sabato 16 marzo 2013

Primi passi in Asia


Da ieri, posso dire di esser stato in 4 dei 5 continenti, ormai mi manca solo l’Africa (e il Sud Africa e’ nella lista).

La mia esperienza in Asia si traduce finora in un solo, striminzito giorno a Kathmandu, Nepal – un po’ riduttivo per iniziare a trarre conclusioni e a sferzare pareri su questo o quell’altro aspetto della vita qui. Ma il giorno che ho vissuto (giorno, lo calcolo comprendendo la sera dell’arrivo e il mattino seguente!) e’ stato cosi’ intenso, cosi’ pieno di emozioni e sentimenti che mi riesce difficile trattenere il mio impulso scrivente (o scrittore, fate voi, avevo un italiano pessimo e lo sto solo peggiorando!).

Dopo un volo ENDLESS da Christchurch a Sydney, da Sydney a Bangkok (sono addirittura rimasto in aereo nell’ora che e’ passata per rifornimento/imbarco – ma son riuscito a percepire l’umidita’ thailandese solo dai portelloni aperti!), da Bangkok a Dubai (caldissima, ricchissima Dubai – son riuscito a vedere quel mega-iper grattacielo da credo 7-800 metri, spaccava le nubi!), e infine da Dubai a Kathmandu, atterro nella valle attorno alle 6 di sera. Kathmandu e’ citta’ da 3 milioni e mezzo di persone circa, adagiata nella valle che porta il suo stesso nome, valle verde, immersa fra i monti, “rovinata” da questo ammasso caotico e colorato di palazzi e infrastrutture. L’aereo da cui non vedo l’ora di uscire manovra dolcemente al calar del sole, lasciando intravedere al fortunato passeggero una vista che sembra vergine su montagne inverdite da infiniti boschi, che si oscurano man mano che il sole scende e a sua volta assume un color rossastro, che sfuma in violetto sulle nuvole, sulla foschia che copre i piedi delle montagne. Una scena idilliaca, a cui manca solo un po’ di musica del posto, con quelle specie di violini che producono quel suono cosi’ forte, incisivo, persuadente, ammaliante. Immagino gia’ la terra, terra di monaci, di templi, di meditazione, questa musica a farmi da sottofondo. Quando c’e’ da trippare io ci sono sempre, e sebbene dovessi ancora smontare da quel maledetto aereo, avevo gia’ percorso centinaia di chilometri in Nepal.

Dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche ad aver sborsato 40 dollari americani per il mio visto da 1 mese, esco dall’aeroporto e vengo assalito da una masnada di beceri tassisti che mi importunano offrendomi i loro servigi. Li mando a fare in culo uno ad uno, e invece indico il mio autista, colui che sventola un A4 bianco con scritto “Emanuel”. E’ chiaro che il mio nome in inglese non viene recepito correttamente. Poche cordialita’, domando subito se c’e’ una fottuta cena ad aspettarmi in albergo, e ci dirigiamo – guidando per la citta’ gia’ oscura – verso l’hotel. L’avessi mai fatto. Essendo montato dietro ho tutto lo spazio e il tempo di mostrare le espressioni piu’ raccapriccianti, sconcertate, impaurite che potessi produrre. Il viaggio e’ un po’ un’introduzione al posto, alla cultura, al modo di vivere. Vedo poco asfalto, anzitutto. Piu’ sassi, sabbia e buche, un’infinita’ di buche. Questo sono le strade. Si dovrebbe guidare a sinistra, e cosi’ fa la maggior parte della gente, anche se poi quando c’e’ da sorpassare o da andar di fretta, va bene anche la corsia opposta. Tanto di linee non ce n’e’ manco l’ombra. Una cosa palese e’ il numero sconsiderato di motociclette, tipicamente cosa asiatica. Moto, e bici. La strada e’ di tutti, poco importa se hai una ferrari (improbabile, anzi impossibile), una honda o un triciclo sotto il culo. E c’e’ una sola regola, in queste strade: cercare di non farsi del male – e possibilmente di non farlo ad altri, ma quello e’ un dettaglio. Mentre l’autista prende scorciatoie che fossimo in Messico comporterebbero minimo una pallottola in testa a tutti e tre, vedo un sacco di gente che cammina a bordo strada, dove per l’assenza di marciapiedi ti ritrovi a passare a cm 1,5 da una marea di macchine e moto. Vedo gente che si raduna attorno a bancarelle ignominiose, a chioschi stradali che vendono cibo che non toccherei nemmeno con un guanto, a fuochi spontanei che lasciano a fatica intravedere la sporcizia e la miseria che sta subito dietro. Prendendo una strada (mulattiera, direi) in discesa, vedo un bambino che stimo avere 7 anni cavalcare una bici instabile, dirigendosi giu’ dalla strada, fronteggiando macchine in entrambi i sensi di marcia, impietosi e infischiantesi del lasciar passare prima il fanciullo o di fargli “il pelo” passandogli vicino. Devi essere sveglio qui, capisco subito, se vuoi muoverti senza rischiare la pellaccia ogni volta. Arrivo in albergo semi basito. Ho gia’ visto parecchio, credo. Ma ho talmente tanto sonno che, incredibilmente, rinuncio alla cena (che tanto non era li ad aspettarmi), alla doccia e a qualsiasi altra cosa, in favore di un sano, lungo sonno ristoratore. Sono piu’ o meno 45 ore che non tocco qualcosa simile ad un letto, e devo dire che la sensazione e’ appagante.

