domenica 30 ottobre 2011

Terra da brividi

Quando si dice essere precisi come un orologio svizzero. Eccolo qua! Ne sono un perfetto esempio in questi giorni. Stamattina ad esempio, pressato da esigenze logistiche, mi desto dal sonno alle 6. In due secondi faccio un rapido short-planning: devo lasciare il motel al massimo per le 6.41, di modo da prendere la prima navetta per il parco – alle 7 – ed iniziare a camminare la Observation Point trail alle 7.30. In questo modo potro’ evitare il caldo assassino del giorno prima e guadagnare la vetta con maggior facilita’ e senza un continuo via vai di escursionisti a rovinare le mie vedute sul canyon. Detto, fatto. Faccio armi e soprattutto bagagli ed esco dal motel alle 6.41, +1 minuto. Prendo la prima navetta come previsto alle 7.02, +2 minuti. Durante il breve viaggio mi assale una stanchezza atroce. Fuori e’ ancora parecchio buio, si vede ancora qualche stella e gli alberi coprono quel poco di chiarore che c’e’. Ho una mezza tentazione non del tutto soffocata di fare un sonnellino rimanendo seduto sulla navetta fino alla fine del percorso, ritorno compreso. Ma vinco stoicamente la mia quotidiana battaglia con il sonno e un po’ rimbambito smonto dal bus. Con pochi passi supero il ponte e sono all’inizio della trail. Ore 7.30 spaccate. Mi stringo la mano compiaciuto. Mi sento un abile organizzatore,con una svelta ma precisa capacita’ di calcolo. Pfff, non farmi ridere ragazzo! Senza tirarsela, credo di aver fatto le cose per bene finora, sul serio. Nulla e’ andato cosi’ storto e anzi, le tempistiche son state sempre rispettate. Grandioso. Anche se, dopo queste parole, mi aspetto disastri di ogni fattezza. Amen. Avvolto ancora da tenui tenebre, mi avvio di buon passo su per la trail. Il vento spira con un certo grado di fastidiosita’, essendo il sottoscritto gia’ in maniche corte per l’escursione. Ovviamente, non una persona nel mio raggio visivo. E questo e’ bene! (citando il cinese del congurt nella puntata dei Simpson in cui c’e’ il pupazzo Krusty maligno) Ma, attenzione, questo e’ anche territorio di Mountain Lions, quindi camminare all’alba da soli in una delle piste meno battute, non ispira cosi’ tanta sicurezza. Fa niente, proseguiamo. Incontro solo una famigliola con un paio di bambine di circa 7-8 anni che sale. Devono esser partiti ancor prima di me, questi scraniati, e se sono diretti in cima, auguro ai loro bambini tanta fortuna, mentre ai loro genitori uno scagotto fulminante per aver avuto la malsana idea di costringere dei bambini a salire un sentiero del genere. Vili. Li supero e tenendo un buon passo mi inoltro per la pista. Passo attraverso Echo Canyon, un posto che definirei spettrale per l’atmosfera sinistra del luogo (da agguato di puma anche), ma decisamente bello. All’uscita della gola poi incontro un’altra coppia (a che cazzo di ora son partiti questi per essere gia’ qui alle prime luci dell’alba?!) la cui signora mi dice di ricordarsi di me per il cappello, che ha visto indossare anche ieri da me ad Angel’s Landing. Faccio troppo tendenza, col mio capeo di paglia! Un po’ di sudore dopo (in metri, direi 8-900) mi espongo al sole nascente. Il paesaggio cambia perche’ non do piu’ il fronte al canyon ma all’outside canyon, per cui a foreste un po’ rarefatte e valloni scoscesi illuminati ad un colore giallo intenso dall’alba. Finalmente mi scaldo un pochino, ho le mani perennemente fredde ma quello fa parte di me. Mi scaldo solo dopo un bel po’ di movimento. Col sole valido alleato (per ora) salgo lanciato e praticamente non bevo, riflettendo sulla