domenica 21 luglio 2013

Cody Nite Rodeo

Sono le 8 della sera, il sole picchia ancora sulle teste di parecchia gente, quando si accendono le luci al “World Famous” Cody Nite Rodeo. Siamo nella pacifica cittadina di Cody, Wyoming, 53 miglia ad est del parco di Yellowstone. Citta’ del famoso “Buffalo” Bill Cody, il cacciatore, politico, showman, businessman che piu’ di ogni altra persona ha rappresentato lo spirito del West nella mente di milioni di persone.
Il rodeo sta al cowboy come la pasta all’Italia. Ed il cowboy sta al Wyoming come la pizza sta a Napoli. Sebbene pensando ad un cowboy si possa pensare al Texas – a ragione – ora quella cultura li’ a sud sta scomparendo, soppiantata in modo legale o meno da sombreri, tacos e margaritas. Messicani, insomma. Ovunque. I cowboy sono “long gone”, come si dice qui. Cosa di una volta, ricordi dei bei tempi andati, quando i cowboy radunavano le mandrie giu’ al Pecos e il saperci fare a cavallo aveva senso, valeva denaro, e magari qualche donna in piu’. Qui in Wyoming invece la cultura, l’immagine e’ ancora viva. Debole, ma sopravvive. D’altronde, il simbolo dello stato e’ il cowboy che cavalca un bronco imbizzarrito. Salutando alzando il cappello, con una mano. Cosa che un vero cowboy sa fare peraltro. Il Wyoming incarna la cultura cowboy meglio di ogni altro stato qui. E Cody e’ un ottimo posto per vedere cosa tutto cio’ vuol dire. Lo si scopre parlando con la gente anzitutto, vedendo come vivono, come lavorano sodo, come sopportano il clima e madre natura, come convivono e combattono con lei. Lo si vede visitando una fattoria, un ranch, un allevamento di bestiame. Ma lo si vede anche in un rodeo. Versione un po’ turisteggiante, ma pur sempre stampo della realta’.
Il rodeo. L’arena. Le gradinate. I corrals attorno dove vengono tenuti cavalli, tori e vitelli. E un sacco di cappelli (da cowboy), jeans, camice, cinturoni e stivali. Ovviamente. Non siamo mica a San Francisco. Per fortuna.
 
Cody Nite Rodeo, Cody, WY. Copyright Emanuele Canton, 2013

L’aria si fa frizzante quando entrano i primi contendenti per il “Bronc Saddle riding”. Cavalcare per il tempo piu’ lungo possibile un bronco infuriato, con sella. Non bareback. Speroni giu’ fino alle orecchie del cavallo – penalita’ altrimenti – una mano in aria, e via. Non una cavalcata piacevole, e nemmeno molto lunga.  
Bronc Saddle riding. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
C’e’ grande eccitamento e partecipazione per il “Team roping”. In questa specialita’ due cowboys collaborano per tirar giu’ un vitello, uno dei due prendendolo al lazo per il collo, l’altro (compito ovviamente ben piu’ arduo) cercando di catturare entrambe le gambe posteriori. A me sembra impossibile, eppure c’e’ chi riesce a farlo. Penalita’ sono assegnate nel caso di cattura di una sola gamba o di partenza anticipata, lasciando meno possibilita’ al vitello di scappare. Questa disciplina richiede una padronanza magistrale della cavalcatura, del lazo, e di un’ottima dose di tempismo. Un buon cavallo – parliamo di 30-40mila dollari di bestia – e’ una garanzia.
Team roping. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
Copyright Emanuele Canton, 2013

Quando poi si arriva ad un classico – il barrel racing – si va giu’ veloce. Scopo della competizione, lanciarsi a tutta velocita’ verso un barile, girargli attorno, virare a 90 gradi verso un altro barile, aggirarlo, fiondarsi verso un terzo barile a fondo pista (i tre barili formano un triangolo isoscele, se le mie nozioni di geometria non m’ingannano) aggirare anch’esso e fulminare il cavallo verso la linea di partenza, a tutta birra. In questa disciplina un cavallo veloce ovviamente aiuta, ma essere leggeri ancor di piu’. E’ cosi’ che vedi ragazzine di 13 anni – dico 13 anni! – spronare i cavalli al massimo, rimbalzare sulla sella mentre la bestia macina terreno, e finire in cima alla classifica. Spaventoso. Mi commuovo, perche’ io cadrei per terra, perche’ io alla loro eta’ non sapevo manco stare sui pattini (nemmeno ora lo so fare ho idea), e perche’ pensare a quanto brave siano e quanto coraggiose anche, beh.. a me fa un certo effetto. 
Barrel racing. Copyright Emanuele Canton, 2013
 
Copyright Emanuele Canton, 2013

Tutti pero’, si sa, attendono la ciliegina sulla torta, l’apice del divertimento, il culmine della serata. Il bull riding! Si apprestano 6 tori che a me sembrano enormi ma che mi vien detto essere “roba tranquilla”. Un cowboy viene quasi sbalzato via dal toro ancora dentro al corral. Cacchio se saltano ste bestie. E quando si apre il cancello.. via! Obiettivo, stare in groppa il piu’ a lungo possibile, senza regole, senza limiti. Solo avere il culo appoggiato al toro. Inutile dire che durano poco i ragazzi la fuori. Ma e’ bello vedere la loro determinazione. Non invidio affatto i clown addetti a distrarre il toro appena dopo la caduta del cowboy, invece. Credo sia la parte piu’ pericolosa di tutte. Non so se preferire essere inseguito da uno di quei cosi o da un bisonte, a dire il vero.. entrambi sembrano terribilmente grossi, incazzati e pericolosi!
Bull riding. Copyright Emanuele Canton, 2013

Le due ore di rodeo scorrono in fretta, piacevoli, interessanti. A me e’ venuta una voglia matta di saperne di piu’, di imparare di piu’. Conversando con un amico texano conosciuto durante la serata, son venuto a sapere diverse cose. La vita qui non e’ tutta rose e fiori, e fare il cowboy non e’ come giocare a sparare agli indiani. Voglio provarlo in prima persona. Provero' a cercare un ranch dove, in cambio del mio lavoro, mi possano insegnare a cavalcare. E mi vestiro’ a puntino: stivali (beh, forse le scarpe da trekking faranno da sostitute), jeans levis, cintura, camicia bianca e cappello texano. Sono pronto a fermarmi qui a Cody, nella valle di Wapiti per un po’. Non ho fretta. E soprattutto, ho troppa voglia di fare il cowboy per un po’! La vita e lo stile di NY ed LA, non fa per me.

venerdì 19 luglio 2013

Rangers love me


Devo essere altamente attrattivo o altamente idiota, e non so perche’ tendo ad escludere la prima ipotesi. Sono a Grand Teton, nei pressi di Jackson Lake lodge, e sto guidando il mio truck proprio diretto alla lodge, attorno alle 9 di sera, di ritorno da un giro “a wildlife”. Per nulla produttivo peraltro. Ho i finestrini giu’, e sto ascoltando un po’ di musica a volume “California” come lo chiamo io (del tipo, alto e in barba al posto). Vedo a bordo strada, sull’altro lato, parcheggiato un pickup di un park-ranger, evidentemente di pattuglia. La velocita’ e’ quella giusta, ma non sto indossando le cinture. Non mi preoccupo nemmeno di indossarle mentre passo davanti al ranger. Voglio dire, c’mon now, siamo in un parco, sto facendo le 30 miglia orarie, il massimo danno che posso fare a questa velocita’ e’ sbucciare un ginocchio a qualcuno o graffiarmi il dito un piede. Passo davanti al ranger cantando e pompando “Cruise” dei Florida Georgia line. Pochi metri dopo, cosi’ giusto per curiosita’, do uno sguardo allo specchietto retrovisore e vedo che il ranger si mette in moto, sulla mia stessa direzione, anche se senza accendere le sirene. “Beh”, mi dico, “coincidenza. Dovra’ seguire la stessa direzione”. Poco dopo metto la freccia a sinistra per entrare sul vialetto della lodge. Anche il ranger fa lo stesso, lo specchietto mi fa notare. “Beh”, osservo nuovamente, “per quanto non mi sovvenga il motivo per cui un ranger di pattuglia debba entrare nel parcheggio di una lodge, sara’ evidentemente un’altra coincidenza”. Quando il pernicioso specchietto mi fa infine notare una serie di sirene blu e rosse che si accendono subito dietro di me – sto facendo i 15 mph, se investissi un criceto probabilmente rimbalzerei – smetto di pensare a coincidenze impossibili e accosto a destra, mani sul volante e stereo spento. Magari al ranger i Florida Georgia line stanno sulle palle. Per la prima volta, vedo che il ranger e’ in realta’ UNA ranger. Anche discretamente carina. La prima domanda che mi fa e’, con sguardo sospetto, “C’e’ qualcuno la dietro?”, indicando il retro del truck. Le rispondo che ovviamente no, non c’e’ nessun altro, a meno che non esistano persone capaci di sopportare un viaggio cosi’ penoso la’ dietro. Passa poi ad accusarmi – che presuntuosa! – che mentre la passai pochi minuti prima non stavo indossando le cinture. Io, candido come la neve, “Io? Non sia mai!”. Lei poco convinta “Sei passato abbastanza lento e ho avuto modo di vederlo”. E io di nuovo “Non penso proprio, sai, e’ abbastanza buio magari non si son viste.. sicura fosse il mio truck e non un’altro?”. La cosa piu’ scema che potessi dire. Ma ho imparato una cosa dalla vita: se devi mentire, fallo con convinzione. Me lo insegno’ un professore all’universita’ (cosa si insegna nelle aule italiane eh..), che ci disse “Se non sapete una cosa durante un esame, piuttosto che far scena muta, inventate, ma fatelo con aria convinta. Magari qualcuno vi crede”. E’ quel che spero. Sto cercando di affinare l’arte al meglio. Ad ogni modo, la ranger sembra perplessa. Mi chiede, al solito, patente assicurazione e certificato di proprieta’ dell’auto, per controllare i dati con la loro centrale, come di prassi per ogni tutore della legge che si rispetti. Sento il mio cognome scandito a lettere per l’ennesima volta (credo di essere ricercato in piu’ stati io di Al Zawhairi – o comunque si scriva). Dopo poco l’affascinante ranger torna al mio veicolo, con un sorrisetto stampato sulla bocca – che solitamente equivale ad almeno 150$ di multa – e mi dice “Allora Emanuele, sei in viaggio qui? Come sta andando finora?”. Perdo un paio di denti. Dico io, da criminale di guerra ad amico d’infanzia qui?! Le rispondo che sta andando benissimo, dove son diretto, blablabla. E lei “Wow, fantastico, ti divertirai un sacco in Alaska! Quali sono i tuoi programi poi?”. Ascesso gengivale. Sono perplesso. Ma le idee giuste le ho sempre un minuto dopo. Rispondo semplicemente alle domande, sorridendo un po’ piu’ del dovuto – ovviamente sono ancora in modalita’ “evita la multa” – per accattivarmi la simpatia della donzella. Che mi domanda dove intendevo passare la notte. Le rispondo a West Yellowstone, in qualche motel – umanamente impossibile trovandosi a un’ora e mezza di macchina dalla mia posizione attuale. Altra balla difficilmente credibile ma pronunciata con la convinzione di un testimone di Jeovah. Alla fine del dialogo, lei mi saluta dicendomi “Emanuele, buon viaggio allora e mi raccomando, le cinture!”. E io, raggiante come uno scoiattolo di fronte ad una bella ghianda, “Certo, mai tolte sia mai!”. Col naso che toccava il marciapiede.

Riprendo la strada verso nord, ovviamente non diretto a West Yellowstone ma verso il prossimo visitor center, appena 5 miglia piu’ su. Immagino ci siano diverse macchine lassu’ quindi mi sara’ facile parcheggiare e schiacciare un pisolino indisturbato. Nel mentre penso: “Deve avermi fermato soprattutto perche’ attratta da me. E’ evidente. O devo averla colpita non appena mi ha fermato. Altrimenti mi avrebbe schiaffato la multazza e non mi avrebbe certo lasciato andare con quel tono”. Chiaro. Alla sua domanda “Hai nessuna domanda da pormi?”, avrei dovuto risponderle “Si, a che ora smonti stasera?”. Solita scimmia poco intuitiva, era fatta.

Arrivo al visitor center, parcheggio alla larga dal general store e dalle docce evitando di dare nell’occhio, e mi preparo per la notte. Sistemo il truck, sposto la valanga di magliette e pantaloni semi-usati e semi-maleodoranti, e mi sdraio assonnato. Passano neanche due ore che i miei occhi si aprono sotto una forte luce. E un pugno che batte sul lato del truck. “Park ranger, c’e’ nessuno dentro?”. Ora, sarebbe un po’ scemo starsene li sdraiati immobili e pregare affinche’ il ranger se ne vada, dunque apro gli occhi e, mosse le tende oscuranti, faccio cenno che si, c’e’ qualcuno e che sto aprendo la portiera. Sono in mutande ma fa niente. Con mio enorme stupore – seguito da enorme senso di “esser fottuti” – scopro che e’ la stessa fascinosa ranger con cui avevo avuto a che fare poco prima. “Ora finisco in gabbia”, penso tra me e me. E’ abbastanza: non aver portato le cinture prima, aver mentito spudoratamente poi, e infine, non ultimo, dormire in macchina (cosa che in realta’ per quanto ne so non e’ affatto fellonia). Ad ogni modo, piu’ che accecato dalla torcia maledetta che ogni piedipiatti di sorta porta con se’, rispondo (continuando la serie improbabile di balle) che mi ero soffermato troppo ad usare il wifi, che ormai era tardi per West Yellowstone, e che avevo deciso PER LA SICUREZZA MIA E DEGLI ALTRI (la scusa numero uno, geniale, da persona assennata) di accostare qui e passare la notte qui. Alla ranger devo piacere proprio un sacco, perche’ anziche’ spruzzarmi dello spray al pepe mi indirizza invece al campeggio li vicino. “Trova una piazzola e passa la notte li, pagherai domattina. Questo e’ un avvertimento”. Grazie, magnanima. Anche se avrei preferito non esser disturbato e basta. “Mi raccomando.. buonanotte”. E se ne va, perdendosi lo spettacolo di questo pezzo di avventuriero che scende dal truck in mutande, mezzo accecato, con l’atleticita’ di un ragazzo distrutto e assonnato e risvegliato bruscamente alle 11 e mezza di notte.

Onestamente, stavolta anche se sarebbe stato piuttosto sensato, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di domandarle se potevo offrirle un drink la sera successiva. Ho proprio idea che avrebbe accettato volentieri – secondo me appena ha rivisto il mio truck ha pensato “Vediamo se stavolta si sveglia e me lo domanda”. Svegliarmi mi son svegliato, ma con la luna storta. Ti sei giocata male le tue carte, cara ranger ammaliante.