Oggi, giorno astrale 16 marzo 2013, mi aspetta un tour della citta’. Anzi, a dire il vero vengo a saperlo dopo colazione, ma fa niente. Faccio colazione sul tetto dell’albergo (qui va di moda fare le cose sul tetto, dicono sia panoramico, anche se quel che vedo e’ un sacco di altri tetti e un po’ di foschia), colazione modesta peraltro. Un toast, due uova, un po’ di patate, una banana. Stop. Io non mangio qualcosa di solido da circa (credeteci o no) 21 ore, e uno stuzzichino simile non puo’ certo lenire la mia fame. Chiedo cortesemente qualcosa in piu’, optando per un pancacke. Me ne viene servito uno di numero, il che ancora non cancella i crampi allo stomaco. Ma fa niente, devo anche capire che non sono nel paese degli sprechi alimentari (USA) quindi non posso star qui a gradire cibo a piu’ non posso. Per oggi passo la mano, sperando in tempi migliori – vedi stasera, sgancero’ qualche dollaro in piu’. Dopo colazione incontro il manager della compagnia di trekking, il quale mi illustra il programma della giornata, che in realta’ decide con me, e gli ultimi dettagli sul trek. A quanto pare, avro’ un autista personale che mi seguira’ oggi, e mi portera’ piu’ o meno ovunque vorro’ in citta’. Fico! Dopo pochi minuti sono in macchina diretto verso una miriade di tempi e altre bestie sacre. A quanto pare ci sono 5 posti che se non visiti, non puoi dire di aver visitato Kathmandu. Ecco, io a fine giornata sono arrivato a 4 su 5, ma non me ne frega un cazzo del 5, piu’ o meno parevano tutti la stessa cosa (grande inizio in Asia, bella Manu). Comunque, la giornata per strada inizia alla grande: dopo neanche 5 minuti, passando nella ormai gia’ solita, caotica, trafficata stradina, il mio autista colpisce in pieno con lo specchietto un passante. Manco si ferma ovviamente, e tanti saluti. Stupendo, solo qui accade. Queste son le cose che dovrebbero mostrare ai turisti, altro che. Un marchio di fabbrica del posto. Vengo mollato giu’ al primo tempio (non riporto nessun nome perche’ non ho la “cagna” di prendere la cartina e farlo. Sono molto poco professionale ma se cio’ non vi va, andate a cagare), ed e’ gia’ avventura. Dico, girare per un tempio, con monaci tibetani, gente che prega, gente che fotografa, gente che suona il flauto, gente che brucia qualcosa a qualche dio.. beh, fa uno strano effetto. Vedi sporcizia ovunque, poi. Non sono il genere di posti con cui sei familiare. Io faccio un po’ di foto, confuso, straniato, ed esco. Non ci capisco granche’. E cosi’ con tutti gli altri templi. Quello induista poi, un gran macello. Voglio dire, bello architettonicamente, ben rifinito, il tetto di uno e’ tutto d’oro puro per giunta. Ma quel che ci sta attorno: monaci dipinti di rosso e giallo, con barbe lunghe fin per terra, che appena ti avvicini mendicano foto in cambio di qualche soldo. Manco per scherzo, ci penso. Odio queste cose. In giro, attorno a me, un sacco di hindu che pregano. Gente che si butta a terra, gente che fa cerimonie con del cibo sospetto, gente che brucia i corpi dei morti. Assisto ad una cremazione live, e una guida (che io peraltro non ho assoldato ma che mi segue perche’ cosi’ ha deciso) mi spiega che prima si brucia la bocca e cio’ che c’e’ all’interno, e poi il resto del corpo. E tante altre cose mi spiega, a me non puo’ fregare manco di niente del tutto e faccio altro che annuire, ogni tanto spezzando con un “Oooh nice!” che vuol dire piu’ o meno “non me ne sbatte una bega”. E quando vedi gente che brucia altra gente – peraltro con indosso bei vestiti e gioielli – gente che si tinge la faccia di giallo, gente che si sdraia per terra, gente che si bagna in un fiume dove non avrei il coraggio nemmeno di sputare, capisci che il tuo Dio e’ quello giusto (cattiva questa, ma credetemi, per quanto mi riguarda ci sta).

