sabato 1 dicembre 2012

Tongariro Crossing & Mt.Ngauruhoe - Ce l'ho fatta anche oggi.

Mt.Ngauruhoe from Upper Tama lake, New Zealand. Copyright Emanuele Canton, 2012.

Ok. So che volare bassi ed essere modesti e’ sempre la via migliore, ma oggi permettetemi di essere felice e gasarmi un po’, essere fiero del mio corpo e delle sue prestazioni. Anche se un po’ e’ merito della mia cocciutaggine – riflettevo che raramente ho conosciuto persone ostinate come me, quando si mettono – gran parte del merito va anche alle mie gambe, alla mia resistenza. Non al mio stupido ginocchio, che continua a remarmi contro non so perche’ e mi fa fare il doppio della fatica in discesa, cosa che dunque rende ancor piu’ pregevole la mia impresa di oggi. Si, un’impresa la chiamo, forse la giornata di cammino piu’ dura che abbia mai avuto. Forse. Ne sto avendo diverse di dure, per un motivo o l’altro, qui in giro. Oggi e’ stata possente comunque, per la camminata di per se’, per l’altimetria, per il passo tenuto. Vi snocciolo un po’ di numeri, tanto per gradire:

Dal car park agli Emerald Lakes lungo il Tongariro Crossing, andata e ritorno per circa 17 km ed un altitude gain di 850 metri, percorsi in 3 ore. Lungo la via, deviazione per Mt.Ngauruhoe (in foto) summit, circa 4 km andata/ritorno con un altitude gain di 1000 metri, percorsi in 1h 50’. Inoltre, non fosse abbastanza, la parte piu’ difficile (la cima), affrontata dopo aver fatto gli Emerald Lakes, con quindi gia’ 10 km e 850 metri di dislivello alle spalle. E – per finire in bellezza – le condizioni del terreno, per raggiungere la cima. Pazzesce, forse le piu’ difficili e pericolose che abbia mai affrontato. Tant’e’ che a fine camminata ho scoperto che una trail vera e propria non esiste, la gente che vuole avventurarsi lassu’ – sono 2300 metri – lo fa seguendo l’istinto, l’intelletto, o le tracce lasciate da altri. Insomma, a fine giornata, sulle mie stanchissime e graffiate gambe (seguite il racconto) pesano 21 km, 1850 metri di dislivello, ma percorsi in un tempone: 4h 50’. Sono molto soddisfatto, soprattutto per avercela fatta senza spaccarmi il ginocchio malconcio che mi ritrovo. Ho tirato come un capro, e senza avere la carota davanti. E nessuno, al solito, mi ha mai superato. Qualcuno mi ha chiesto se vado giu’ correndo per le montagne. “Non sempre!”, ho risposto. Un’altro, un signore che ho superato, mi fa “Ne hai di energie per andare su cosi’ eh?!” E io, “Ho solo fatto una buona colazione!”

Ma partiamo dall’inizio.

Nell’affollato car park, che mi lascia presagire una folla biblica lungo il percorso – stile Tre Cime di Lavaredo per intenderci, una processione del cazzo – parcheggio di fianco a due ragazze austriache. Mi vesto, pantaloncini corti, maglietta corta con maniche arrotolate alle spalle per un’abbronzatura avvolgente, e zaino pantagruelico (avro’ ancora a pentirmene). Loro mi vedono cosi’ arrembato, e una mi fa “Vai su vestito cosi’?” Io mi guardo, penso che si, non sono il massimo dello stile ma, efficace per un giorno di sole no?! Lei continua, “Perche’ ci hanno detto che puo’ essere anche -10 nel punto piu’ alto (1900 metri per la cronaca), il tempo cambia rapidamente qua e c’e’ tanta gente, dicono i ranger, che va su impreparata e rischia grosso”. Le rido in faccia, piu’ o meno. Ormai, credo di avere un po’ di hiking alle spalle, e credo di aver capito un po’ come funziona lassu’. E da quel che so, direi tanto possibile quanto un cane inizi a parlare thailandese che a 1900 metri in una giornata di sole si arrivi a -10. Lei mi pare convincersi un po’, la sua amica invece mi risponde “Beh io la giacca la porto su lo stesso”. Mi vengono i vermi solo a pensarci, cazzo. Ma sei ammattita?! Bah. Girando ne vedi di ogni. Io porto su, come layer aggiuntivi, una maglia termica lunga Kipsta, e il parka. Stop. No guanti, no cappello, no giacche & affini. Fuck it. Do loro appuntamento in cima, conscio che faro’ ora ad arrivare, tornare indietro e riprenderle sulla via prima di reincrociarle.

