lunedì 31 dicembre 2012

Il 2012 che mi ha cambiato la vita


Se il 31 dicembre dello scorso anno mi aveste chiesto dove pensavo di poter essere tra un anno, vi avrei risposto probabilmente “A casa”. Se mi aveste posto la stessa domanda un giorno dopo, vi avrei risposto con ogni probabilita’ “Da qualche parte a Belgrado”. Mi ci son voluti 8 mesi, un sacco di avventure, viaggi, gioie e dolori per arrivare a contemplare la possibilita’ di rispondere “In Nuova Zelanda” alla medesima domanda. Si, 8 mesi che verosimilmente hanno enormemente cambiato il corso della mia vita, come una strada dritta, piu’ o meno, che vira bruscamente ad un certo punto. E per me, quel punto ha una data ben precisa: 30 agosto 2012. Ma andiamo per ordine. Forse a qualcuno non importera’ nulla di saperne di piu’ del mio anno, ma per chi volesse, ecco come sono andate le cose.

Il 1 gennaio di quest’anno ero in piazza S.Marco a Venezia, bellissima location per trascorrere un capodanno. Specialmente se sei in compagnia della tua ragazza, e non col Gretto (un amico). Ricordo benissimo di aver chiesto un segno, dall’alto. Un segno che mi aiutasse a prendere la decisione migliore. Ero gia’ all’epoca tentato di mollare tutto e partire, senza troppe mete, senza troppi obiettivi. Girare, vedere il mondo, conoscere gente. Non sapevo se andavo a prendere la decisione piu’ giusta per me, e ricordo di aver pregato, in mezzo alla folla esultante, danzante, urlante, per ricevere quanto prima un segno piu’ chiaro possibile. Come se tutto ad un tratto dall’alto scendesse un enorme cartellone lampeggiante con scritto cosa devo fare. Magari! Nella vita pero’, a volte accade qualcosa di strano, di inaspettato, che guardando in retrospettiva si riconosce come “un segno”. Il 1 gennaio 2012, appena all’inizio del giorno, a me arrivo’ un segno, aveva i capelli corvini, lisci da far invidia, e uno sguardo da cui semplicemente non riuscivo a staccarmi. Venni a conoscerla, si chiamava Dejana e viveva a Belgrado. Quella stessa notte, dopo aver smaltito il capodanno, in una Jesolo deserta e fredda da farmi gelare anche dentro le mutande, capii che il mio destino non era quello del giramondo. Capii che, almeno per ora, non sarei partito, se non per Belgrado. E cosi’ andarono le cose.

Trascorsi i mesi successivi in uno strano stato d’animo. Il lavoro in banca non mi era simpatico da un pezzo ormai, ed il cambio di filiale non aveva reso le cose di certo migliori. Continuavo a lavorare per guadagnare i soldi necessari per i miei viaggetti, ma ora la cosa era diversa. Ora pensavo anche a rivedere lei, cosa che comportava anche un certo impegno economico. Belgrado non e’ proprio distante come Camposampiero. Cosi’, pianificai il piano ferie in sua funzione, eliminando il mio consueto “viaggio-breve” per diluirlo in 3 puntate in Serbia. Salvavo solo i miei amati States per maggio/giugno. Quest’idea mi porto’ per la prima volta in Serbia a febbraio, in aereo, solo, nel bel mezzo di uno degli inverni piu’ duri degli ultimi 50 anni a detta di tutti. Ricordo strade totalmente sommerse dalla neve, il centro citta’ con marciapiedi con un metro di essa. Un freddo da panico. Io bello in cappottino e camicetta. Idiota. Mai ho tanto maledetto quel proverbio “Per apparire bisogna soffrire” che mia madre mi cita sempre. Fanculo, la prossima volta, mi dissi, sono MonBoot e tuta da sci. Passai 3 notti in un albergo a 4 stelle in centro citta’, spendendo quel che ho spes e soffrendo il tempo che ho sofferto per vederla per un totale di 5 ore in 4 giorni. Fui capace di prendere un taxi alle 7 di sera, nel mezzo di una tempesta di neve, per un totale di 100 km a/r per vedere lei all’uscita da lavoro, totale 15-20 minuti prima di prendere il bus. Se questa non e’ pazzia, poco ci manca. Almeno lei, rimase molto colpita. I suoi amici – forse piu’ razionali – ricordo commentarono (cosi’ mi riferi’) qualcosa tipo “Questo e’ pazzo”.