mia affinita’ con i cammelli in questa situazione. Cammina cammina, arrivo alla cima, da solo, intrepido. Sono il primo, alle 8.45 del mattino, a raggiungere il belvedere di Observation Point e a piantare simbolicamente la MIA bandiera sul posto. Niente bandiere italiane, solo una con scritto il mio nome, stop. Orgoglioso di questa piccola impresa, guardo con soddisfazione il marker del National Park Service (NPS) che indica il punto. E multa di 1000$ chiunque si macchi del crimine di sfregiare il marker. Certo, un sacco di gente pattuglia il posto per cogliere la gente in flagrante. Che sono scemi?! Io intanto mi accomodo sullo sperone di roccia piu’ esposto sul precipizio, con lo sguardo verso Sud, verso l’inizio della vallata del parco e tutti i deserti retrostanti. Piglio una banana e un paio di barrette, e divoro il mio spuntino con gli occhi su una vista meravigliosa. Sono alcuni tra i momenti migliori di un viaggio questi: da soli, stanchi ma felici, a rifocillarsi nel mezzo della natura selvaggia, con una vista che non tutte le persone possono vantarsi d’aver gustato. Indescrivibile. Da quassu’ la cima di Angel’s Landing sembra una montagnola come le altre. Tutto sembra piu’ basso. La valle sembra ancora immersa nell’oscurita’, mentre le sue pareti rocciose si tingono di giallo. E’ bello spingere lo sguardo sempre piu’ in la’ sull’orizzonte, in cerca di nuove catene montuose, nuovi deserti, nuovi segni di civilta’. Qui lo sguardo e’ libero di spaziare ovunque, magnifico. Non vorrei staccarmi mai da questo senso di liberta’, di freschezza, di gioia. L’aria e’ frizzante e piacevole, non ci sono rumori che rovinano tutto, non c’e’ gente che ciarla. C’e’ solo un maledetto chipmunck che si avvicina furtivo al mio zaino in cerca di cibo, e devo cacciarlo tirandogli delle pietre. Anzi, gli butto la buccia della banana giu’ per il precipizio, e lo stolto la insegue di corsa! Haha, credulone, ti ho giocato! La barretta ce l’ho ancora io! Be’, devo andare. Non mi piace perdere tempo, anche se il tempo investito ad ammirare cotanta meraviglia non e’ mai da considerarsi perso. Scatto un bel po’ di foto, rimetto lo zaino in spalla, e dicendomi “un giorno tornero’ quassu’”, mi rimetto in marcia. Incontro dopo 5 minuti di cammino la coppia di Echo Canyon, e gli dico, stavolta sono io a dirlo, “You’re almost there!”. Mano a mano che scendo incontro altri, sparuti camminatori. Tutti, affaticati, mi chiedono quanto manca. Io sogghigno, sapendo che A LORO costera’ una fatica bestia, e gli dico quanto manca. So che arriveranno lassu’ con un caldo becco e imprecando! Io invece balzello nella parte ombreggiata della trail e scendo con la lestezza di uno stambecco. Inizio addirittura a correre, mi sento in forma. Arrivo alla fine, e guardo l’orologio ancora una volta. Ho terminato i 12,8 km del sentiero in 2 ore nette di cammino. Bestiale, veramente un ottimo ritmo. Mi sto rendendo conto in questi giorni – ancora non per tirarmela, ma e’ un dato di fatto – di due cose. La prima, e’ che pochi reggono il mio ritmo, lungo la pista. Tenendo conto anche della camminata di ieri, mediamente finisco le piste nel 40% del tempo indicato dalle guide. Supero una masnada di gente, ma praticamente nessuno supera me. Buon segno, vuol dire che posso ancora dire la mia! Seconda cosa, il mio spirito competitivo. Ricordo le parole dell’amico Fabio in pizzeria, nel tentativo di mangiare piu’ pizze possibili in un evento all-you-can-eat. Alla mia domanda posta al cameriere in merito al se esistesse o meno un record, l’amico commentava “Sto qua se no