancora cattivo. Ora, di nuovo: due considerazioni. Uno, non mi cambia na verga. Anzi son quasi contento dopotutto, mi sento piu’ tranquillo. Secondo: emeriti ignoranti capre ruminanti, cosa sara’ cambiato in mezzora? 30 minuti prima si annuncia il decollo – immagino il solleone che c’era a Lukla! – e in 30 minuti ci sara’ stato l’apocalisse! Ma figuriamoci. Annullare il volo alle 12 pareva brutto? Mi sembra che la capacita’ di gestire questa situazione sia quella che avrebbe un bambino di 8 anni che collauda la sua nuova pista dei treni e fa scontrare due treni su uno stesso binario. Sono perplesso. Torniamo all’aeroporto italiano degli anni ’60, faccio su i miei bagagli, vado vicino a spaccare il muso ad un tassista locale. Sono piu’ fastidiosi delle mosche mentre sei seduto al cesso a defecare. Questo brutto ceffo mi chiede 3 volte se voglio un taxi, mentre passeggio aspettando la mia auto privata. Alla 3 volta mi fermo, lo incenerisco con lo sguardo, e politicamente gli dico, “E daje, 3 volte. Se mi serve un taxi te lo chiedo io, non tu, ok?”. Bestie.

Attendo 10 minuti sotto il sole, il mio zaino da 16 kg (pesati in aeroporto) sulle spalle. Vengo fatto su dalla mia auto privata, quella della compagnia di trekking, che mi porta verso un nuovo albergo. Sto scalando vette qui, in quanto a lussuosita’ delle mie residenze: qui mi portano su le valigie, mi sorridono come fossero una banda di froci, mi danno una chiave il cui portachiavi credo sia un monile d’oro risalente al tempo degli Aztechi. Ma – siccome sono lussuosi mi fanno pagare il wi-fi. Luridi figli di. Gli auguro tanto del bene. Prima di salire in camera pero’, parlo con il manager della compagnia, e gli annuncio la mia decisione: NON parto piu’. Ne domani ne un altro giorno. Non so perche’, ma ho maturato questa decisione. Sara’ in parte lo scoramento dovuto ad una giornata del genere, il terrore di doverla rivivere il giorno dopo, la sensazione non troppo positiva sul volo, la stanchezza di girare qua e la per cosi’ brevi periodi, la voglia di riposare, il pensiero di rivedere la mia compagna della sera precedente quanto prima. Tutte queste cose fanno sembrare mount Everest il Sasso Piatto. Mi spiace. Statisticamente, perdo due cose con questa decisione: vedere la montagna piu’ alta del mondo, e arrivare sopra quota 5000 metri a piedi. Oggi pero’ non mi da cosi’ fastidio la cosa. Forse un giorno lo realizzero’ e mi mordero’ la lingua, ma a volte con queste cose – soprattutto con i sentiment – e’ meglio non scherzare troppo. Vado diretto in camera dove non cerco altro che acqua, una doccia, e un letto. Ho solo voglia di conservare le energie necessarie per andare in pizzeria a farmi una pizza piu’ tardi, e poi crollare a letto a dormire.

Ah, dimenticavo, una terza cosa perdo per le statistiche: essere sopravvissuto ad un volo su Lukla (della Yeti Airlines). Ma ho come l’idea che di questa riga possa fare volentieri a meno.

Nessun commento: