![]() |
Mt.Ngauruhoe from Upper Tama lake, New Zealand. Copyright Emanuele Canton, 2012. |
Ok. So che volare bassi ed essere modesti e’ sempre la via
migliore, ma oggi permettetemi di essere felice e gasarmi un po’, essere fiero
del mio corpo e delle sue prestazioni. Anche se un po’ e’ merito della mia
cocciutaggine – riflettevo che raramente ho conosciuto persone ostinate come
me, quando si mettono – gran parte del merito va anche alle mie gambe, alla mia
resistenza. Non al mio stupido ginocchio, che continua a remarmi contro non so
perche’ e mi fa fare il doppio della fatica in discesa, cosa che dunque rende
ancor piu’ pregevole la mia impresa di oggi. Si, un’impresa la chiamo, forse la
giornata di cammino piu’ dura che abbia mai avuto. Forse. Ne sto avendo diverse
di dure, per un motivo o l’altro, qui in giro. Oggi e’ stata possente comunque,
per la camminata di per se’, per l’altimetria, per il passo tenuto. Vi
snocciolo un po’ di numeri, tanto per gradire:
Dal car park agli Emerald Lakes lungo il Tongariro Crossing,
andata e ritorno per circa 17 km ed un altitude gain di 850 metri, percorsi in
3 ore. Lungo la via, deviazione per Mt.Ngauruhoe (in foto) summit, circa 4 km
andata/ritorno con un altitude gain di 1000 metri, percorsi in 1h 50’. Inoltre,
non fosse abbastanza, la parte piu’ difficile (la cima), affrontata dopo aver
fatto gli Emerald Lakes, con quindi gia’ 10 km e 850 metri di dislivello alle
spalle. E – per finire in bellezza – le condizioni del terreno, per raggiungere
la cima. Pazzesce, forse le piu’ difficili e pericolose che abbia mai
affrontato. Tant’e’ che a fine camminata ho scoperto che una trail vera e
propria non esiste, la gente che vuole avventurarsi lassu’ – sono 2300 metri –
lo fa seguendo l’istinto, l’intelletto, o le tracce lasciate da altri. Insomma,
a fine giornata, sulle mie stanchissime e graffiate gambe (seguite il racconto)
pesano 21 km, 1850 metri di dislivello, ma percorsi in un tempone: 4h 50’. Sono
molto soddisfatto, soprattutto per avercela fatta senza spaccarmi il ginocchio
malconcio che mi ritrovo. Ho tirato come un capro, e senza avere la carota
davanti. E nessuno, al solito, mi ha mai superato. Qualcuno mi ha chiesto se
vado giu’ correndo per le montagne. “Non sempre!”, ho risposto. Un’altro, un
signore che ho superato, mi fa “Ne hai di energie per andare su cosi’ eh?!” E
io, “Ho solo fatto una buona colazione!”
Ma partiamo dall’inizio.
Nell’affollato car park, che mi lascia presagire una folla
biblica lungo il percorso – stile Tre Cime di Lavaredo per intenderci, una
processione del cazzo – parcheggio di fianco a due ragazze austriache. Mi
vesto, pantaloncini corti, maglietta corta con maniche arrotolate alle spalle
per un’abbronzatura avvolgente, e zaino pantagruelico (avro’ ancora a
pentirmene). Loro mi vedono cosi’ arrembato, e una mi fa “Vai su vestito
cosi’?” Io mi guardo, penso che si, non sono il massimo dello stile ma,
efficace per un giorno di sole no?! Lei continua, “Perche’ ci hanno detto che
puo’ essere anche -10 nel punto piu’ alto (1900 metri per la cronaca), il tempo
cambia rapidamente qua e c’e’ tanta gente, dicono i ranger, che va su
impreparata e rischia grosso”. Le rido in faccia, piu’ o meno. Ormai, credo di
avere un po’ di hiking alle spalle, e credo di aver capito un po’ come funziona
lassu’. E da quel che so, direi tanto possibile quanto un cane inizi a parlare
thailandese che a 1900 metri in una giornata di sole si arrivi a -10. Lei mi
pare convincersi un po’, la sua amica invece mi risponde “Beh io la giacca la
porto su lo stesso”. Mi vengono i vermi solo a pensarci, cazzo. Ma sei
ammattita?! Bah. Girando ne vedi di ogni. Io porto su, come layer aggiuntivi,
una maglia termica lunga Kipsta, e il parka. Stop. No guanti, no cappello, no giacche & affini. Fuck it.