Il mattino dopo, sveglia alle 6, non penso neanche alla lontana di pagare il campeggio. Fellonia enorme. Che diavolo pero’, non era previsto. Non volevo. Non me lo posso permettere. Per me sarebbe una fellonia pagare. Guido il mio truck tra un sacco di tende, qualche campeggiatore assonnato e qualche cestino pieno. Esco alla svelta, dimenticando la nottataccia e lo sguardo della ranger. Ripenso alla serie di balle da record che son riuscito a far uscire dalla mia bocca in cosi’ poco tempo, la sera prima. Riprovevole. Mi ha fatto imparare una lezione, pero’: in linea di massima, se una ranger ti ferma e’ perche’ sei stupido, piu’ che attraente. Rimediero’ per invertire il trend.

sabato 13 luglio 2013

Magic sunrise

Stamattina ero in piedi alle 5.15 per vedere l'alba da uno dei posti piu' belli del creato. Faceva freddo, ho fatto tanta, tanta fatica a lasciare il calduccio della coperta e del sacco a pelo, e a camminare un miglio appena alzato, infreddolito e senza aver fatto colazione. Io pero' credo che la natura offra i suoi spettacoli migliori non a tutti, ma solo a quei pochi coraggiosi, temerari, intraprendenti che sopportano qualche sacrificio in piu' per andarle incontro. Che sia camminare tra gli orsi o prendersi un bel po' di freddo, essa poi ricompensa con enorme grandezza i temerari che si sono di lei fidati. Ed ecco cos'e' apparso davanti ai miei occhi questa mattina, in uno peraltro dei miei scatti meno riusciti. Quando assisti ad uno spettacolo cosi' grande, il mondo non esiste piu', non ci sono piu' problemi, liti, questioni, e l'unica cosa che senti e' una lacrima scendere sul viso.

This morning I was up at 5.15 to witness the sunrise in one of the Earth's most beautiful places. It was cold, and I had to struggle quite a lot to leave the warmth of my blanket and sleeping bag, to go hiking for a mile when just woken up, chilled and without breakfast. Yet I do believe that Nature doesn't offer its best sides to everybody, but just to those brave, reckless, daring who do sacrifice something to get closer to Her. Is it through hiking among bears or suffer cold, She then reward with no limits those brave guys who trusted Her. And that's what my eyes saw this morning, nevertheless in one of my worst shots. When you witness such a magnificent happening, the world exists no more, there ain't no troubles, conflicts, issues, and the very only thing you feel is a tear falling on your face.

The Teton range. Copyright Emanuele Canton, 2013
 

mercoledì 10 luglio 2013

The old mormon barn, Grand Teton NP, Wyoming

Left barn, late afternoon, facing north-east. Copyright Emanuele Canton, 2013

Right barn, sunrise, facing north-west. Copyright Emanuele Canton, 2013

martedì 2 luglio 2013

One of the best places I've ever seen in my life


Ci sono momenti delle mie giornate in cui l’unica cosa che posso fare, di fronte a tanto stupore, tanta meraviglia, tanta magnificenza, e’ fermarmi un attimo e farmi un bel segno della croce. Non trovo altro da fare. Non trovo utile imprecare, urlare, o semplicemente star zitto. Trovo giusto e sensato fare un pensiero, rapido ed indolore, a chi non solo ha creato tutto cio’, non solo lo ha reso a noi disponibile, ma anche a chi e grazie a chi sto facendo e vedendo tutto cio’. A Lui sono immensamente grato. Sono grato perche’ vedo cose fantastiche, perche’ gli animali (finora) non mi fanno del male, e perche’ (sempre, finora) ho incontrato solo gente per bene e benintenzionata. Oggi ho ringraziato piu’ di una volta, addirittura. Evidentemente, dovevo essere in un gran bel posto penserete, vero?

Ebbene, si. In questi due giorni Theodore Roosevelt national park, nell’estremo Ovest del North Dakota, e’ entrato maledettamente in fondo al mio cuore. Vi voglio raccontare questi due giorni vissuti costantemente con i brividi. Quelli da emozione.

Il North Dakota e’ uno stato abbastanza piatto, desolato come lo definirebbe certa gente. Io quella “certa gente” la definisco ignorante ovviamente. Io ci sguazzo in posti del genere, piu’ di una spiaggia attorno a South Beach. Passo un pomeriggio intero a guidare la US 2 West verso il parco, immerso in campi verde smeraldo, sotto un cielo piu’ blu del famoso “Blue Montana Sky”. Passo campi coltivati, distese di fiori gialli, ed il tramonto e’ dolce quando i colori si fanno tenui, il caldo del giorno lascia spazio ad una lieve brezza serale, e la palla gialla sprofonda li in lontananza, laggiu’ verso il Montana appunto. Parcheggio il mio truck nel parcheggio di un motel a Watford City, 14 miglia a nord della North Unit del parco, e dormo le mie consuete 8 ore. Riposo sereno stanotte.

Mi sveglio al mattino pronto per guadagnare la North Unit. Caccio 20 dollari di benzina in macchina, compro un sacco di ghiaccio per tener fresca l’acqua e un po’ di formaggio (questo offre di fresco la mia dispensa in giornata, altrimenti solo barattoli e pasta), e parto. Ai ranger del visitor center chiedo un permesso per il backcountry, quindi per dormire una notte in tenda. Permesso che decidero’ di non utilizzare, visto che il backcountry non e’ cosi’ back. La strada a North Unit non dista mai tanto piu’ di un paio di miglia. Un tiro di schioppo in pratica. Guido le 14 miglia dello scenic loop del parco, dove mi imbatto nella mandria di bisonti, e in qualche overlook degno di nota. River bend overlook lascia quasi senza fiato il turista che si affaccia su queste badlands inverdite da erba, cespugli e qualche piccola foresta di juniper pine. Oxbow overlook, alla fine, lo uccide del tutto. Non posso far altro che restare immobile per qualche minuto, a lasciarmi colpire e disintegrare dalla bellezza della scena. Il Little Missouri porta le sue acque verso est, e i suoi meandri all’apparenza fangosi riflettono la luce del sole, fanno splendere le colline, rendono incantato il posto. Decido di camminare fino a Sperati point, 0,8 miglia piu’ avanti, per un close-up e un posto piu’ isolato. Non mi piace avere gente intorno in questi momenti, potrebbero anche vedere un mio occhio lucido. Cammino – super attento a cosa faccio. Al visitor center sentivo di un ranger uscito al mattino e tornato dopo mezzora con 6, dico 6 zecche! Avendo gia’ avuto questi spiacevoli ospiti per 2 volte, vorrei evitare un terzo incontro, quindi cammino con pantaloni lunghi nonostante il caldo. Ho cura di infilarmi la maglietta in essi, e di spruzzare spray anti-qualsiasi-insetto-e-con-velenosissimi-prodotti-chimici-ho-idea su pantaloni, maglietta, e me stesso. Terrei lontano anche un leone affamato, nutro dubbi su zanzare e zecche comunque. Cammino evitando l’erba alta. Tengo le braccia attaccate al corpo e sollevate, a mo’ di jogging. Potrei sembrare un cretino – anzi toglierei il condizionale – ma son sicuro di poter ridurre le percentuali in questo modo, e questo e’ cio’ che conta! Arrivo al viewpoint, solo, e ammiro. Nella mia mente, mentre braccia conserte osservo badlands a destra e a sinsitra, gli strati geologici chiaramente visibili tra i rossi, gialli e grigiastri delle argille, le cime ricoperte di erba fresca pastura per bisonti, il fiume li sotto, scorrono immagini antiche. Gli indiani storici abitanti della zona. I bianchi, i Custer che realmente attorno al 1850-60 invasero la zona. Le guerre che qui intorno presero atto (la riserva indiana di Fort Berthold e’ mezzora a nord-est di qui, Standing Rock, famosa per essere stata la riserva di Toro Seduto, un paio d’orette a sud-est). Immagino i pensieri che scorsero nelle menti di Lewis e Clark, i due famosi esploratori che nel 1812-13 (se non ricordo male) esplorarono per primi il West fino alla costa sul pacifico. Si dice che i due trascorsero piu’ tempo in North Dakota che in qualsiasi altro stato. Si dice, anche, perche’ questo piu’ di ogni altro posto colpi’ i due esploratori.