Abbondo con la cremaanche sulle braccia stavolta, il sole picchia duro. Fortuna qualche nuvola ogni tanto mi aiuta. Salgo su, dopo aver smaltito l’acido lattico sugli stinchi, che e’ un piacere. Un capriolo. Mi piace un sacco quando vedo la gente arrancare di brutto, ed io li supero a lato saltando da una roccia all’altra. Haha. Mi gasa a chiodo. Arrivo in cima e scendo ai laghi in 1h 45’. Il paesaggio, via della semifolla che si accalca sotto i cartelli che indicano le distanze (devono avere qualcosa che calamita la gente, come mosche sulla merda. Perche’ fermarsi sotto un cartello piuttosto che su un sasso qualsiasi?! Boh) e’ veramente degno di nota. Sto attualmente camminando sopra una specie di enorme caldera. Si sente odore di zolfo qua e la, specialmente se il vento soffia nella tua direzione e ti porta l’odore di tutti i soffioni che immettono zolfo nell’aria. Se ti fermi a contemplare la scena, e’ piu’ o meno cosi’, dall’alto sugli Emerald Lakes: in fondo alla discesa, scoscesa e semisabbiosa, 3 laghi uno piu’ smeraldo dell’altro, 2 alla stessa altezza, divisi da 2 metri di rocce, l’altro piu’ in basso di un centinaio di metri. A sinistra, una grossa “pinna”, una cresta rossa e nera con puntini bianchi qua e la: neve. Dietro, i 2300 metri coperti dalle nuvole ogni now & then di Mt.Ngauruhoe. A sinistra invece, una valle, una valle che sembra una Death Valley in miniatura, deserta, secca, con scarsa vegetazione giallognola e macchiata qua e la da altra neve. Una vallata che termina in un’altra cresta montuosa, che finisce in alto nella cima di Mt.Tongariro, un piccoletto di 1800 metri circa. Il piccoletto e’ pero’ quello piu’ attivo dei vulcani li’ attorno, quello che ha eruttato circa una decina di giorni fa. Se erutta ora, sono fottuto. Come tutte le persone qua, parecchie. Figo no, finire sepolti sotto la cenere insieme a un macello di altra gente che non si conosce, mentre si e’ li per passare una bella giornata di sole a vedere uno dei posti piu’ belli della Nuova Zelanda!

Torno indietro, ma sono solo le 11 e mezza, circa. So che in un’ora sarei indietro al car park, e non mi va di tornare all’ostello per l’una. Voglio assaporare un po’ di fatica in piu’, un po’ di paesaggi in piu’. Sono molto diversi dalle scene montuose viste finora. Sono vulcani infatti, e non avevo mai camminato cosi’ su un vulcano, su un pianoro vulcanico attivo che potrebbe per qunto ne sappiamo, eruttare da un momento all’altro. A volte, quando la gente scompare per un po’, soprattutto nella piana che precede Il Red Crater, sembra di essere sulla Luna. Una valle il cui terreno ha un colore bronzeo, scaldata e “ondulata” con quell’effetto miraggio dal sole, e spazzata da venti che portano i soffi sulfurei sulla pista, rendendola una specie di affumicatoio al sapore di zolfo. Pazzesco, e’ veramente, veramente strano. Sono a 1300 metri con montagne ai fianchi ma fa caldo come nel Sahara. Sensazione stranissima. Ad ogni modo, devo trovare qualcosa da fare, ed ho due alternative: la cima di Mt.Tongariro, che indicano a 3km a/r per 1h 20’, o la cima del monte impronunciabile, 2300 metri dati a 3hr a/r, senza chilometri (non essendoci sentiero, dipende da te: puo’ essere 4 km come 6). La prima mi sa da niente, da perdita di tempo. Un ora e venti le faccio in 45 minuti, e dalla cima li’ non vedrei granche’. Sono qui, e se vado per qualcosa, vado per il top. Come skydiving, come le cave: se scelgo di farlo, se voglio pagare per questa cosa, tanto vale farlo al top no?! Decido di cimentarmi nell’ascesa, anche se, dovendo essere onesto, visto dalla base mi fa veramente paura. Sembra altissimo. Ripido. Pericoloso. La cima e’ innevata. Non conosco la lunghezza, l’altimetria (quando la vedro’ imprechero’). Temo per il mio zaino, pesante maledettamente per una cosa del genere. Ricordo di quando salii con l’amico Fabio in cima al Sasso Piatto (3000 metri), in una giornata terribilmente lunga e difficile, e ricordo benissimo quando arrivammo al rifugio, ai piedi del monte, gia’ stanchi, e vedemmo la montagna, enorme, di fronte a noi, tutta da scalare. Imprecazioni senza fine. Mi sembrava un’impresa titanica. Ecco, questo penso, non sara’ uno scherzo, mi viene male a pensare a quanto dovro’ faticare. E a quanto fiato dovro’ sprecare per imprecare contro me’ stesso, le mie voglie del cazzo, le mie sfide personali del cazzo, e la mia cocciutaggine. Ma va bene cosi’, piuttosto che stare in ostello o camminare con i giappi coi bastoni, mi faccio il culo a strisce a forza di scivolare giu’ per il monte di merda. Andiamo.