Do loro appuntamento in cima, conscio che faro’ ora ad arrivare, tornare
indietro e riprenderle sulla via prima di reincrociarle.
Abbondo con la cremaanche sulle braccia stavolta, il sole
picchia duro. Fortuna qualche nuvola ogni tanto mi aiuta. Salgo su, dopo aver
smaltito l’acido lattico sugli stinchi, che e’ un piacere. Un capriolo. Mi
piace un sacco quando vedo la gente arrancare di brutto, ed io li supero a lato
saltando da una roccia all’altra. Haha. Mi gasa a chiodo. Arrivo in cima e
scendo ai laghi in 1h 45’. Il paesaggio, via della semifolla che si accalca
sotto i cartelli che indicano le distanze (devono avere qualcosa che calamita
la gente, come mosche sulla merda. Perche’ fermarsi sotto un cartello piuttosto
che su un sasso qualsiasi?! Boh) e’ veramente degno di nota. Sto attualmente
camminando sopra una specie di enorme caldera. Si sente odore di zolfo qua e
la, specialmente se il vento soffia nella tua direzione e ti porta l’odore di
tutti i soffioni che immettono zolfo nell’aria. Se ti fermi a contemplare la
scena, e’ piu’ o meno cosi’, dall’alto sugli Emerald Lakes: in fondo alla
discesa, scoscesa e semisabbiosa, 3 laghi uno piu’ smeraldo dell’altro, 2 alla
stessa altezza, divisi da 2 metri di rocce, l’altro piu’ in basso di un
centinaio di metri. A sinistra, una grossa “pinna”, una cresta rossa e nera con
puntini bianchi qua e la: neve. Dietro, i 2300 metri coperti dalle nuvole ogni
now & then di Mt.Ngauruhoe. A sinistra invece, una valle, una valle che
sembra una Death Valley in miniatura, deserta, secca, con scarsa vegetazione
giallognola e macchiata qua e la da altra neve. Una vallata che termina in
un’altra cresta montuosa, che finisce in alto nella cima di Mt.Tongariro, un
piccoletto di 1800 metri circa. Il piccoletto e’ pero’ quello piu’ attivo dei
vulcani li’ attorno, quello che ha eruttato circa una decina di giorni fa. Se
erutta ora, sono fottuto. Come tutte le persone qua, parecchie. Figo no, finire
sepolti sotto la cenere insieme a un macello di altra gente che non si conosce,
mentre si e’ li per passare una bella giornata di sole a vedere uno dei posti
piu’ belli della Nuova Zelanda!
Torno indietro, ma sono solo le 11 e mezza, circa. So che in
un’ora sarei indietro al car park, e non mi va di tornare all’ostello per
l’una. Voglio assaporare un po’ di fatica in piu’, un po’ di paesaggi in piu’.
Sono molto diversi dalle scene montuose viste finora. Sono vulcani infatti, e
non avevo mai camminato cosi’ su un vulcano, su un pianoro vulcanico attivo che
potrebbe per qunto ne sappiamo, eruttare da un momento all’altro. A volte,
quando la gente scompare per un po’, soprattutto nella piana che precede Il Red
Crater, sembra di essere sulla Luna. Una valle il cui terreno ha un colore
bronzeo, scaldata e “ondulata” con quell’effetto miraggio dal sole, e spazzata
da venti che portano i soffi sulfurei sulla pista, rendendola una specie di
affumicatoio al sapore di zolfo. Pazzesco, e’ veramente, veramente strano. Sono
a 1300 metri con montagne ai fianchi ma fa caldo come nel Sahara. Sensazione
stranissima. Ad ogni modo, devo trovare qualcosa da fare, ed ho due
alternative: la cima di Mt.Tongariro, che indicano a 3km a/r per 1h 20’, o la
cima del monte impronunciabile, 2300 metri dati a 3hr a/r, senza chilometri
(non essendoci sentiero, dipende da te: puo’ essere 4 km come 6). La prima mi
sa da niente, da perdita di tempo. Un ora e venti le faccio in 45 minuti, e
dalla cima li’ non vedrei granche’. Sono qui, e se vado per qualcosa, vado per
il top. Come skydiving, come le cave: se scelgo di farlo, se voglio pagare per
questa cosa, tanto vale farlo al top no?! Decido di cimentarmi nell’ascesa,
anche se, dovendo essere onesto, visto dalla base mi fa veramente paura. Sembra altissimo. Ripido. Pericoloso.
