domenica 30 dicembre 2012

Guerra al disordine, lavoro, Dallas

Qui si sta mettendo male eh, vi avviso. Se le cose continuano cosi’, mi metto in testa l’elmetto, tiro fuori l’artiglieria e parte la guerra. Il campo di battaglia sara’ la casa dove vivo ora. La zona rossa, la cucina. Io semplicemente non posso vivere in un casino del genere. Saro’ pure zingarante alla grande quando sono per conto mio, soprattutto in macchina, ma almeno so che l’onto prodotto e’ farina del mio sacco. Non vorrei dover riposare, mangiare, sedermi e vivere in un posto lercio di farina che non e’ del mio sacco. Da backpacker ancora un po’ raffinato come sono, non riesco ancora a calarmi in questa situazione – e onestamente spero di non volermici calare mai! Capisco che siamo tutti giovani, che alcune ragazze qui sono 18enni e non gliene sbatte un cazzo di niente via di far su due soldi e trombarsi qualche foresto una volta ogni tanto, capisco che siamo tutti stanchi dopo lavoro ma oh.. ci vuole tanto a mettere due piatti in lavastoviglie?! A questo punto pero’, il lettore mi perdoni una lieve regressione per narrare lo stato pietoso della zona di guerra, in un minuzioso quanto raccapricciante diario delle condizioni di vita in questo luogo infetto (a giudicare poi da mosche e insetti presenti ogni giorno qui dentro, grazie alle porte aperte e mai chiuse – nati in barca qua – potrei pensare circolino diverse malattie solo dentro casa).

Entrando dalla porta di servizio, alla sinistra l’utente trova un frigo che sembra normale all’apparenza, ma come ben risaputo l’apparenza inganna, ed aprendolo si verra’ sommersi da un’ondata di effluvi malsani che sembrano pesce in decomposizione misto a verdura di pessima qualita’. Devo ancora appurare la vera fonte di tali effluvi, anche se non ci tengo granche’. Lascio la gloria a qualcun’altro. La cucina che subito si fa avanti alla sinistra del frigo e’ un vero e proprio macello: attualmente vi si possono contare, tra angolo cottura e bancone/tavolo da pranzo, 15 tazze, 5 scodelle, 2 bicchieri, 4 piatti e un’esercito di posate, sporchi, alcuni con ancora avanzi di cibo da diversi giorni, lasciati li. Senza contare scatole di cibo vuote, carte e cartine varie, confezioni di cibo aperte. Ah, e due tazze lasciate per terra. Con i due stracci per pulire i piatti in cucina, da quanto sporchi sono, non ci pulirei nemmeno il culo di un maiale. Le briciole sono ovunque, sotto il frigo, davanti al microonde, sul bancone, per terra. Sembra quasi che le inquiline qui pensino che uno stormo di colombi o un plotone di capre passi giornalmente a pulire o mangiare il disastro prodotto. Non funziona proprio cosi’. Se l’utente comunque, non sazio e domo dall’inferno visto, volesse addentrarsi in salotto, immediatamente adiacente alla cucina, troverebbe: due paia di scarpe lasciate in mezzo, come a decorare l’ambiente. Un’aspirapolvere mai usato. 3 calzini sporchi. Due tappi di bottiglie di birra. Un telecomando. Due infradito. La custodia di un cd. Una bottiglia di latte al cioccolato vuota. Due divani semiuniti con due lenzuola e un ipod. Una macchinette fotografica. Ripeto, il tutto per terra. Infine, non so se il grigio su cui cammino sia una specie di moquette o uno strato rilevante di polvere, ma non voglio andare a fondo nella questione.

Ecco, contro tutto questo sto per iniziare a combattere la mia guerra. Un po’ come Rambo. Lui pero’ i coltelli li usava per accoppare la gente, io devo accontentarmi di pulirli. Ad ogni modo, credo iniziero’ con qualche frase tranquilla, accompagnata da un bel sorriso, del tipo “Che ne dite se iniziamo (ma si, mi ci butto dentro anch’io, menzogna) a mettere direttamente in lavatrice le cose sporche?!”. Poi, anzi forse subito, passero’ a post-it semi-minacciosi, del tipo “Preferirei evitare di svegliarmi e trovare tutto sto casino, se iniziamo a lavare le nostre cose forse funziona meglio”. Infine, cosa che non e’ poi cosi’ remota, potrei prenderle una ad una e dir loro “Eora, mi e ti no parlemo a stessa lingua.. e fin qua ghe rivo.. ma se no te capissi che vivere in sto luamaro a mi proprio me da soo che el voltastomego, teo fasso capire mi, coe bone o coe cattive! Quindi vei ben de tacare lavarte a to lea se no tea fasso leccare, anca ee bricioe che ghe ze par tera! E el goldon.. te fasso magnare anca queo! All right?!”