Dopo i primi 4-500 metri in scioltezza, capisco le proporzioni della cosa. La pista e’ uno schifo. Un misto di rocce, pietre, tantissimi sassolini e altrettanta sabbia. Un fottuto casino. Camminarci e’ come camminare dentro l’acqua, o camminare nel fango quello brutto. Fai un passo, sprofondi di 5 centimetri se non metti il piede sulla roccia, e arretri di mezzo passo perche’ scivoli. Damn it. Sali a zig-zag per limitare lo slittamento verticale, cerchi la roccia quindi ti allunghi la strada, a costo di guadagnare un appiglio sicuro. Fai una fatica cagna per salire di roccia in roccia, non tutti sono comodi scalini a portata di piede. Ti fermi ogni SEMPRE. Perche’? Per aver cura della tua stessa pellaccia. Ci sono degli incompetent asinacci che per ridurre le fatiche ed il tempo, si divertono a scendere giu’ in verticale – la pendenza stimata e’ del 45% qui, se mi fermo e traccio una retta con il cielo sullo sfondo – slittando sui sassolini. Divertente, intelligente, peccato che cosi’ facendo fanno rotolare di tanto in tanto delle belle pietre che, ovviamente, prendono una velocita’ pazzesca e rotolano verso il basso. E chi c’e’ in basso?! Il sottoscritto. Devo preoccuparmi della mia incolumita’ soprattutto, quindi a costo di qualche sforzo in piu’, scelgo la via rocciosa, e salgo cercando riparo dietro ogni masso, giusto in caso. Se mi fermo a guardare indietro, realizzo che ho gia’ salito abbastanza. Se guardo sventuratamente in alto, mi viene da vomitare. Sembra infinita, ma soprattutto, terribilmente ripida. Quando scivolo a volte me la faccio un po’ nelle mutande, non e’ facile fermarsi sui sassolini, e ci si graffia spesso e volentieri sulle rocce. A meta’ strada mi vien quasi voglia di darla su, la discesa dev’essere una sofferenza, per il ginocchio, e per il mio culo, credo che a forza di scivoloni me ne dovro’ fare uno nuovo. Ma qui sta il trucco: prenderla come una sfida. Voglio veramente mollare? Tornare indietro, rispondere alla gente che mi chiede dove sono andato, “Bah, fino a meta’ del monte impronunciabile, poi son tornato”?! No, non fa per me. E’ solo uno stimolo in piu’ per proseguire. E poi sono ancora in ballo per un tempone, non voglio fallire, voglio stupire qualcuno. Anche se poi penso a mia madre, tra un sasso e l’altro. Se avesse i miei occhi per un momento e vedesse dove cazzo sto salendo e che motivazioni mi sto dando, mi ucciderebbe. Credo verrebbe a prendermi in elicottero. Hahaha.

Piano piano pero’ mi inerpico, a piccoli passi, come uno scalatore, come uno sulla via dell’Everest. Sono sfinito, non vedo l’ora di mangiare qualcosa. Un tipo fermo mi dice “ Solo 5 minuti, dai”. Andiamo su insieme. Mi sembra un passo insostenibile il suo, sono stanco morto, non ne ho piu’, ma incredibilmente, si fa da parte, e mi dice “Vai vai, sei troppo piu’ veloce”. Cheee??! Avevo la lingua che toccava per terra! Pero’ in effetti, dopo pochi metri l’avevo gia’ lasciato indietro. Una cosa che mi fa realizzare piuttosto, e’ che sono l’unico, non ne ho visto nemmeno uno, con uno zaino cosi’ grosso e pesante. Sono tutti scarichi o con zaini piccoli, della serie 20 a 40 litri massimo. Io col mio 85 faccio la figura di un Dodge Ram 3500 in centro a Cadoneghe. Il fatto e’ che in quella situazione spaccherei culi, qui invece mi spacco il culo da solo – e anche la schiena. Mantenere l’equilibrio scarichi qui sarebbe gia’ una buona sfida, farlo con uno zaino da 85 litri sulle spalle e’ titanico per me. Buono a sapersi per la prossima (che non ci sara’). Alla fine delle mie fatiche erculee, vedo la neve, la sento sotto i piedi, sono arrivato. La cima. E’ fantastico, non tiro un urlaccio solo perche’ c’e’ un manipolo di stupidotti tedeschi che ha gia’ colonizzato la cima per farne l’ennesima piccola Baviera neozelandese. Mollo lo zaino e tiro fuori il mio  pacchetto di biscotti di Balzar. Ne mangio 10 nel giro di 2 minuti. Dopo guardo i valori nutrizionali:ho mangiato, con 10 biscotti, del tipo piu’ del 50% delle energie necessarie nella dieta giornaliera di un maschio adulto che fa esercizio. Pazzesco. In effetti, mi sento parecchio pieno (e ora, mentre scrivo, sono passate 5 ore e quasi altri 10 km e non mi sento granche’ affamato). Indugio un po’ sulla cima. Surreale. Ogni tanto sei avvolto nel candor bianco delle nubi, ovunque, come su alla Alex Knob. Poi, pochi secondi, torna sereno. Vedo Taupo ed il lago, il piu grande della Nuova Zelanda, ad una 50ina di km a nordest. Vedo National Park. Vedo i laghi dov’ero poco prima. Vedo gli Upper & Lower Tama lakes, dove ero stato qualche giorno fa e avevo pensato “Quel monte sembra irraggiungibile”. Ebbene, ora sono sulla cima, ed e’ speciale. Mi sento felicissimo, la fatica provata e’ valsa la ricompensa finale, come spesso vale da queste parti. Ho una visione che non tanti possono vantarsi di aver visto. Incredibile. E questo, questo lo dedico a chi a casa puo’ pensare, “Ma si, lavoro duro fino a 55 anni (haha, 55??!) poi coi bei soldi che ho fatto mi giro il mondo”. Si. Si caro. Intanto a 55 anni sognati di finire di lavorare. Poi, come la mettiamo con i primi acciacchi (primi, magari sono solo gli ultimi di una lunga serie), con l’eta’ che avanza, con la voglia. Io questo a 55 anni se riesco a farlo vado sul giornale altro che. Voglio dire, ok, c’e’ gente che lo fa, non e’ impossibile, ma mi uccide. Non faccio tutta questa strada. E mi prende un giorno intero. Ora posso farlo insieme ad altri sentieri, posso permettermi di saltare qua e la, e di farci dell’humor. E mi piace un sacco. Sono contento di non aver mai, mai pensato come qualcuno a casa.