Mi godo la giornata con un’altra camminata di 4,5 miglia in mezzo a badlands e qualche altro overlook in compagnia di un paio di americani dalla qui vicina Watford City. Non vediamo bisonti, i viewpoint sono piu o meno sempre quelli, ma ci fermiamo lo stesso, comunque. Sarebbe un delitto non farlo. C’e’ gente che si ferma a guardare ogni singolo grattacielo di Manhattan: perche’ diavolo non si dovrebbe (non sprecare, ma) investire qualche secondo della propria esistenza davanti a cotanta meraviglia? Uno dei miei compari americani mi racconta, tirandomi un po’ su il morale e facendomi riflettere sul fatto che non tutti i newyorkesi siano degli insulsi, che un suo amico prende l’aereo ogni estate da Manhattan per raggiungere questo parco e passarci qualche giorno. Una notizia che illumina la mia giornata ancor piu’ di quanto gia’ non lo fosse.

Decido di guidare la mia macchina fuori dal parco per la notte, scegliendo come meta Painted Desert, un overlook/area di sosta lungo l’interstate 94. Guido per un’ora con la National Grassland alla mia destra, un sacco di polverose strade rosse, emblema del “countryside” americano, che portano verso selvagge praterie e pascoli verdi. Non mi ci addentro, comunque. Proseguo, godendomi la strada, finestrino aperto, braccio fuori, musica country a tutto volume, occhiali su. Arrivo a Painted Desert, un posto decisamente curioso. E’ considerato all’interno del parco nazionale, anche se si tratta quasi solo di un overlook. C’e’ un solo sentiero che per un miglio scende e ti porta un po’ nel cuore delle badlands, e un visitor center con souvenirs sul parcheggio. Null’altro. Questo parcheggio funge anche – anzi, principalmente – da area di sosta, munita di bagni e acqua potabile. Ottimo posto dove passare la notte, per quanto mi riguarda. Il panorama e’ fantastico. Ti permetto ti andare a dormire con un tramonto da favola, e di consente di svegliarti con uno spettacolo cosi’ dolce che raramente i tuoi occhi possono assaporare. Sono ormai le 7.30, e mi preparo la cena. Un’ottimo pane vecchio di 5 giorni con 4 fette di formaggio ed un barattolo di piselli. Da Gambero Rosso. Il fatto e’ che puoi mangiare anche una merda con un po’ di sale e pepe di fronte ad un posto del genere.. e ti sembrera’ quasi commestibile. Se non passabile. Godo di un tramonto da cartolina, il vento fresco della sera che raffredda la mia pelle ancora calda dal giorno trascorso sul sentiero. La fotocamera, nemmeno in mano al piu’ bravo dei fotografi, in questo posto come in quasi nessun’altro, non saprebbe catturare appieno la magia del posto. Mi accontento dei risultati ottenuti, e decido di contemplare lo spettacolo senza foto, solo con la mia mente e il mio cuore. Vengo solo interrotto da una ragazza di origini iraniane, residente in California, che inizia a parlarmi. Non la mando via dicendole “Scusa, devo vedere il tramonto”, ovviamente. D’altro canto, un po’ di compagnia fa sempre piacere.

Il giorno dopo sono in piedi alle 6.30. Quando realizzo l’ora, apro le tendine nel truck, e vedo che ormai il sole e’ gia’ levato in cielo, impreco. Sfumati i miei piani di assistere all’alba. Per due cose, troppo sonno, e troppo presto sorge il sole. Pazienza. Mi faccio del caffe’latte al volo (dico, con acqua fredda.. sara’ un tonico quando saro’ in Alaska.. sto gia’ imprecando per questo) e decido di camminare quel miglio fino giu’ nelle badlands. Cosi’, di primo mattino alla buon’ora. Per svegliarsi fuori. Infatti rischio di finire giu’ per una collina al primo scalino. Tutto sommato arrivo giu’ senza danni, controllando tracce di bisonti e scrutando l’orizzonte. Di bisonti manco uno, ma lo spettacolo e’ grande. Il silenzio delle praterie. Il fruscio della wild sage, degli arbusti scossi dal vento. I richiami di tanti prairie-dogs in lontananza. Non posso prentedere molto di piu’ per svegliarmi in realta’. Potessi scegliere di svegliarmi cosi’ ogni giorno, saprei gia’ in partenza di avere davanti un’esistenza felice.

Per la giornata decido di inoltrarmi a South Unit e di fare una bella camminata nel cuore del parco, sperdendomi un po’ lungo qualche trail. I miei amici americani non son fatti proprio per camminare (almeno, una buona parte di loro), e mi e’ facile sfruttare questo piu’ il fatto che e’ lunedi’ per isolarmi un po’ dalla civilizzazione e dal contatto umano. Scelgo un “loop” di circa 11,5 miglia, ed inizio alle 11.30. Grandissimo cervello poi, per iniziare sotto la candela con 80F sul termometro. Il fatto e’ che per fini fotografici la luce, i contrasti che ci sono tra le 12 e le 15 non si ripetono piu’, ed anche a costo di abbronzarmi un po’ piu’ del dovuto, e di imprecare un po’ piu’ del dovuto.. corro il rischio. Cammino per 400 metri dopo il parcheggio, circondato da colline a 360 gradi e da un’enorme prairie-dog town sulla sinistra. Questi cani delle praterie (sono piccoli animaletti simili a marmotte, in realta’) scavano tane che sotto terra si estendono anche per diversi metri, lasciando il terreno in superficie coperto di innumerevoli buche che da noi condurrebbero solo a un mucchio di talpe. Piu’ o meno. Sentirli emettere i loro richiami impauriti mentre cammino in mezzo a loro, mi fa quasi provar dispiacere. Non vorrei spaventare queste innocenti creaturine in realta’. Poco dopo mi imbatto nel registro del sentiero. Decido di fermarmi e firmarlo, annotando a margine il mio itinerario. Solo un po’ di buon senso, giusto in caso. Chiudo lo sportellino metallico, lascio giu’ la penna, e nel giro di un secondo, giro un piede, faccio per alzare la testa verso il sentiero, e mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Sento un rumore, mentre appunto sto ancora alzando la testa, di zoccoli, di aria sbuffata dal naso. Esclamo ad alta voce “OH HOLY SHIT!”, e subito con entrambe le mani mi tappo la bocca, come in un film. Ho davanti a me – dico, a forse nemmeno dieci metri di distanza – un maschio di bisonte americano di circa 800 chili, coda eretta all’insu’ e sbuffante aria dal naso. Pessimo segno. Non l’avevo minimamente visto. Non tanto per deficienza mia (ma si, anche) quanto perche’ leggermente nascosto dalla vegetazione e dalla curva del sentiero. Se ne stava pacifico sdraiato nel bel mezzo della pista. Io, tempismo perfetto quanto il formaggio sul pate’ di tonno. In 0,2 secondi penso: se mi carica adesso, sono fottuto. Morto. O almeno gravemente ferito o mutilato. Se non mi carica, accendo un cerino al santo. Indietreggio lentamente, faccia al bestio, passo dopo passo. Ovviamente, non vedendo dove poggio i piedi, rischio d’inciampare malamente. Accade, e cercando di stare in equilibrio dimentico la lentezza dei movimenti per un secondo e mi dimeno per non cadere. Fortunatamente il bestio non coglie. Continuo la mia marcia all’indietro fino a che i suoi occhi non mi possono piu’ vedere. Non perche’ abbia distolto il contatto, quanto perche’ ostruito dalla vegetazione. Sudore freddo da ogni poro della pelle. “Dammit!”, esclamo sollevato. Ma l’ostacolo resta. Come proseguire? Decido di aggirare il bisonte compiendo un accerchiamento sulla sinistra, manovra avvolgente. Mi inoltro su per la collina, ignorante sul cosa si nasconda sul versante opposto. Infatti, sbucato in cima, vedo non solo un bisonte, ma il resto della mandria pascolare pacifica a un centinaio di metri da me. Porco. L’unica cosa che mi conforta e che ho il vento a favore, e finche’ non faccio il demonio di rumore e cammino tranquillo, probabilmente me la passero’ liscia. Cosi’ avviene. Quando rientro sul sentiero, ricordo di essermi detto “Ok, che questa sia la cosa piu’ wild del giorno. Sono contento per oggi. Contento di essere ancora integro.”