ga un record o qualcossa da battere no se contento”. Ed e’ proprio li’ il punto. Non so, un motivo potrebbe essere la full-immersion di Dragon Ball (di Kaaroth come preferisco chiamarlo io) a cui mi sono sottoposto dai 12 ai 20 anni credo. Dragon Ball, ma anche Rocky, ad esempio. Goku e Rocky, se ci pensate, sono due personaggi che per quanto immaginari, portano dei messaggi. Uno di questi e’ quello del tenersi sempre “sul pezzo”, sempre pronti per una nuova sfida, non adagiandosi mai sugli allori ma continuando a migliorarsi con la fatica ed il sudore. Anche senza il sudore e lo sforzo fisico, nella vita credo si debba fare cosi’. Credo sia da stupidi conquistare qualcosa, e fermarsi li’. Godersi quel momento, e vivere di ricordi. No, non fa per me. A me piace vincere, piace avanzare sempre di un gradino in piu’, e per farlo bisogna fare sacrifici, bisgna sudare, bisogna allenarsi. E funziona cosi’ in tutti i campi della nostra vita, anche se non c’e’ da sudare con la fronte e da far faticare i muscoli. In questo caso pero’ e’ cosi’, e il trovarmi in sentieri sempre piu’ lunghi, inerpicati, difficili, mi stimola. Chiaramente, accetto sfide nei limiti del possibile, perche’ non sto parlando di imprese sportive. Come nemmeno ho compiuto imprese nella mia vita. Ma cerco di lavorarci su, cerco di tenermi sempre li’, all’erta. Questa e’ la filosofia che voglio tenere. Oggi mi trovo solo a camminare per dei parchi nazionali e a compiacermi della mia forma fisica, veramente nulla di che. Ma oggi mi trovo anche a pensare che i film di Rocky e le mille puntate di Goku forse qualcosa mi hanno lasciato! Sono velocemente in navetta, e mi dirigo subito fuori dal parco, prima in macchina e poi in citta’, per trovare un discreto posto dove far colazione. Anzi, brunch perche’ ormai sono le 10 e mezza. Opto per un come-back al posto del mega shake di ieri. E indovinate cosa prendo?! Be’, un altro shake – stavolta SOLO da 16 oz – e un croissant con dentro bacon, scrumbled eggs & cheddar cheese. Non male, anche se piccolino, ma comunque a fagiuolo perche’ ero veramente stracco. La stanchezza inizia a pesare e agogno il riposo REGALE che mi concedero’ domani notte, a Las Vegas! Intanto pero’ sono ancora a Zion, e dopo aver spazzolato il piatto e il bicchiere, me ne esco per compiere la mia mission giornaliera: trovare la mia piazzola del campeggio per la notte. Decido di farlo, quest’ultimo sforzo, perche’ il clima e’ piacevole, perche’ ho la stuoia e il cuscino da campeggio presi al Walmart, e perche’ il posto mi sembra quasi idilliaco, con le piazzole immerse tra verdi alberi e vicine al Virgin river. Guido fino all’entrata del Watchman campground, dove ho prenotato gia’ da casa la mia piazzola. All’entrata pero’, le due rangeresse (posso dirlo?!) mi dicono che e’ pieno, e che.. che io ho prenotato per il 29 agosto! Ma zio can.. anzi, ZION CAN, possibile?! Sono un idiota. Mi giro, rimuginando sul se io abbia sprecato 18 dollari o se mi verranno dunque riaccreditati, e vado al South Campground, pochi metri affianco. E’ piu’ bello, ma essendo su first-come, first-served basis (ovvero un modo forbito per dire “chi prima arriva meglio alloggia”) anche stramaledettamente pieno, gia’ a quest’ora del giorno. Giro, giro e giro per il campeggio finche’ non trovo un buchetto, dove non e’ apposto alcun cartellino. Pare non ci sia nessuno su quella piazzola, quindi la faccio mia in men che non si dica. Compilo l’envelope, ci caccio il numero della carta di credito di modo che mi addebitino (potevo pagare cash ma non ho spicci) e mi dedico