Metto le mani sul terreno. Non mi sono mai cambiato i miei vestiti, sono ancora in maniche corte, arrotolate sulle spalle. L’unico, a 2300 metri. Sono tutti in giacca, alcuni guanti, berretto. Io sono praticamente da mare. Mi distinguo dagli altri, mi piace. Non fa sentire il freddo. L’energia a volte viene anche solo da questo. Oppure sono i biscotti, cazzo ne so, spaccano sul serio quelli. Mettendo le mani sul terreno le scaldo: essendo suolo vulcanico, e’ caldo. Una bella sensazione no, avere una specie di riscaldamento a pavimento, naturale! E inizio la discesa, realizzando subito, come mi aspettavo, che possibilmente sara’ ancora piu’ difficile della salita. Per i muscoli, stressati duro. Per il mio culo, che si sobbarchera’ diverse scivolate. Per i nervi, sempre all’erta per non mettere un piede in fallo. Inoltre, non voglio fare come gli incompetenti di prima, non voglio solo scivolare giu’ per la via dritta. Uno perche’ non ho guanti e pantaloni lunghi, il che mi costerebbe diverse abrasioni ho idea. Due, perche’ non voglio mettere in pericolo qualcun’altro. Se accadesse qualcosa per colpa mia, non lo sopporterei. Scendo saltando da una pietra all’altra, rallentandomi e costringendomi a sforzi extra di equilibrio e tensione muscolare. Cado dopo pochi metri, tagliandomi alla base della mano e sfregiandomi un po’ sulla gamba sinistra. Sputo via un po’ di sangue, e sono di nuovo in marcia. Chissa’ quante altre me ne toccheranno. Dopo un po’ mi fermo, sono forse neanche a meta’, e sono provato. Devo inventarmi la via, tenendo d’occhio l’arrivo, molto, molto in basso. Bear scenderebbe come gli incompetenti, ma lui non avrebbe gente sotto e soprattutto, avrebbe pantaloni lunghi e scarpe adatte. Io non ho nulla. Le mie scarpe attualmente si stanno demolendo, le sto sfruttando all’osso. Ho gia’ tagliato la superficie in piu’ parti e ora scopro di aver aperto leggermente anche la suola. Di questo passo, non do loro piu’ di un altro mese. E’ un peccato, queste scarpe (trail running, sia MAI che io usi scarponi. Fuck’em) sono fantastiche e anche se hanno solo un anno circa, mi hanno accompagnato in un sacco di avventure, da Grand Canyon a Glacier in Montana, dal Lagorai a Yosemite. Scendo ancora, non domo. Inizio a scivolare anch’io, la gente sotto di me ha finito la trail quindi non mi preoccupo piu’ per loro. Scendo dolcemente, sprofondando di 10 centimetri a passo, ma la cosa mi frena e attutisce le mie sofferenze, e’ quasi benefica. Guadagno bene la fine, e con mia sorpresa, con un tempone: 1h50’. Ottimo. Mi siedo su una roccia, vuoto le mie scarpe che svuotano  terra come un camion farebbe su un sito di costruzioni. Prima di ripartire, mi volto verso il monte. Incute timore ora, un po’ oscuro, annuvolato, altissimo per me. Lo mando a fanculo, dicendomi “Ce l’ho fatta”.

La strada verso il car park e’ una passeggiata, eccetto per il fatto che ho i muscoli a pezzi. Necessito di un breve stop per dello stretching, mai successo. Poi, ingrano la sesta e via. Supero la gente arrancante per le fatiche della giornata, come se fossi partito da 5 minuti. Devo ancora capire perche’ (anzi, lo so) ma ho uno sprint nella parte finale delle mie camminate che e’ una cosa pazzesca. Cammino con un passo fisso, veloce, inesorabile, fino alla fine. Sono piu veloce della gente che inizia la trail ora, ed ho 20 km e 1800 metri di dislivello sul groppone. Sono una Pasqua. Oggi, realizzo una volta alla fine, oltre a vedere dei bei posti, mi e’ servito a rendermi conto del corpo che ho, e ad essere orgoglioso di esso. E’ una cosa importante. Spesso siamo a lamentarci “Ho il collo troppo grosso, i muscoli troppo sottili, i polsi fini” e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Occasioni come queste ti possono far dire “Beh, avro’ anche i polsi sottili, ma ho un corpo che qui funziona a meraviglia”.

Indietro all’ostello, davanti a del caffe’latte freddo, guardo fuori dalla finestra. Ho appena fatto un superscherzone alla ragazza che ha rapito il mio sguardo, lei era alla reception e le ho fatto credere di essermi rotto un ginocchio, facendola preoccupare. E dicendole subito dopo “Oh dai, credi davvero che sia cosi’ debole?! Hahaha, stavo scherzando!!”. E’ bellissimo vedere, mentre ti da una mezza sberla sul petto, una faccia del tipo “Stupido, e io che mi preoccupo anche!”. Poco dopo sono alla finestra a guardare in lontananza il monte, la cima dove ero poche ore fa. Impressionante. Sembra davvero, davvero alto. Piu’ di quanto e’ in realta’.

Sedendomi, sentendo muscoli doloranti un po’ ovunque, dal collo ai polpacci, non posso altro che fare un sorriso che sa tanto da conquista, e continuare a sorseggiare il mio caffe’latte.

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