In questi casi, ovvero quando hai di fronte un tragitto in macchina lungo e perlopiù tedioso, i giochetti con cui si può architettare di trascorrere il tempo sono ben pochi: per chi non guida, dormire e guardare il paesaggio sono quelli che vanno per la maggiore. Per chi guida, le hit del momento sono guardare a tratti il paesaggio, hobby che se cerchi di intensificare può portarti ad incontri ravvicinati con la targa di grossi camion, o ascoltare musica. Spesso addirittura, il conducente sceglie di praticare entrambi i passatempi. In quella circostanza io, sebbene avessi una discreta colonna sonora come sottofondo musicale, non ebbi grande fortuna con il panorama da osservare. Tralasciando la monotonia già descritta, c’era veramente poco da ammirare: nessuna montagna, nessun lago, nessun fiume. Gli avvallamenti significavano stradine secondarie, i rilievi erano poco più di collinette molto allargate, ed i pochi specchi d’acqua che si incontravano erano pozze per il bestiame. Con questo vasto assortimento di elementi da gustare visivamente, il turista si può dilettare in osservazioni sulle stupidaggini che gli passano davanti agli occhi. Del tipo “Guarda quella catapecchia, chissà che disperato ci abitò!”, o “Quella roccia è proprio gialla!”, o ancora “Se fossi una mucca non andrei mai laggiù a pascolare!”. Insomma, osservazioni che fa un turista che non ha nulla da fare per un migliaio di chilometri quasi tutti in mezzo al nulla. Una cosa che invece ti riporta alla realtà, alla dure e cruda realtà che impone al tuo organismo alcune funzioni necessarie, come svuotare la vescica e ingoiare qualche caloria, è la fame. Proprio per causa sua ci ritrovammo poco oltre Rock Springs a domandarci dove avremmo potuto fermarci per mettere qualcosa sotto i denti. Cose che, non ultimo, non avevamo in quanto non avevamo ancora provveduto a far la spesa quel giorno. Così ci fermammo in un luogo non ben identificato, lungo la strada 191 del Wyoming, a far la spesa di generi alimentari. Comprammo del prosciutto affettato, del pane, del chili in scatola, del cheddar (che è un tipo di formaggio, quello color arancione evidenziatore!) a fette e un paio di galloni d’acqua. Avevamo tutto il necessario per un pranzetto stile gita in montagna. Ci dirigemmo di nuovo verso la strada, con l’intenzione di correre ancora un po’ al fine di trovare un posto più ospitale per consumare il nostro pasto. Già esso non era proprio un esempio di alta cucina francese, dunque pensavamo che avremmo potuto ovviare in parte contornando il pranzo con una location degna di tale nome. Corremmo per un’altra ora, mi pare. Poi, decidemmo che ne avevamo avuto abbastanza. Erano le 14 circa, non mangiavamo dalle sei, e decidemmo di fermarci per concederci del cibo e una breve sosta. Ricordo che in quel momento lottavo ferocemente con il sonno: scesi dalla macchina con l’intenzione di mangiare e sdraiarmi sull’erba per schiacciare un pisolino. Ma non sapevo dove stavamo apprestandoci a fermarci. Eravamo, manco a dirlo, in mezzo alla steppa che conduce da sud verso il nord del Wyoming, verso Yellowstone, e decidemmo di approfittare dell’unico paesino degno di esser chiamato tale (cioè con popolazione sopra le 200 anime). Eravamo ad Eden, WY: il posto più ventoso dove io sia mai stato, eccezion fatta per il tetto di un traghetto in movimento. Nonostante l’altezza non fosse quella dell’Himalaya, il tempo fosse bello, e non avessi il reattore di un aereo in partenza puntato sul volto, il vento era impressionante e costante. Più della nostra fame e della nostra stanchezza.