La cima e’ innevata. Non conosco la lunghezza, l’altimetria (quando la
vedro’ imprechero’). Temo per il mio zaino, pesante maledettamente per una cosa
del genere. Ricordo di quando salii con l’amico Fabio in cima al Sasso Piatto
(3000 metri), in una giornata terribilmente lunga e difficile, e ricordo
benissimo quando arrivammo al rifugio, ai piedi del monte, gia’ stanchi, e
vedemmo la montagna, enorme, di fronte a noi, tutta da scalare. Imprecazioni
senza fine. Mi sembrava un’impresa titanica. Ecco, questo penso, non sara’ uno
scherzo, mi viene male a pensare a quanto dovro’ faticare. E a quanto fiato
dovro’ sprecare per imprecare contro me’ stesso, le mie voglie del cazzo, le
mie sfide personali del cazzo, e la mia cocciutaggine. Ma va bene cosi’,
piuttosto che stare in ostello o camminare con i giappi coi bastoni, mi faccio
il culo a strisce a forza di scivolare giu’ per il monte di merda. Andiamo.
Dopo i primi 4-500 metri in scioltezza, capisco le
proporzioni della cosa. La pista e’ uno schifo. Un misto di rocce, pietre,
tantissimi sassolini e altrettanta sabbia. Un fottuto casino. Camminarci e’
come camminare dentro l’acqua, o camminare nel fango quello brutto. Fai un
passo, sprofondi di 5 centimetri se non metti il piede sulla roccia, e arretri
di mezzo passo perche’ scivoli. Damn it. Sali a zig-zag per limitare lo
slittamento verticale, cerchi la roccia quindi ti allunghi la strada, a costo
di guadagnare un appiglio sicuro. Fai una fatica cagna per salire di roccia in
roccia, non tutti sono comodi scalini a portata di piede. Ti fermi ogni SEMPRE.
Perche’? Per aver cura della tua stessa pellaccia. Ci sono degli incompetent
asinacci che per ridurre le fatiche ed il tempo, si divertono a scendere giu’
in verticale – la pendenza stimata e’ del 45% qui, se mi fermo e traccio una retta
con il cielo sullo sfondo – slittando sui sassolini. Divertente, intelligente,
peccato che cosi’ facendo fanno rotolare di tanto in tanto delle belle pietre
che, ovviamente, prendono una velocita’ pazzesca e rotolano verso il basso. E chi c’e’ in basso?! Il
sottoscritto. Devo preoccuparmi della mia incolumita’ soprattutto,
quindi a costo di qualche sforzo in piu’, scelgo la via rocciosa, e salgo
cercando riparo dietro ogni masso, giusto in caso. Se mi fermo a guardare
indietro, realizzo che ho gia’ salito abbastanza. Se guardo sventuratamente in
alto, mi viene da vomitare. Sembra infinita, ma soprattutto, terribilmente
ripida. Quando scivolo a volte me la faccio un po’ nelle mutande, non e’ facile
fermarsi sui sassolini, e ci si graffia spesso e volentieri sulle rocce. A
meta’ strada mi vien quasi voglia di darla su, la discesa dev’essere una
sofferenza, per il ginocchio, e per il mio culo, credo che a forza di scivoloni
me ne dovro’ fare uno nuovo. Ma qui sta il trucco: prenderla come una sfida.
Voglio veramente mollare? Tornare indietro, rispondere alla gente che mi chiede
dove sono andato, “Bah, fino a meta’ del monte impronunciabile, poi son
tornato”?! No, non fa per me. E’ solo uno stimolo in piu’ per proseguire. E poi
sono ancora in ballo per un tempone, non voglio fallire, voglio stupire
qualcuno. Anche se poi penso a mia madre, tra un sasso e l’altro. Se avesse i
miei occhi per un momento e vedesse dove cazzo sto salendo e che motivazioni mi
sto dando, mi ucciderebbe. Credo verrebbe a prendermi in elicottero. Hahaha.