al costruirmi per l’ultima volta ho idea la mia vecchia Wenzy. Il fatto e’ che ormai il sole e’ alto nel cielo e fa un caldo negro. Ho in macchina il bicchiere dello shake con un dito di avanzo. Credo abbia una colonia di batteri tali da uccidere un cavallo ormai. Io mi denudo, indosso il mio cappellaccio di paglia e monto la tenda. Prima pero’, ho una brillante idea. Io, seguace di Bear Grylls (quell’uomo e’ un grande ragazzi) rammento i suoi consigli sul come costruire un giaciglio confortevole. Vedo che attorno alla piazzola ci sono molteplici, folti ciuffi d’erba secca, alta. Ne raccolgo in abbondanza e li stendo a formare una prima stuoia, un primo strato di comodita’. Poi, adagio il tarp. Subito dopo, stendo la tenda e la fisso nel posto designato. Infine, adagio stuoia e sacco a pelo, e mi preparo al comfort test: la prova, senza alcun dubbio, e’ superata. E’ uno dei giacigli piu’ comodi in cui abbia posato le mie chiappe cavolo! Ancora una volta nell’arco di poche ore, mi trovo a complimentarmi con me stesso per l’ottimo lavoro, anche se una parte del merito va al vecchio Bear. Son contento. Anche perche’ il clima del campeggio sembra proprio bello, tranquillo, in un contesto stupendo, con belle viette che si snodano affianco al fiume. Rilassante. Si, rilassante, ma non come il bagno che sto per andare a fare. Il caldo e’ da sangue da naso e l’acqua fresca del fiume e’ l’unico riparo. Mi preparo uno zaino light e mi avvio, in navetta, alla seconda fermata, quella di Canyon Junction. Scendo dalla strada e mi faccio strada verso il corso del fiume, nascosto dallo sguardo di gente indiscreta. Mi cambio, et voila’, Manu versione bagnante. Anche se per quel che sto mangiando e la forma che sto assumendo, sono piu’ una versione natante. Mi sdraio con la shiena su un grosso masso sommers che mi fa da cuscino, anzi, da sdraio, il corpo immerso in acqua fino al collo. Una sensazione divina. La frescura si impadronisce di me, anche se il sole frontale continua ad abbronzarmi e a colpire il mio volto. Sento le braccia quasi bruciare, non so se comunque per il caldo o per l’eccessivo freddo. Fattosta’ che in questo stato mi sento in tranche. Anche questi, momenti impagabili. I bagni in giro per il mondo – bagni intesi come momenti balneatori – sono una delle cose a cui tengo di piu’! Ricordo un paio di laghi di montagna in Canada.. nella Bow Valley.. aah! Va be’, non piangiamo sui posti visitati. Mi desto dallo stato di gelido torpore in cui ero caduto, probabilmente prossimo alla morte, e mi faccio asciugare dai raggi solari, che piano piano fanno scomparire le gocce d’acqua dalla mia pelle abbronzata. (Haha, tornero’ a Padova abbronzato mentre tutti i balneanti di luglio e agosto saranno gia’ bianchi come i muri! Little bastard) Dopo essermi rivestito, gironzolo un po’ per il parco. Arrivo a Zion Lodge – una lodge appunto costruita nei primi anni venti per incentivare il turismo nell’area – e faccio un sonnetto sdraiato sull’invitante erbetta del giardino. Davanti a me, si svolge una ranger talk sugli insediamenti umani nel canyon di Zion. Ma si sa, l’ho gia’ detto, chi dorme non piglia pesci, quindi mi ridesto e mi rimetto in navetta. Mi sento una formica, presente? Sono frenetiche, sempre in movimento, mai che stiano li a godersi un bella briciola di pane e una bella goccia d’acqua all’ombra di una foglia! Storie. In men che non si dica sono nuovamente in citta’, e stavolta con una meta precisa: un dolce sollievo, che trovo quasi immediatamente. Trovo un’insegna, “Springdale Candy Company”, che mi fa venire le