Ci fermiamo in un parchetto dove incontriamo una classica famigliola americana che fa un classico pic-nic domenicale su una classica griglia all’aperto. Noi, con prosciutto in scatola e panini da hot-dog da tagliare con le nostre affilatissime dita, invidiamo la loro carne ben cotta e le loro posate. Che attrezzi utili! Non passiamo però molto tempo a fantasticare sul cibo, che torniamo a pensare al vento. Butta le carte ovunque, quasi ti sposta il panino quando stai per morderlo, e soprattutto ti fa sentire al freddo, cerchi il sole per scaldarti. Gli americani rincorrono i piatti di plastica per il parco. Si infatti, eravamo in un piccolo parco del cazzo. Ne crescono tanti in America, ovunque, anche nei posti più disparati. Stai pur sicuro che, da qualche parte, nel deserto del Nevada, a lato di una strada che si sarà usata per l’ultima volta ai tempi di Buffalo Bill, c’è un parco magari chiamato “Cougar Falls State Recreational Area”. Cougar Falls?? Ma dove minchia li vedi i puma e soprattutto le cascate?? E poi, State Recreational Area???? Ma chi vuoi che venga qui in mezzo alla sabbia a divertirsi sotto 50 gradi all’ombra?? Eppure loro sono così, grandi, diversi, a volte pazzi, schizzati, insensati. Certe cose che vedi, agli occhi di un europeo, non hanno senso. Creare un parchetto, recintarlo, fornirlo di tavoli da pic-nic e di giostrine, e piazzarlo a 30 miglia almeno da qualsiasi caseggiato, non ha senso. A meno che non serva a dare un ultimo istante di felicità a qualche disperato che sta per morire disperso in quei luoghi. Giusto, lo faranno di sicuro con questa finalità! Comunque, di quel parchetto ventoso ad Eden non ne volevamo più sapere. Avevamo mangiato, poco e niente di che, io non avevo più voglia di dormire (probabilmente sarei rotolato via in mezzo alla strada come quell’erbaccia che rotola davanti ai saloon nei film western) quindi decidemmo di ripartire. Avevamo ormai i minuti contati. Ricordammo Eden come un posto da consigliare ai nostri amici amanti degli aquiloni. Sulla nostra strada verso lo Yellowstone passammo per il parco di Teton. E’ il fratello minore dello Yellowstone, ma ha altrettanto fascino. E’ il primo grosso parco che incontriamo, e lo si vede dalle 3-4 foto che scattiamo all’enorme cartello che indica l’entrata. Lo spettacolo è già sublime: due catene di vette si estendono ai nostri lati, in mezzo la strada, e tante erba fino ai piedi delle alture. Il sole tramonta alla nostra sinistra, e offre uno spettacolo di forme e colori combinandosi con le nubi grigie ma rade nel cielo. E’ bello guidare, se puoi ammirare cose del genere anziché macchine ferme in coda e gente che si manda a cagare senza troppe remore. Proseguiamo spediti, dopo aver rischiato di perdere tutte le nostre preziose mappe a causa di una raffica di vento mentre eravamo fermi a bordo strada. E subito, a destra, vediamo macchine ferme. Era dal Canada, un anno prima, che non vivevo una scena del genere: macchine ferme a bordo strada, in questi posti, equivale ad animali. E lì ce n’erano eccome! Era la nostra prima grossa mandria di bisonti. Era piuttosto grande, forse un centinaio di capi, ed alcuni erano relativamente vicini. Ovviamente si parte a scattare mille foto con lo zoom a palla, non sapendo che, magari il giorno dopo, si sarebbe stati a due metri esatti da una di quelle enormi bestie. Il bisonte è tanto grande, ma ne parlerò più avanti. Questo era solo l’inizio. C’era una staccionata in disuso a dividerci dagli animali, era come il confine che ci introduceva all’inizio ufficiale di questo viaggio. Fu emozionante. Lasciammo però lo spettacolo ai cinesi con gli obiettivi più lunghi di loro, perché noi avevamo ancora molta strada da fare, circa un ora e mezza, imprevisti esclusi, per giungere a West Yellowstone, MT. E stava imbrunendo. E’ impossibile resistere allo spettacolo che il paesaggio ti offre. Sai che devi correre, ma ti fermi per ammirare, per scattare una foto. E il tempo passa. E il tempo, inoltre, peggiora.
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