Piano piano pero’ mi inerpico, a piccoli passi, come uno
scalatore, come uno sulla via dell’Everest. Sono sfinito, non vedo l’ora di
mangiare qualcosa. Un tipo fermo mi dice “ Solo 5 minuti, dai”. Andiamo su
insieme. Mi sembra un passo insostenibile il suo, sono stanco morto, non ne ho
piu’, ma incredibilmente, si fa da parte, e mi dice “Vai vai, sei troppo piu’
veloce”. Cheee??! Avevo la lingua che toccava per terra! Pero’ in effetti, dopo
pochi metri l’avevo gia’ lasciato indietro. Una cosa che mi fa realizzare
piuttosto, e’ che sono l’unico, non ne ho visto nemmeno uno, con uno zaino
cosi’ grosso e pesante. Sono tutti scarichi o con zaini piccoli, della serie 20
a 40 litri massimo. Io col mio 85 faccio la figura di un Dodge Ram 3500 in
centro a Cadoneghe. Il fatto e’ che in quella situazione spaccherei culi, qui invece
mi spacco il culo da solo – e anche la schiena. Mantenere l’equilibrio scarichi
qui sarebbe gia’ una buona sfida, farlo con uno zaino da 85 litri sulle spalle
e’ titanico per me. Buono a sapersi per la prossima (che non ci sara’). Alla
fine delle mie fatiche erculee, vedo la neve, la sento sotto i piedi, sono
arrivato. La cima. E’ fantastico, non tiro un urlaccio solo perche’ c’e’ un
manipolo di stupidotti tedeschi che ha gia’ colonizzato la cima per farne
l’ennesima piccola Baviera neozelandese. Mollo lo zaino e tiro fuori il
mio pacchetto di biscotti di Balzar. Ne
mangio 10 nel giro di 2 minuti. Dopo guardo i valori nutrizionali:ho mangiato,
con 10 biscotti, del tipo piu’ del 50% delle energie necessarie nella dieta
giornaliera di un maschio adulto che fa esercizio. Pazzesco. In effetti, mi
sento parecchio pieno (e ora, mentre scrivo, sono passate 5 ore e quasi altri
10 km e non mi sento granche’ affamato). Indugio un po’ sulla cima. Surreale. Ogni
tanto sei avvolto nel candor bianco delle nubi, ovunque, come su alla Alex
Knob. Poi, pochi secondi, torna sereno. Vedo Taupo ed il lago, il piu grande
della Nuova Zelanda, ad una 50ina di km a nordest. Vedo National Park. Vedo i laghi dov’ero poco
prima. Vedo gli Upper & Lower Tama lakes, dove ero stato qualche
giorno fa e avevo pensato “Quel monte sembra irraggiungibile”. Ebbene, ora sono
sulla cima, ed e’ speciale. Mi sento felicissimo, la fatica provata e’ valsa la
ricompensa finale, come spesso vale da queste parti. Ho una visione che non
tanti possono vantarsi di aver visto. Incredibile. E questo, questo lo dedico a
chi a casa puo’ pensare, “Ma si, lavoro duro fino a 55 anni (haha, 55??!) poi
coi bei soldi che ho fatto mi giro il mondo”. Si. Si caro. Intanto a 55 anni
sognati di finire di lavorare. Poi, come la mettiamo con i primi acciacchi
(primi, magari sono solo gli ultimi di una lunga serie), con l’eta’ che avanza,
con la voglia. Io questo a 55 anni se riesco a farlo vado sul giornale altro
che. Voglio dire, ok, c’e’ gente che lo fa, non e’ impossibile, ma mi uccide.
Non faccio tutta questa strada. E mi prende un giorno intero. Ora posso farlo
insieme ad altri sentieri, posso permettermi di saltare qua e la, e di farci
dell’humor. E mi piace un sacco. Sono contento di non aver mai, mai pensato
come qualcuno a casa.
Metto le mani sul terreno. Non mi sono mai cambiato i miei
vestiti, sono ancora in maniche corte, arrotolate sulle spalle. L’unico, a 2300
metri. Sono tutti in giacca, alcuni guanti, berretto. Io sono praticamente da
mare. Mi distinguo dagli altri, mi piace. Non fa sentire il freddo. L’energia a
volte viene anche solo da questo. Oppure sono i biscotti, cazzo ne so, spaccano
sul serio quelli. Mettendo le mani sul terreno le scaldo: essendo suolo
vulcanico, e’ caldo. Una bella sensazione no, avere una specie di riscaldamento
a pavimento, naturale! E inizio la discesa, realizzando subito, come mi
aspettavo, che possibilmente sara’ ancora piu’ difficile della salita. Per i
muscoli, stressati duro. Per il mio culo, che si sobbarchera’ diverse scivolate.