bave alla bocca. Ci metto poco ad attraversare la strada e aprire la porta d’ingresso. Entro con circospezione, non voglio che i soliti, troppo gentili, assillanti commessi americani mi infestino e mi facciano sentire in colpa se esco senza comprar nulla. Voglio solo entrare e dare un’occhiata cazzo! Hehe, si, occhiata! In realta’ dentro la visione e’ talmente bella che mi invoglia troppo, dunque le prime parole che proferisco, dopo “Hi”, sono per la signora di mezz’eta’ al bancone e recitano “Mi dia il milkshake piu’ grande che riesce a fare!”. Davvero, le ho detto cosi’. Pero’ non ha esaudito i miei desideri, perche’ il bicchiere non era cosi’ enorme, anzi. Ne ho bevuti di piu’ grossi. Non contento pero’, visto che il negozio offre piu’ che altro cioccolato fatto live, mi sento obbligato ad assaggiarne un po’. La signora, che non so per qual cazzo di motivo continua a chiamarmi BABY – e tutto cio’ non mi mette a mio agio, mi fa assaggiare della cioccolata che il suo collega sta preparando dietro di lei. Nabbomba! Quindi compro 4 cioccolatoni al latte – ini e’ riduttivo, li’ non esistono i diminutivi per il cibo! – con dentro:uno peanut butter (burro d’arachidi), uno cocco, uno maple fudge (orgasmo organolettico) e uno.. uuu.. marshmallow! Esco con il sorriso di un bambino che ha appena visto Babbo Natale, mi siedo ALL’OMBRA sulla panca davanti al negozio, sorseggio un po’ di vanilla shake mentre apro il sacchetto e poi gusto i cioccolatoni, uno ad uno. Mi sembra di salire le scale verso il Paradiso. Sono in estasi degustativa, mi sento bene, non ho caldo e ho il palato in festa. Il mondo puo’ anche finire ora, ma io saro’ contento lo stesso! Il colpo del marshmallow poi, e’ deflagrante. Non ho piu’ parole ne’ sentimenti, ne’ purtroppo cioccolatoni, quindi altro non faccio che lasciarmi scivolare sulla panca e sorseggiare dell’altro shake. Sublime. Mi riprendo dal coma glucosico – parola inesistente ma che rende il concetto – solo MINUTI dopo, ed alzandomi a fatica, faccio 2 passi per smaltire. Dopo qualche isolato, vedo un posto che attira la mia attenzione, l’attenzione di uno a cui non passa nulla e che puo’ esser interessato anche da una macchina verde. Vedo una libreria, e ci entro di corsa, commettendo l’errore supremo. Vedete, parlo di errore supremo, e la mia amica Raffaella saprebbe bene come mai, in quanto le librerie sono un’inesauribile fonte di sperperi economici per il sottoscritto. Non esco senza almeno un libro, un saggio, un romanzetto, un opuscolo. DEVO comprare qualcosa. E stavolta la regola non fa eccezioni, perche’ acquisto un paio di libri di viaggi, uno nel parco di Arches (dove sono stato lo scorso anno) e uno in giro per gli States. Magari saranno fonte d’ispirazione. E poi, essendo quello su Arches una specie di tascabile, mi tornera’ utile: mi mancava il solito libretto da attesa in aeroporto! Facendo due chiacchiere, le solite da turista che non ha nulla da fare, con la padrona del negozio finisco in argomento “real estate”, e cosi’ conosco la proprietaria dello stabile affianco, una galleria d’arte la cui padrona e’ anche agente immobiliare. Ma guarda un po’! Le pongo una domanda a bruciapelo, immaginando gia’ la risposta: quanto costa mediamente una casa qui a Springdale?! La risposta mi spiazza piu’ del previsto. Mi aspettavo dei prezzi elevati, ma 200.000 dollari per la casa piu’ squallida, questo e’ un po’ eccessivo! Con 150.000 dollari a Rapid City, SD, mi prendo una villa credo! In questo modo, crolla ogni mio sogno di un futuro alle porte del parco di Zion. L’infelice novella non