Mentre cammino da solo tra praterie ammantate di verde, fiori multicolore che adornano le colline, non posso non pensare alla scena idilliaca che si presento’ ai primi esploratori. Nessun sentiero, nessuna strada, nessun paletto segnalatore per le piste. Mandrie di bisonti – mandrie vere, non i 30-40 esemplari che si vedono ora – cosi’ fitte da annerire le praterie. Cervi, antilopi, qualche orso qua e la. Ebbene, c’erano anche i grizzly una volta, qui. Dev’essere stato pauroso, positivamente. Posso solo immaginare, anche se mi accontento di quel che vedo. Cammino per ore senza incontrare anima viva. Non potevo desiderare di meglio, per la mia giornata. Esploratore solitario nelle mie amate praterie del Dakota, solo tra erba, colline, e bisonti.

Quando sono ormai prossimo alla fine del sentiero, butto lo sguardo all mia destra e su una collina sovrastante, vedo un bisonte. “Toh, un bisonte”, esclamo puntando il dito verso di esso come indicandolo ad un amico immaginario. Subito dopo pero’, da un cespuglio piu’ indietro, un secondo sbuca fuori. E poi un terzo.. un quarto.. un quinto.. faccio qualche passo in piu’, e quando il sentiero gira l’angolo, vedo che l’intera mandria e’ in movimento. Non parlo di milioni di esemplari, non ne esistono al giorno d’oggi, ma vedere 40 bisonti americani in movimento fa comunque il suo effetto. Mi sono a circa 200 metri di distanza. Sembra il giusto, ma sembra ancora paurosamente poco quando sei li in mezzo al nulla da solo. Non e’ come quando sei in macchina, quando ti fermi a 10 metri a scattare foto. Non e’ come giu’ a Yellowstone (dove pure diversi idioti ogni anno vengono feriti o addirittura spediti all’altro mondo per qualche leggerezza commessa confrontando un bisonte). E quando un giovane provoca la reazione di un’adulto, e diversi capi iniziano a correre giu’ per la collina, il mio cuore inizia a battere stile “rigori finale dei mondiali”. Riprendo a camminare, veloce. Giro l’angolo ancora, e me li tolgo dalla vista. Sospiro. Pensavo, giusto prima di iniziare a camminare oggi, che i bisonti – anche se per quanto mi riguarda sono gli animali che piu’ incarnano lo spirito del West americano – sono alla fin fine solo delle grosse, forti mucche selvagge. Sto gran paio di.. Da oggi non li chiamero’ piu’ cosi’. Quando sei li’ fuori da solo a confrontarti con la natura, capisci diverse cose. Ho imparato a portare rispetto, oggi.

Tornato alla macchina, mi dirigo subito al visitor center. Ho finito l’acqua e sto morendo di sete. Una volta li riempio due bottiglie con acqua fresca, ci mischio un po’ di polvere di limonata rosa, e mi disseto felicemente all’ombra. Momento da estasi. Cerco una doccia – son 4 giorni che sguazzo nello sporco – e la trovo alle piscine comunali per 2$. Le docce piu’ fredde che mai si siano viste sulla faccia del creato. Ma funzionano sul mio corpo surriscaldato, ed anche se mi costringono a reprimere piu’ brividi (e ancora, imprecazioni) del previsto, mi lavo, mi raffreddo, e son bello che contento. Passo il resto del pomeriggio a combattere i moschini nella piccola cittadina di Medora, alle porte del parco, modesta ma carina nel suo stile west, ma inutile per me se non per la quantita’ spropositata di wifi liberi. Una miniera d’oro per un backpacker (o carpacker, come mi sto definendo ultimamente!) come me! Fatte le mie cose, faccio armi e bagagli e me ne vado. Decido di tornare allo stesso posto della sera precedente, Painted Desert, per cucinare la mia deliziosa pasta alle acciughe e per dormire stanotte. 

Ho come la sensazione che non potro’ mai averne abbastanza, di questo posto incantevole.

lunedì 1 luglio 2013

Theodore Roosevelt National Park, ND

I'll never forget the beauty of this wild land. The rolling hills of the Dakotas, the Little Missouri river that meanders through the grassy plains, the buffalo herds..  Copyright Emanuele Canton, 2013.


venerdì 7 giugno 2013

Now, it's time for some city shit

Sacramento downtown, California. Copyright by Emanuele Canton, 2013

San Antonio downtown & riverwalk, Texas. Copyright by Emanuele Canton, 2013

Beautiful, crazy, lovely Austin, Texas. Copyright by Emanuele Canton, 2013

Jackson Square, New Orleans, Louisiana, with US' oldest church. Copyright by Emanuele Canton, 2013

Florida State Capitol, Tallahassee, Florida. Copyright by Emanuele Canton, 2013

Savannah downtown, Georgia. One of the cutest cities I've ever seen. Copyright by Emanuele Canton, 2013


Seafront walk and old houses, Charleston, South Carolina. Copyright by Emanuele Canton, 2013

1982 World Fair tower, Knoxville, Tennessee. Copyright by Emanuele Canton, 2013

Chattanooga downtown, Tennessee. Copyright by Emanuele Canton, 2013

sabato 1 giugno 2013

Some wildlife - The SouthEast

Un tipo tranquillo. Copyright Emanuele Canton, 2013.

American Alligator, Everglades NP, Florida. Copyright Emanuele Canton, 2013.

Free to fly. Birds of the Everglades. Copyright Emanuele Canton, 2013.
Florida gar on the hunt. Copyright Emanuele Canton, 2013.

Io che mi prendo gioco del sottostante alligatore (non mi allighera', almeno stavolta) Copyright Emanuele Canton, 2013.

Some kind of bird. Copyright Emanuele Canton, 2013.

Cardinal, Everglades NP. Copyright Emanuele Canton, 2013.
(finalmente l'ho beccato!)

Quando il bestio mi e' volato come un aereo a due metri di distanza nella semi oscurita', me la son quasi fatta nelle mutande. Copyright Emanuele Canton, 2013.

martedì 28 maggio 2013

Deep South recap!


Com’e’ che dice il detto, meglio tardi che mai se non ricordo male..

Ed e’ con questo spirito che, in una rest area a poche miglia a sud di Tampa, Florida, mi appresto a descrivere un po’ l’ultimo periodo. Piu’ che descrivere l’ultimo periodo pero’ – quantomeno dal punto di vista di cose fatte, osservate e vissute – mi limitero’ perlopiu’ a mettere per iscritto alcuni pensieri che mi son frullati per la testa. E’ un road trip, e le ore passate in solitaria in macchina sono molte. Pensavo che il Texas fosse enorme e che, fino all’Alaska, sarei stato a cavallo per un po’. Ho scoperto che la Florida non scherza affatto: in un giorno, contando pero’ diversi stop, son riuscito a fare solo da Pensacola a Tampa. Scarsetto. Comunque, queste ore di solitarie cavalcate su highway interminabili mi danno l’occasione di radunare pensieri che altrimenti perderei per strada. Un lato positivo c’e’ sempre. Come ho preso a fare ultimamente poi, schematizzero’ i punti, di modo da essere esplicito e possibilmente meno caotico.