Per i nervi, sempre all’erta per non mettere un piede in fallo. Inoltre, non
voglio fare come gli incompetenti di prima, non voglio solo scivolare giu’ per
la via dritta. Uno perche’ non ho guanti e pantaloni lunghi, il che mi
costerebbe diverse abrasioni ho idea. Due, perche’ non voglio mettere in
pericolo qualcun’altro. Se accadesse qualcosa per colpa mia, non lo
sopporterei. Scendo saltando da una pietra all’altra, rallentandomi e
costringendomi a sforzi extra di equilibrio e tensione muscolare. Cado dopo
pochi metri, tagliandomi alla base della mano e sfregiandomi un po’ sulla gamba
sinistra. Sputo via un po’ di sangue, e sono di nuovo in marcia. Chissa’ quante
altre me ne toccheranno. Dopo un po’ mi fermo, sono forse neanche a meta’, e
sono provato. Devo inventarmi la via, tenendo d’occhio l’arrivo, molto, molto
in basso. Bear scenderebbe come gli incompetenti, ma lui non avrebbe gente
sotto e soprattutto, avrebbe pantaloni lunghi e scarpe adatte. Io non ho nulla.
Le mie scarpe attualmente si stanno demolendo, le sto sfruttando all’osso. Ho
gia’ tagliato la superficie in piu’ parti e ora scopro di aver aperto
leggermente anche la suola. Di questo passo, non do loro piu’ di un altro mese.
E’ un peccato, queste scarpe (trail running, sia MAI che io usi scarponi.
Fuck’em) sono fantastiche e anche se hanno solo un anno circa, mi hanno
accompagnato in un sacco di avventure, da Grand Canyon a Glacier in Montana,
dal Lagorai a Yosemite. Scendo ancora, non domo. Inizio a scivolare anch’io, la
gente sotto di me ha finito la trail quindi non mi preoccupo piu’ per loro.
Scendo dolcemente, sprofondando di 10 centimetri a passo, ma la cosa mi frena e
attutisce le mie sofferenze, e’ quasi benefica. Guadagno bene la fine, e con
mia sorpresa, con un tempone: 1h50’. Ottimo. Mi siedo su una roccia, vuoto le
mie scarpe che svuotano terra come un
camion farebbe su un sito di costruzioni. Prima di ripartire, mi volto verso il
monte. Incute timore ora, un po’ oscuro, annuvolato, altissimo per me. Lo mando
a fanculo, dicendomi “Ce l’ho fatta”.
La strada verso il car park e’ una passeggiata, eccetto per
il fatto che ho i muscoli a pezzi. Necessito di un breve stop per dello
stretching, mai successo. Poi, ingrano la sesta e via. Supero la gente
arrancante per le fatiche della giornata, come se fossi partito da 5 minuti.
Devo ancora capire perche’ (anzi, lo so) ma ho uno sprint nella parte finale
delle mie camminate che e’ una cosa pazzesca. Cammino con un passo fisso,
veloce, inesorabile, fino alla fine. Sono piu veloce della gente che inizia la
trail ora, ed ho 20 km e 1800 metri di dislivello sul groppone. Sono una
Pasqua. Oggi, realizzo una volta alla fine, oltre a vedere dei bei posti, mi e’
servito a rendermi conto del corpo che ho, e ad essere orgoglioso di esso. E’
una cosa importante. Spesso siamo a lamentarci “Ho il collo troppo grosso, i
muscoli troppo sottili, i polsi fini” e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Occasioni
come queste ti possono far dire “Beh, avro’ anche i polsi sottili, ma ho un
corpo che qui funziona a meraviglia”.
Indietro all’ostello, davanti a del caffe’latte freddo,
guardo fuori dalla finestra. Ho appena fatto un superscherzone alla ragazza che
ha rapito il mio sguardo, lei era alla reception e le ho fatto credere di
essermi rotto un ginocchio, facendola preoccupare. E dicendole subito dopo “Oh
dai, credi davvero che sia cosi’ debole?! Hahaha, stavo scherzando!!”. E’
bellissimo vedere, mentre ti da una mezza sberla sul petto, una faccia del tipo
“Stupido, e io che mi preoccupo anche!”. Poco dopo sono alla finestra a
guardare in lontananza il monte, la cima dove ero poche ore fa. Impressionante.
Sembra davvero, davvero alto. Piu’ di quanto e’ in realta’.
Sedendomi, sentendo muscoli doloranti un po’ ovunque, dal
collo ai polpacci, non posso altro che fare un sorriso che sa tanto da
conquista, e continuare a sorseggiare il mio caffe’latte.
Nessun commento:
Posta un commento