Le cose andavano tutto sommato bene, e anche se la lontananza a volte uccide, e soprattutto lascia adito a diversi sospetti (fondati, col senno di poi), sembrava che i margini fossero buoni. Tornai in Serbia dopo Pasqua, in aprile. Presi un minilocale per un paio di notti. Nella mia mente non si lavano le immagini di me e lei che camminiamo per mano in centro a Belgrado. Lei, seppur appena uscita da lavoro, tirata come il freno di una Mbike. Io in uno dei miei look migliori. Tom Brady & Giselle Bundchen. Io ero al settimo cielo, e ne avevo ben donde. Passammo una bella nottata assieme, anche se a mia insaputa dovemmo salutarci il giorno successivo. I suoi turni erano cambiati e doveva essere a lavoro anziche’ star con me. Quando, dopo averla riportata nel suo paese (60 km da Belgrado) , la salutai e le dissi che ci saremmo rivisti dopo il mio viaggio in USA, non so perche’ ma mi sentivo male dentro. Avevo una strana sensazione. Arrivato a casa, dopo un viaggio sembrato interminabile, scoppiai a piangere, tanto, senza fermarmi. Non riuscivo piu’ a controllare le mie emozioni. Vedere i luoghi dove ero stato con lei, a mangiare, a vedere la tv, a dormire. E in cuor mio non so come, sapevo che forse non ci saremmo piu’ rivisti.

E cosi’ fu.

Di lei, dopo menzogne, rivelazioni, sospetti e quant’altro, non seppi piu’ nulla. Me ne andai in America felice per il tempismo, pronto per concentrarmi sul viaggio e dimenticare un’altra, dolorosa love-story. Fu uno dei viaggi piu’ piovosi di sempre, ma mi divertii. Conobbi diversa gente, vidi vecchi amici, al solito guidai un sacco ed ebbi la mia dose di adrenalina, come quando mi trovai a 15 metri da un grizzly, o camminai su un lago ghiacciato in giugno, durante una tormenta, o infine quando, dopo essere entrato in Canada per fuggire il freddo Nord degli USA, mi ritrovai a fare il bagno ad Osoyoos. Dolci ricordi di un viaggio, tutto sommato, indimenticabile. Tornai a casa convinto che quello era cio’ che realmente volevo. Sapevo che ero stato in posti incredibili, ma di cui avevo goduto forse il 25% delle possibilita’ reali. La pioggia e la neve mi avevano troppo intralciato i piani, e gia’ dopo pochi giorni, avevo gia’ un malessere dentro. Quello del “Devo tornare, non ho fatto/visto troppe cose che avevo in mente di fare”. Quella era la strada.

Agosto fu il mese. Per tanti motivi. Solitamente agosto e’ un mese scialbo: tutti in ferie, un caldo del demonio, a casa nessuno fa nulla, con gli amici ci sono i soliti piani di 3-4 giorni al mare/montagna/lago che sembrano tanti le vacanza organizzate da Fantozzi e Filini, quindi solitamente, agosto per me e’ un mese del cazzo. Eccetto a lavoro: aziende chiuse, pacchia per il sottoscritto. Avevo risentito Dejana quasi per caso, inaspettatamente, ed anche se non avevo nessuna intenzione di tornare in Serbia col mio cuore in mano, avevo salvato qualche giorno da piano ferie, e approfittando del ponte di Ferragosto, partii con un amico verso l’Est Europa. Le mete: Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado. Le “3B” del divertimento. Si insomma, capite cosa intendo. A Budapest non ci vado certo per mangiare qualche piatto tipico o per correre lungo il Danubio. Il viaggio – a parte le sere passate a ricoprire le strade di tutte le citta’ con litri di bava colante dalle nostre bocche aperte – non mi sembro’ granche’. Nulla di eccezionale. Qualche bel posticino, quintali di *OHMYGOOOD!*, poi poco altro. In retrospettiva invece, un gran viaggio, 5 giorni da ricordare. Soprattutto perche’ mi hanno dato la spinta giusta, le motivazioni giuste.