Non diro’ quasi nulla dei posti visti perche’ quelli appartengono a tante foto e a tanti altri racconti. Una cosa per volta. Un giorno ci si rivedra’, hehe!

1.       Una volta ancora, anche in una cazzo di rest area a sud della fottuta Tampa, Florida, in un posto dove dovrebbero esserci solo camionisti e guidatori assonnati, mi torna in mente il punto uno. Eccolo, senza fronzoli e giri di parole, nella versione v.m.18: o ho mangiato qualcosa di strano (tipo un burrito riempito di afrodisiaci) o sono in calore, non so. Non so nemmeno quale sia la piu’ probabile ad essere onesto. Sto diventando incorreggibile. I miei standard si sono abbassati clamorosamente e ormai ogni (beh ogni, QUASI ogni) tipa diventa un assalto. Credo chiederei di uscire anche ad un procione. Ogni scusa e’ buona per attaccar bottone. Anche una meschinita’ come l’andare a chiedere apposta a due tre ragazze se vogliono una foto sotto quella o quell’altra targhetta, diventa normale e tollerabile. Ogni giorno e’ “alla carica”. Si, certo, talvolta e’ quello lo spirito che ci vuole, quello “dal procione a Miss Universo c’e’ un sacco di roba in mezzo: spara nel mucchio e qualcosa salta fuori”. Si, ci vuole anche questo talvolta. Ma ogni giorno ti fa meditare il suicidio dopo un po’. Una piazzola di sosta sembra una sfilata di moda vista dai miei occhi. Credo faro’ un bagno in mezzo agli alligatori coperto di interiora di pollo giu’ nelle Everglades. Anzi, dopo Miami. Son sicuro che li ci sara’ la fine del mondo. PS. Pare proprio che in realta’ le piazzole di sosta siano un gran bel posto. Mentre scrivo al pc dalla mia panchina, vedo una bionda che a distanza di 60 metri sembra una bomba, camminare con un vestitino da cui mi pare di intravedere un costume rosa – solo la parte sotto del costume – a piedi scalzi verso la macchina. Ci sale e rimane ferma per un po’. Le lancio qualche sguardo. Mi giro. Dopo un po’ sento una porta aprirsi e poi chiudersi. “Fatta” penso, sta venendo qua. Ha capito i miei sguardi evidentemente. Mi giro, e la vedo accendere la macchina e partire con il tipo che era appena montato. What da fuck... inutile dire che e’ stato il momento piu’ triste della giornata.

2.       Il punto due e’ corollario del punto uno: mai come in questi giorni mi sto accorgendo che mi manca moltissimo una ragazza. Dico, una stabile. Una seria. Nonostante non abbia rimorsi per cio’ che sto facendo, per come lo sto facendo, nonostante non baratterei mai un periodo a casa con una ragazza contro il tempo che sto vivendo qui all’avventura, sento che questa sarebbe la ciliegina sulla torta. E se quella ciliegina e’ made in USA, beh.. piacere di avervi conosciuti! La mia stima per le ragazze locali ormai e’ a livelli che superano lo spazio conosciuto all’uomo.

3.       Il punto tre, ancora (chi e’ frocio cambi blog mi dispiace per voi), e’ legato ai due precedenti. A N’Awlins (New Orleans, d’ora in poi NOLA), scelto un risto-bar per cena, entro con degli amici. Vedo – non mento – almeno 5 tavoli composti da almeno 4-5 SOLE RAGAZZE. Ok, no big deal direte, vero? Bene. Trovatemi un posto cosi’ a casa che non sia un locale dove ci sia un addio al nubilato. E dove le 4-5 in questione non includano 3 o 4 procioni. Poi ne riparliamo. Io avevo le lacrime agli occhi. Era un misto di invidia, commozione e tristezza. A fine serata avevo il torcicollo a forza di guardare in giro. Ovviamente non stavo guardando negli occhi i miei commensali, ovviamente.

4.       Ultimo punto legato ai suddetti argomenti. Se continuassi ulteriormente diventerei morboso, no? (Immagino ci sia gente che travolta da tutto quanto detto sopra al momento attuale stara’ leggendo il blog di Suor Germana) Il punto 4 e’ la messa per iscritto di un’idea delle mie che ho avuto mentre guidavo. Stando a qualsiasi maschio americano che ho conosciuto finora, dovrebbe aprirmi le porte del paradiso tipo (o tramite la strada che ho in mente io o tramite una o piu’ coltellate da altri maschi). Acquistero’ una maglietta bianca su cui faro’ stampare davanti “ITALIAN & SINGLE” e dietro “FREE RENT FOR 1 NIGHT!!”. Geniale ahn?! Hehe. Ebbene, si sa da film tipo “American Pie” ed e’ una delle cose piu’ Stiffler che si siano mai sentite forse. Pero’ boh, il mio sesto senso mi dice che in questo paese, nulla e’ troppo stupido. Cioe’, e’ vero, un dato di fatto. Se al supermercato ci sono cartelli con scritte le istruzioni su cosa mettere prima e cosa dopo nella busta della spesa, nulla e’ troppo stupido. Mal che vada faccio fare due risate a qualcuno, e una risata me la faccio anch’io. Ridere fa bene alla salute, ragazzi miei.

5.       Parliamo di cose normali, ora. NOLA mi e’ piaciuta troppo, ha lasciato un ricordo indelebile in me. Indelebile come il tatuaggio che ormai ho deciso mi faro’ fare – piu’ avanti, magari nel Dakota o su a S.Francisco, a fine viaggio – il fleur-de-lis. Che se qualcuno obiettera’ ricordare un po’ troppo il nemico francese, dopo esserci beccato un cartone sul muso si vedra’ spiegare che il fiore e’ simbolo di NOLA nonche’ logo dei Saints. E quello non si tocca. Ma NOLA non e’ solo fiorellini, jazz, battone dall’alba al tramonto, gente che gira con spade da 40 cm in mano, tossici, barboni, ancora jazz, cibo cajun, e il grande Mississippi. NOLA e’ anche, per me, il profumo dei gelsomini a fine maggio. Giravo per le strade in uno stato di semi-incoscenza talvolta, annichilito dal gentile profumo respirato. Mi sembrava di essere a casa, in fiorera, quando ero bambino, per un momento. E’ stato bello, per quanto breve.

6.       A proposito di odori e affini. Volete sapere il posto che piu’ mi ha ricordato casa finora? La Louisiana. Perche’? Perche’ e’ una fottuta palude come casa. Umido come il demonio umido. Nebbioso come la Padania di merda. Caldo d’estate e freddo d’inverno. L’odore poi e’ lo stesso, identico. Passare un ponte sopra una palude infestata di alligatori e guidare tra Grantorto e Grisignano in ottobre, l’odore respirato e’ identico. Unica cosa: la Louisiana e’ molto piu’ interessante. Le paludi sono belle, ci sono un sacco di uccelli, c’e’ NOLA, ed e’ pieno di alligatori. In alcune parish, gli alligatori sono piu’ degli uomini! Ah, e qui se piove un po’ non c’e’ rischio alluvione come a casa. Anche questo e’ un’aspetto positivo.

7.       In un solo giorno ho guidato attraverso 4 stati: Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida. Non e’ spettacolare?! Fa impressione!