Mentre una cremazione sta prendendo parte invece, poco piu’ a valle nel fiume – dico dentro il fiume – un trio di ragazzi ventenni scavano e setacciano il fondo in cerca di monili e gioielli appartenuti ai corpi cremati. Si perche’ cremando i corpi e spargendo le cenerei nel fiume, anche i gioielli prendono la stessa direzione, ed ecco che questi “avvoltoi” cercano fortuna in quelle acque venefiche. Coraggio, dico io. La scena mi lascia alquanto sgomento. Lascio cosi’ il tempio induista, con la guida non voluta che mi domanda alla fine del gioco 1000 rupie (10$). Gli rispondo che uno non l’ho mai voluto tra i piedi, due che dieci dollari non li ho (bugia stratosferica) e tre che dieci dollari non glieli darei comunque manco morto, e che se vuole accontentarsi di 150 rupie bene, altrimenti non gli avrei dato nemmeno quelle. Dopo un po’ di rogne accetta, io gli consiglio di chiarire il suo tariffario prima di assillare la gente, lui accetta volentieri il mio consiglio e mi saluta contento. Ho fatto del bene anche oggi. Gli ho insegnato la trasparenza!

Sulla via di casa, dopo il tempio X ed Y, sono stanco e accaldato. Pensavo di trovare qualcosa tipo 15-20 gradi ma credo ve ne siano attorno ai 30. La gente vende cocco e angurie per strada ed io, dopo qualche remora sulla provenienza delle angurie, ne acquisto una per un euro in pratica. Le remore sulla provenienza delle angurie te le fai eccome, se pensi a quel che c’e’ in giro. Vedo campi coltivati ad immondizia. Fiumi le cui sponde son coperte da sacchi, sacchetti, stracci e straccetti che riempirebbero una discarica. Su un ponte c’e’ una mucca, sotto quella mucca, sul fiume, c’e’ una carcassa, di una mucca. Il fiume sembra un fiume di merda. Credo escano gli spettri da quelle acque. Non oso immaginarmi il Gange, zio c. Per strada poi, vedi parecchie cose: ad un incrocio ad esempio, uno scemo col suo chioschetto offre i suoi servizi da barbiere. Ora dico, come cazzo pretendi che un becero si fermi da te, in mezzo alla strada, a farsi sbarbare mentre si ciuccia un quintale e mezzo di polvere e smog?! Ti e’ andato di volta il cervello?! Bah.

Nell’ultimo tempio invece, quando sto gia’ piu’ pensando alla scorpacciata di anguria che andro’ a farmi piu’ che al tour della citta’, vedo le scimmie. Sono l’unica differenza dal tempio precedente. Potrete pensare che sono un osservatore grezzo e disattento, e la cosa e’ verosimile. Ma che palle oh, vedere 4 piere tirate su e colorate di bianco, con un elefante davanti e un tipo a milleottocento braccia dietro (nel caso, Ganesh e Kali’). Ed anche se sentire dalle solite guide non autorizzate le storie delle varie divinita’ mi piaccia – del tipo sentire che Ganesh, la divinita’ che impreco di piu’ (famoso il mio “porco Ganesh”), e’ un simpatico e gentile elefante reincarnazione di Shiva – dopo un po’ mi scasso le palle. E’ troppo incasinato, lurido e puzzolente a tratti. Le scimmie qui vagano ovunque e si nutrono degli scarti della gente. L’unica cosa che differenzia le scimmie da tanto bambini per strada qui, purtroppo, e’ che le scimmie non indossano vestiti. Poi basta.

Esco dal tempio  e mi faccio guidare verso casa. Salgo in albergo con la mia angurietta che divoro in 5 minuti sul tetto dell’albergo. E’ panoramico! E sopra la tettoia che mi fa da schermo solare c’e’ uno stormo di piccioni. Zio can. Mandala, Shangri-La, ciucia qui e ciucia la.. no, finora, non ci sono proprio dentro, diciamo.

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