Tornai a casa il 19 agosto. Il 30 agosto presentai formalmente le mie dimissioni dalla banca, entrando nell’ufficio tranquillo del mio direttore e turbando un po’ la quite di quel sereno, afoso pomeriggio di fine agosto. Le cose erano cambiate cosi’ velocemente. Per tanti motivi. Il primo, lampante. Avevo chiesto un segno, l’avevo avuto sotto forma di una ragazza. Pensavo il messaggio fosse “Stai con lei” o qualcosa del genere. Alla fine dei conti, il messaggio era forse “Stai piu’ lontano possibile da queste cose, per ora!”. Questo “affair” serbo mi aveva fatto varcare nuovi confini geografici, conoscere nuovi amici, una nuova cultura, ma mi aveva portato tanti dolori dentro. E’ stat dura tirare avanti mesi vedendo una persona cosi’ cara una volta a bimestre. E’ stata dura accettare che tutto era finito cosi’ di colpo, senza una spiegazione sincera, cosi’ tutto di nascosto. Alla fine di tutto, questa e’ stata la spinta piu’ grande. Perche’ restare? Non ho una ragazza, non voglio soffrire ancora cosi’ nel breve termine, quindi, girando la domanda, perche’ non partire ora? Era il momento.

Un’altra grande motivazione e’ stato il lavoro stesso. Stavo diventando un vegetale brontolone. Mi lamentavo di qualsiasi cosa. Mi stava passando la voglia di ridere e divertirmi. Non ero piu’ chi sono veramente. Vivevo e lavoravo per vivere il weekend. Ed anche li, la differenza non si sentiva troppo. La noia mi stava avviluppando. Cosa facevano gli amici, poco mi importava. Qualsiasi proposta era noiosa, senza senso, qualsiasi persona con cui parlavo mi sembrava insulsa. Sentire le stesse cose, l’animazione, la politica, il coro, il patronato, qualsiasi cosa di cui sempre abbiam parlato. Sempre il solito, orrido minestrone. I miei viaggi, un tampone temporaneo che non poteva durare in eterno. Qualcosa doveva cambiare, lo sapevo. Ne andava della mia salute psico-fisica. Come iniziavo anche a realizzare che avrei avuto una paga ben maggiore un giorno, per il coraggio dimostrato nel caso avessi preso quella decisione.

Un terzo motivo, fin troppo facile a dirsi, divennero i viaggi. Stavo iniziando a pensare solo a quello. Tornato a casa da uno, pianificavo subito nuove mete, nuove destinazioni. Mi stava diventando lapalissiano il fatto che io ero per il viaggio. E seppur il mio lavoro – privilegiato nel contesto – mi consentisse quasi un mese di vacanza, sapevo che per me, non era sufficiente. Un mese di liberta’ contro 11 di catene, non era la vita che ero per ora disposto a fare. Ora, mi sentivo troppo, troppo pronto a prendere, librarmi in volo, partire senza avere per una volta un biglietto di ritorno.

Ormai era ora. Il 29 agosto, prima di andare a letto, ricordo di aver fatto un discorso molto chiaro ed onesto con me stesso. Le fondamenta furono: se continuo a lavorare in banca, duro 2 mesi poi mi suicido. Se mollo la banca e cerco un altro lavoro qui in Italia, mi suicido subito. Non voglio suicidarmi, quindi devo mollare la banca ed andarmene di qui. Dopotutto, non ho una ragazza che mi ancori qui a Cadoneghe. Perdipiu’, ho una voglia matta di iniziare a girare il mondo. Non ho nulla da perdere qui, via che una scia infinita di noia.