8.       Cibo: ho mangiato del seafood a NOLA, calamari, ostriche, pescegatto e gamberetti. Si, quelli di Bubba Gump! Ovviamente, tutto fritto, che discorsi. Quando Boe (Simpson) friggeva l’intero vassoio e il bambino mangiava il tappo di una bottiglia di vetro, non si discostava troppo dal vero! Ad ogni modo, apprezzato. Apprezzata la italian “muffaletta”, ovvero un panino con prosciutto, pastrami, salamino, cheddar, swiss cheese, e olive salad, tipico di NOLA, anche se italiano quanto la regina dello Zimbabwe. Delizioso, fuori dal mondo, il gumbo. Il nome ricorda fango vero? E gli assomiglia anche. Ma questa brodaglia di pesce con gamberetti, gusci vari e granchio, e’ fantastica. Se mi servi in tavola una scodella extra-large di gumbo, una di clam clam chowder e un po’ di pane all’aglio da inzuppare, mi rendi un uomo delice.

9.       Detto cio’, i contro del cibo locale. Anzi, i contro della mia alimentazione. Produzione brufoli aumentata del 300%. So che l’immagine fa schifo, ma sono un cronista oltre che backpacker, e devo raccontare la verita’, non menzogne. E questa e’ la scottante verita’. Ora, torniamo a quando ho catturato un coccodrillo di 6 metri a mani nude. Hahaha. Dicevo, il dato e’ allarmante. E riflette la mia dieta: quando mangio cio’ che cucino io, eccetto le insalate, la frutta e qualche pasta, mangio comunque merda. I raviolini in barattolo da 98cents ormai sono come fratelli, il chili e’ onnipresente, i wursterl hanno piu’ conservanti e roba varia di un’azienda chimica. Le carote credo siano colorate d’arancione artificialmente. Su cosa possa aver dentro la carne scadente che compro ho chiare idee (procione, colombo, nutria..) Quando mangio fuori la musica non e’ diversissima. Mi sono buttato alla scoperta di nuove catena alla ricerca dell’hamburger perfetto (o del piu’ mortale), e sto mangiando un hamburger qua e la. Finora vince WHATABURGER con il suo BBQ cheddar burger. Fantastico, grande, ottima salsa e cipolle cotte a puntino. Il mio fisico pero’ ne risente. Oltre a brufoli (non tanto sul viso, quanto in posti impensabili – come un polpaccio - , dove di solito non crescono, sintomo che ne stai mangiando di ogni), ho perso notevolemente tono muscolare, e mi sento in forma quanto mio cugino. Lo chiamero’ GL, per mantenere la sua privacy! J

 
Credo di aver finito. Anche perche’ mi sarei anche rotto le scatole di scrivere. Sono senza maglietta in mezzo a orde di moscerini della Florida. Ah, e sono anche in compagnia di uno scroiattolo, di qualche uccello fracassone, e di un sacco di formiche. Queste sono delle rompicazzo inimmaginabili. Mi hanno dato il benvenuto in Louisiana mordendomi ovunque. Ora ho la zampa destra che sembra l’ala di un pollo al supermercato.
Osservando lo scroiattolo scavare per terra e ramenare nel terreno spero si stia nutrendo di quelle formiche bastarde, anche se dubito che gli scroiattoli si nutrano di formiche.
Beh, saluti dalla Florida. Il sole tramonta su un cielo rigato da qualche strisciolina di nuvole, che accendono l’orizzonte variando l’altrimenti monotonia del blu. Una tiepida notte in Florida si avvicina per me, ed e’ quindi ora di tornare a rinchiudersi nel truck per la notte. Truck che per la cronaca ha ripreso a malfunzionare. Speriamo bene. G’night!

Integrazione: il giorno dopo e' diventato uno dei giorni piu' belli del viaggio. Sono arrivato nelle Everglades finalmente, ed oltre ad aver visto alligatori, averne toccato uno (selvaggio, dico) sulla coda, aver catturato e tenuto in mano una tartaruga azzannatrice, dopo aver visto miliardi di uccelli e di pesci diversi (compreso il Florida Gar!), finalmente sono tornato back to the wild!
Ma l'highlight del giorno e' stata la doccia. Dopo 3 giorni di sudore, non ce la facevo piu', ero piu' appiccicoso di un lecca-lecca usato. Non posso usare la mia doccia portatile qui in mezzo a tutti, e decido di provare una provvidenziale area per camionisti dove il benzinaio offre anche docce. Domando quanto vengono - stupidamente pensando potessero essere gratis se facevo benzia anche. 12$, la risposta. WTF???!! No grazie, "un po'" troppo care per me mi spiace. E mi avventuro fuori. Passo davanti al bagno. Lo vedo aperto. Entro, e c'e' una doccia. Apro l'acqua, e funziona! Idea malsana. In un baleno sono in macchina a racimolare tutti i vestiti e i bagnoschiuma e quant'altro necessari per la doccia. Impacchetto tutto in zaino e balzo dentro al bagno. Sono dentro. Cerco di fare il piu' veloce possibile, mi cago addosso al pensiero della SWAT che entra a fucili spianati per catturare me, il fellone. La doccia piu' veloce ma anche la piu' gratificante del secolo. Fredda che piu' fredda non si puo'. La mia pella torna a respirare. Mi rivesto in poco tempo, esco con sguardo piantato a terra, senza guardarmi in giro. Tiro tutto in macchina e me la filo via. Nessuna sirena della polizia, fantastico!
Ce l'ho fatta!
Questo ha reso la mia giornata - un risparmio di 12$ signori! - una gran giornata. Per un backpacker questi son giorni da ricordare.

lunedì 20 maggio 2013

Road Trip USA, SouthWest - Some more pictures

Road to Paradise. Exiting Mono Lake, facing Yosemite heights, California. Copyright Emanuele Canton, 2013

One heck of a road. Death Valley NP, California. Copyright Emanuele Canton, 2013

The Palace at Mesa Verde NP, Colorado. Copyright Emanuele Canton, 2013

Big thunderstorm approaching. Big Bend NP, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013

Historic Alamo, San Antonio, Texas, where in 1836 a handful of brave Texans gave their lives fighting the Mexicans for indipendency. Copyright Emanuele Canton, 2013

Hamilton Pool, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013

Texas State Capitol, Austin, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013

mercoledì 15 maggio 2013

Fotoriassunto: un mese di roadtrip USA

Visto il poco tempo a disposizione per scrivere, vi tengo aggiornati con qualche foto del mio ultimo mese. Ho cercato di riassumere un po' gli highlights, i posti piu' degni di nota, le cose piu' strane o eccitanti capitatemi. Le foto non sono le migliori, e non rendono molto in quanto sbiadite e sgranata dal ridimensionamento necessario (compressione).
Spero diano comunque un'idea di cosa sta passando per i miei occhi e per la mia testa.
Da Austin, Texas, tanti saluti da un Manu indaffarato, spesso stanco, spesso affamato, spesso sporco.. ma felice come una pasqua per quel che sta facendo!


Death Valley @ Badwater Basin. Copyright Emanuele Canton, 2013
Il punto geografico piu’ basso in Nord America. Vorrei dire anche il piu’ dannatamente caldo in quel giorno, il termometro segnava 105F. Scoprite voi cosa equivale in gradi. La Death Valley non e’ pero’ solo deserto: ci sono diverse montagne, e la vista da Wildrose peak o il tramonto a Dante’s view sono cose che non dimentichero’ facilmente.

