Stanchi morti ma più felici di prima, entriamo, cerchiamo invano qualcosa da mangiare (non cercate posti dove cenare in South Abilene Street dopo le 9 e mezza di sera) e decidiamo infine di dare la priorità al sonno piuttosto che alla fame. Io avevo ricevuto il mio pacco con gli ordini che avevo effettuato on-line qualche giorno prima, consegnato in albergo come da me disposto: un obiettivo grandangolare per la reflex, una scheda di memoria da 8 giga, e le cuffie nuove per l’ipod. Hotel trovato, pacco consegnato: erano due motivi più che sufficienti per farmi trascorrere una serena nottata di sonno. Cosa che, per inciso, fu solo una mia volontà che non divenne realtà, in quanto per il fuso passammo entrambi la notte a girarci e rigirarci, come un maialino in cottura a fuoco lento.
Avete presente quando, per aver dormito troppo, per non riuscire a dormire, o per altri dannatissimi motivi, vi ritrovate a vagare raminghi per il letto, domandandovi che ore sono, cercando di capire se la luce che si vede in lontananza è del sole che sorge o del cellulare che ha finito di caricarsi, e magari desiderando, alla fin fine, solo una cospicua colazione?? Il mattino seguente, per noi fu così. Io brancolavo nell’oscurità già dalle 3 e mezza circa. O forse sarei più veritiero affermando che in realtà non ho mai perso il contatto visivo con le ore segnalatemi dalla sveglia. Potevo dire di aver visto scorrere ogni ora, durante la notte. Credo fosse stata un po’ l’emozione, molto la troppa stanchezza, un po’ tanto il fuso, e non ultima la fame. Tutte queste concause finirono con lo stendermi al punto di non aver nemmeno la concentrazione necessaria per addormentarmi – perché in fondo, un po’ di concentrazione ci vuole. Se vai a letto pensando alla figa che vorresti limonarti duro, è chiaro che penserai solo a lei, ed i tuoi sforzi non verranno invece convogliati sul chiudere baracca e burattini e farsi un bel pisolo! Comunque, io quel giorno alle 5.45 (AM, non PM!) decisi di alzarmi e vedere se fuori c’erano delle persone o se c’era qualche altro tipo di animale notturno. Persone non ne vidi, ma in compenso notai che il sole sarebbe sorto di li a non molto ancora. Nel frattempo, anche Raffaella si era destata, avendo vissuto una notte un po’ da mare in tempesta come il sottoscritto, e decidemmo quindi, prendendocela con relativa calma, di alzarci e avviarci verso del cibo. Lo trovammo nella hall dell’Hotel, dove era stata apparecchiata una colazione semi nomade buffet style. C’erano: cereali di 4 tipi, i più appariscenti dei quali erano – molto diffusi negli USA – quelli con tanti colori quanti l’arcobaleno. C’erano latte, tè, caffè americano (che non definirei lungo, o annacquato, bensì solo preparato in modo diverso per renderne più sopportabile l’assunzione in dosi elevate), pastine di fogge differenti (tutte con l’immancabile cannella, che agli americani ho scoperto deve piacere proprio tanto), pane modellato in un paio di forme per renderlo più appetibile, e un po’ di frutta. Stop. Niente di che, come tutte le colazioni a buffet. Anche se dall’Holiday Inn di Aurora, Denver, mi aspettavo qual cosina in più. Mangiamo avidamente, guardando il tg e constatando insieme che il sole era finalmente sorto e che magari qualche altra persona lì si stava alzando dal letto. Finito il nostro – haha – faraonico buffet, prendiamo le valigie, gli zaini e le mappe e ci avviamo verso la macchina, dove quel giorno avremo tenuto comodamente il culo per almeno una dozzina d’ore. Un po’ angosciante, come prospettiva. Dovevamo essere a West Yellowstone, Montana, distante più 1000 chilometri a patto di non sbagliare strada, per sera. Partiamo con già il fiato sul collo. Appena arriviamo sulla Highway, l’autostrada americana, vediamo un cartello: Laramie – qualche decina di miglia. “Bene”, pensiamo, siamo già a buon punto! (se abbiamo fatto due miglia finora??!) Passano le mezzore, tra mandrie di mucche, balle di fieno, campi sconfinati e pattuglie di polizia – stavamo passando l’ultimo avamposto della civiltà, prima di addentrarci verso il bucolico Wyoming – e scorgiamo un nuovo cartello: Rock Springs – Trecento e passa miglia. “Coooosa?? Ho letto bene o mi sbaglio?” Vuol dire che avevamo, per arrivare diciamo al 60% della strada, altri seicento e passa chilometri!! Da far venire il voltastomaco. Sensazione questa peraltro aggravata dal fatto che la temperatura era decisamente alta all’interno della vettura, e che l’esterno non offriva di certo un tocco rinfrescante, mostrando ovunque piatte, immense, monotone distese di praterie, con qualche coyote che ogni tanto faceva capolino a gratificare lo sguardo dell’osservatore attento.
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