Alla fine di quel mini discorso con me stesso durato uno o due minuti, avevo smontato qualsiasi motivazione residua potessi avere per stare a casa.

Nel giro di 3 mesi, dal quel 30 agosto al 21 ottobre, la mia vita si era rivoltata come un calzino. Da giovane bancario a backpacker giramondo. Iniziai a studiare itinerari, fattibilita’ economica, commiati con amici e parenti. Non mi dilungo su tutto cio’. Dico solo che sono attimi – soprattutto quelli immediatamente precedenti una partenza del genere – che mi auguro di non dover rivivere troppe volte nella mia vita. La consapevolezza di lasciarsi cosi’ tanti affetti alle spalle e di intraprendere una strada che all’inizio sembra cosi’ lunga e deserta, atterrisce anche il piu’ forte.

Beh, oggi e’ ancora il 31 dicembre, stavolta 2012. E’ passato un anno da quando, a quest’epoca, mi preparavo ad una fredda notte a Venezia. Queste e tante altre cose sono accadute nel mio anno. Quali altre? Mah, ad esempio, in 2 mesi, sono arrivato in Nuova Zelanda, ho camminato per 250 km di sentieri, guidato 8mila chilometri di strade, fatto il bagno in laghi di montagna, in splendidi oceani, ho fatto skydiving, caving, abseiling, ho conosciuto gente da un sacco di posti, ho fatto couchsurfing, ho preso un lavoro in una delle luxury lodge migliori al mondo. Ho trovato una persona speciale. Sempre col senno di poi, facendo un secco confronto, mille volte migliore di quella conosciuta un anno fa. Lei ha i capelli biondi e gli occhi azzurri, azzurri come mai visti prima.

Sembra poco?!

A me, no. Ed e’ soltanto l’inizio!

 

Io in questo giorno, nella coda di questo anno speciale che sempre portero’ nel mio cuore e che ricordero’ come l’anno in cui la mia vita e’ cambiata, voglio ringraziare Dio.

Lo ringrazio per il coraggio immenso che mi ha dato, al momento giusto. Lo ringrazio per i segni che ho avuto lungo la mia strada. Lo ringrazio per le persone, che ha messo sulla mia strada – per tutti quelli che mai mi hanno detto “No, non dovresti partire”. Grazie per i sentimenti che ho provato. Per la fortuna che ho avuto (chiamiamola fortuna? Io dico che la fortuna arride agli audaci). Per i sorrisi, i pianti, le chiacchierate. Io ringrazio Dio perche’ ogni giorno mi alzo e vedo che la fuori ci sono tante cose per cui vale la pena vivere. Lo ringrazio perche’ tanta gente il sorriso non ce l’ha piu’, e la voglia di vivere nemmeno. Lo ringrazio perche’ mi ha illuminato con dei capelli biondi e due occhi azzurri, mi ha fatto incontrare la sua strada, e spero sia nei suoi piani di farmela incrociare ancora. Io lo prego Dio, per questo.

Infine, lo ringrazio perche’ finalmente, ora mi sento veramente me stesso. Mi sento libero, felice, pieno di vita. Sento che sto vivendo senza vincoli, sto capendo cosa voglia dire liberta’, cosa voglia dire essere pieni. Ogni volta che conosco una persona valevole, o che respiro dell’aria pura, o che vedo dei fiori colorati che si specchiano su un lago, io mi ricordo che questo e’ merito di qualcuno lassu’, e’ un suo dono. Per questo lo prego.

E a voi che avete letto tutto cio’, non posso far altro che augurare un anno pieno di responsabilita’. Si, responsabilita’. Siate responsabili prima di tutto con voi stessi. Prendete le scelte che dovete e volete prendere, non mascheratevi, non riparatevi dietro scudi fittizi. E’ tutto a vostro favore. Siate coraggiosi, lottate per essere liberi. Questo e’ il mio augurio.

Manu

 

1 commento:

Unknown ha detto...

Bellissimo racconto Manu :) ;)