Per il resto, va bene. Ho l’unico giorno di riposo tra 8 giorni consecutivi il 31, cosa che mi fa molto piacere perche’ potro’ guidare fino in citta’ verso meta’ pomeriggio, comprare due-tre cosette, mangiarmi un Fergburger e vedere i fuochi li a Queenstown in compagnia di qualche amica. Inoltre, sono reduce da un paio di ottimi giorni a lavoro. Punto primo, sto cercando di lavorare il piu’ possibile, e questi due giorni son riuscito a far su 17 ore. Qui, non e’ niente male come bottino. Avete presente 8 miles, il film di Eminem? Ad un certo punto lui cerca di farsi dare piu’ turni possibili per racimolare la grana necessaria per registrare. Ecco, ora so cosa si prova in quella situazione. Hai bisogno di denaro, e fai di tutto per farti dare piu’ lavoro possibile. Elemosini al capo un’ora di straordinario, fai vedere che lavori sodo, chiedi in cucina se serve anche un lavapiatti o qualcosa del genere, sacrifichi giorni in cui saresti a riposo, pur di far su qualche ora in piu’. Eminem lo fece per registrare, qualcuno – purtroppo – deve farlo perche’ ha delle bocche da sfamare a casa. Io lo faccio perche’ devo recuperare soldi per continuare a viaggiare. Non perdo di vista il mio obiettivo.

Il punto secondo invece, e’ legato a quest’obiettivo, viaggiare. Ho conosciuto una famiglia di americani da NY alla lodge, ospiti per 3 sere. Due di loro erano i figli, due ragazzi quasi miei coetanei uno dei quali studia in un college a Dallas mentre l’altro risiede a NY. Dopo poche chiacchiere tra un drink e l’altro, e tra una zuppa e un secondo, siamo diventati buoni amici, dopotutto si condividono parecchi interessi: il football, la pesca, la storia (con uno di loro), le college girls. Haha. Io, come mi lamentavo, non posso chiedere i contatti di nessuno, li’. Ma l’altra sera, uno dei ragazzi mi fa: ‘Ah, poi lasciami il tuo contatto FB o mail, devi passare a trovarci quando vieni in America!”. E via, in portico alle regole della lodge, uahuah! E poi continua: “Quando passi a Dallas ti porto al college, andiamo a qualche party, e vedrai le ragazze, diventeranno matte solo quando le dirai che sei italiano!”. Stavo per andare via e andare a prenotare un sola andata per Dallas.
No dai, scherzo, non sono cosi’ veniale. Il fatto e’ che sono molto felice per tutto cio’. E’ cosi’ semplice socializzare anche qui per me, anche in un ambiente cosi’ elitario, aristocratico. Io sono quello un po’ fuori dagli schemi, un po’ poco elegante e raffinato se vogliamo, ma semplice, cordiale, genuino. Sono abbastanza convinto che un sorriso sincero copra tanti altri errori che possiamo fare allo stesso tempo. E di questo, faccio la mia arma migliore. Anche in questo ambiente, son riuscito a portare a casa gia’ qualche buona amicizia, dei complimenti, dell’ammirazione. Uno dei ragazzi mi ha invitato a NY di fronte ai suoi genitori, e sua madre, subito: “Ah si si, certo, devi venire assolutamente a trovarci!”. Fantastico, non ho parole.

Talvolta anche questi signori di mezz’eta’, ricchi, danarosi, quando parlano con me si meravigliano e si affascinano per cio’ che ho fatto. Le volte che son stato negli USA, gli amici che ho li, la mia conoscenza di quei posti. Uno dei ragazzi ha detto a suo padre, in fronte a me, che appena finisce il college parte e fa la stessa cosa che sto facendo io. Vedete, per me tutto cio’ e’ motivo di fortissimo orgoglio. Mi rende felice, mi carica per superare i momenti piu’ difficili, di solitudine, di tristezza. So che ci sara’ sempre qualcuno felice per me, che mi ammira, che vorrebbe condividere qualche momento con me. So che potro’ sempre colpire, stupire qualcuno, con le mie parole. E’ una gioia incredibile.

Oggi sono stato un po’ iracondo, domani saro’ piu’ tranquillo. Tocchera’ al consueto riepilogo di fine anno.

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