Hermits Trail viewpoint @ Grand Canyon NP. Copyright Emanuele Canton, 2013
La Hermits e’ una delle piste meno battute a Grand Canyon, complice la lontananza dal villaggio e la “minor attrattivita’” rispetto a sentieri piu’ blasonati. Resta degno di nota comunque lo spettacolo che solo Grand Canyon sa offrire. Io appartengo a questo posto, lo sento mio. E’ uno di quei posti, nel paese, dove ogni volta che entro, mi sento a casa. Ormai conosco ogni angolo del villaggio, e ora che sono sceso giu’ al fiume, piu’ o meno anche ogni sentiero tra quelli principali. E’ meraviglioso laggiu’.

Mooney Falls before the climb down. Copyright Emanuele Canton, 2013
Spettacolare Mooney Falls nel canyon di Havasupai. Una mini-scalata di circa 25 metri conduce ai piedi della cascata. (Io continuavo invano a domandarmi dove fosse il sentiero: semplicemente non riuscivo a trovare una strada che mi conducesse giu’. Dopo aver provato a scendere attraverso rocce e sassi alla ben’e’ meglio, tornato sul sentiero chiedo ad una signora dove diavolo fosse la pista per scendere. “C’e’ la scala laggiu’”, mi veniva detto.)

Petrified Forest NP. Copyright Emanuele Canton, 2013
Petrified Forest, ho amato quell posto. Mi ha ricordato terribilmente il South Dakota. Sembravano le Badlands, in miniatura. Ma con un sacco di trochi d’albero pietrificati, ricchi di colori. La guida attraverso quelle Badlands al tramonto, il pasto solitario in mezzo alle praterie, e il ranger che mi scopre a dormire in macchina e mi scorta gentilmente all’uscita.. sono il resto dell’avventura.

Canyon de Chelly vista. Copyright Emanuele Canton, 2013
Riserva Navajo. Canyon de Chelly e’ detto fratello minore di Grand Canyon. In mio parere, molto minore. Ci arrivavo con aspettative molto superiori, e ne son rimasto un po’ deluso. Non e’ nemmeno comparabile a Grand Canyon a dire il vero. La cosa stupefacente, comunque, e’ che i Navajo tutt’oggi vivono nel fondo del canyon, e dai diversi viewpoint si possono intravedere le sparute fattorie, qualche jeep, i cavalli e le mucche che pascolano liberamente sulla vegetazione che cresce nei tratti ombreggiati. Diverso.

Monument Valley, a Mesa. Copyright Emanuele Canton, 2013
Non ho volute sprecare le mie foto migliori per questa location. Ovviamente, le tengo per occasioni migliori, mi spiace! Il posto comunque e’ degno di nota. Nonostante la strada non sia certo da guidare in 500 (ho avuto difficolta’ con il mio Explorer in certi punti), e nonostante sia gestita in maniera poco furba dai Navajo (credo siano un popolo di simpaticoni  tutto sommato, ma poco inclini al commercio “astuto”), il paesaggio e’ unico. O quasi. Famosissimo di sicuro. Il loop di 17 miglia giu’ nella valle e’ un must. Bisgona prepararsi a polvere rossa ovunque. (I vetri del mio Explorer ne sono, dopo 3 settimane, ancora incrostati, cosa che mi fornisce protezione la notte quando dormo in macchina!) Ingresso 5$. La Valley of the Gods, poco piu’ avanti, non e’ nemmeno un parco ed e’ gratuita, e praticamente deserta. Scegliere la seconda per evitare le folle di Monument Valley.

Nowhere’s shack. Copyright Emanuele Canton, 2013
L’America tante volte e’ anche questo: ghost-towns che una volta fiorirono (spesso e volentieri per qualche boom minerario o perche’ la ferrovia inizio’ a passare vicino alla citta’, come in questo caso) e che poi, inevitabilmente, si spopolarono. Ad oggi rimane qualche vecchio abitante – si contano sulle dita di una mano – e tanti cartelli del tipo “CLOSED” o “KEEP OUT”.

Carlsbad Caverns NP. Copyright Emanuele Canton, 2013
Uno dei sistemi di caverne piu’ belli al mondo, meglio conservati e sapientemente gestiti. C’e’ in programma una ricostruzione del sistema elettrico tramite installazione di luci a led per risparmiare energia e ridurre l’impatto sulle formazioni rocciose. Inoltre, li ho scoperto quanto l’americano voglia essere comodo: ho trovato toilettes perfettamente costruite e mantenute, con carta igienica e acqua corrente, un ascensore ed un chiosco dove poter fare colazione, il tutto giu’ in profondita’ nelle caverne. La cosa mi ha lasciato a bocca aperta. Oltre alla pigrizia dell’americano, mi ha fatto meravigliare di fronte all’ingegno umano (americano peraltro!) – non fatemi fare paragoni con le caverne italiane se no mi viene da imprecare. Se c’e’ un chiosco che vende biglietti all’ingresso mi sa che e’ tanto.

Gopher Snake, Guadalupe peak, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013
La creatura sulla quale stavo per camminare sopra durante la mia ascesa del picco piu’ alto del Texas. La visuale da lassu’, un chiaro 360’ su uno stato che assolutamente sto rivalutando. Non e’ la piatta distesa di allevamenti che si puo’ immaginare. Il Texas e’ molto altro.

Big Bend’s Chisos mountains, Big Bend NP, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013
Non ho potuto non innamorarmi di queste montagne che, per quanto piccole, offrono un ambiente cosi’ unico e raro che e’ impossibile non adorare. Terra desertica ma elevata a piu’ di 1600 metri d’altezza, regno di orsi neri e puma, ragni e serpenti, e panorami mozzafiato sul deserto circostante. Questo e’ il Chisos Basin. (ah, e free-wifi tutto attorno al visitor center, con prese per la corrente sul patio della lodge. Fenomenale)

Big Bend’s tarantula. Copyright Emanuele Canton, 2013
Quando ne ho schivata un ache mi ha attraversato la strada, ho pensato: “Cazzo che bestia! Doveva essere per forza una tarantola, cosi’ grande”. Avevo perso l’occasione di vederla da vicino, pero’. Dopo 500 metri, eccone un’altra che scorgo a bordo strada. Hanno le dimensioni di un criceto, non puoi non vederle, nere e pelose come sono sulla sabbia ocra del deserto. La seconda volta inchiodo e mi fermo. E’ enorme. Vederla “selvatica” e non rinchiusa in una teca fa un altro effetto. Prendo un bastoncino e provo a stimolarne un attacco. Niente. Non mostra nemmeno i denti o alza le zampe come le si vede fare in tv, nei documentari. Ne deduco che la cosa e’ fattibile.. e poso la mia mano a terra, mentre il ragno delicatamente cammina sopra di essa. Che esperienza! Le zampacce pelose della bestia sulla mia mano! Ho sudato freddo per qualche secondo, e poi.. puf, andata. Camminano dannatamente veloci, those lil’ bastards!

The Rio Grande, Big Bend NP, Texas. Copyright Emanuele Canton, 2013
Ecco da dove vengono I messicani. A sinistra, vedete gli USA. A destra il Messico. Io pensavo – da ignorante – anche dato il nome, che il Rio Grande fosse un fiume GRANDE. Ebbene, una volta giunto li, dopo aver letto cartelli su cartelli di stare attenti, ci sono i messicani, tenteranno di venderti roba, cio’ e’ illegale, se gli dai corda attraversano il fiume e cio’ e’ un crimine, guarda i tuoi effetti.. insomma, sembrava di entrare in territorio di guerra. Immaginavo un fiume enorme sorvegliato da pattuglie fluviali del Border Control e orde di messicani assiepati dalla parte opposta a mo’ di colonia di pinguini, pronti a gettarsi in acqua e tentare l’attraversamento. Arrivo e mi vedo sto fiumetto da due soldi. Rimango a bocca aperta. “AND THAT’S IT?!”, esclamo! Ebbene, si. Ad ogni modo il canyon e’ carino. Ci sono i messicani pero’, attenzione!