pregiudica il mio morale, che gaio come sempre mi porta di nuovo all’aperto a girovagare per la cittadina. Dopo pochi minuti mi son gia’ rotto i coglioni, quindi, anche stanco per la giornata, mi accomodo su una panca e leggo il libro appena comprato. Duro venti minuti, poi, con una decisione a dir poco vergognosa, decido di andare a cenare: sono le 6 di sera. E’ un record. Per carita’, qui la gente e’ abituata a non mangiare tardi, e il locale e’ gia’ frequentato, ma a me sembra di essere in un altro mondo. Entro in una pizzeria/ristorante per sfamare la mia voglia di pizza, non ne ho ancora presa una. Opto per una pepperoni, sausage, canadian bacon and olives. Si, non e’ malaccio, ma la Meat Lovers di Pizza Hut la brucia. La mia prossima mission sara’ trovare un Pizza Hut ragazzi. Sconsolato, non soddisfatto dalla cena, ingollo un altro bicchierone di pink lemonade (o sta roba spacca, e’ limonata ma e’ rosa e c’e’ qualche altro aroma dentro che e’ una bomba. Ve la consiglio!) ed esco. Non e’ ancora tramontato del tutto il sole, ed io sono tecnicamente gia’ pronto per andare a letto! Pazzesco. Cosi’, decido di tornare al campeggio, godermi li le ultime luci del giorno, e fare due passi per aiutare il mio stoico stomaco a digerire la balla di cibo. Sempre con i miei infradito ai piedi, inizio a far due passi per le viuzze del camp, affianco al fiume, con il mio diario in mano. Ci sono anche le note di viaggio della mia ultima esperienza in Irlanda. Oh, rido come un imbecille. Non so perche’ ma rileggere quel che scrivo, le mie osservazioni sugli altri, sul me stesso, mi fan crepare dalle risate! Cosi’ leggo di com’e’ andata, di cosa provavo, di come vedevo le cose. I consigli finali sono stupendi, e credo varra’ la pena che prima o poi da qualche parte vengano pubblicati. Anzi, il lettore mi perdoni, ma lo faccio ora. Considerazioni sull’Irlanda: 1. L’Irlanda e’ un paese spazzato dal vento. Portati sempre un berretto. 2. Se il tempo si mette contro di te, rassegnati, sei fregato. 3. Se devi trombare da giovane, le irlandesi saranno propense a darti una chance. 4. L’Irlanda non e’ il paese descritto dalle guide: e’ povero di attrazioni, quelle che ci sono sono modeste, e NON E’ un paradiso del birdwatching. 5. Eddie Rockets e’ la mia rovina (NB. Catena di fastfood) 6. Capisco perche’ l’irlandese e’ visto come un ubriacone. E mi fermo qui, non esprimo altre considerazioni che ho segnato sul blocco note durante il viaggio in merito a quest’esperienza. Finita la lettura, finisco anche il campeggio, e ripiego verso il mio giaciglio. Ormai l’imbrunire ha coperto tutto il pesaggio, e non mi rimane che indossare la mia headtorch e recarmi al bagno per detergermi le zanne per poi, finalmente, coricarmi. Sono veramente, VERAMENTE stanco. Avete presente quando, dopo una giornata di sole al mare, si rientra a casa stanchi morti, pur non avendo mosso un muscolo?! Ecco, aggiungete anche una camminata di 13 km e un po’ di giretti qua e la, e otterrete un livello di stanchezza ancor maggiore. Io mi sento cosi’, fabbisognante di riposo. Entro in tenda lasciando fuori un ventaccio che non promette meraviglie. Non si sa mai come possa cambiare repentinamente qui il tempo. Di contro, la temperatura e’ decisamente apprezzabile. Sono in pantaloncini corti e maglietta lunga, e sto benissimo, anche col sacco a pelo aperto. Fa molto strano, ma mi concilia il sonno. Prendo subito la via del riposo anche grazie alla tattica Grylls e al nuovo, piccolo cuscino acquistato. L’unica pecca ecco, e’ che dormendo a pancia in giu’ mi schiaccio le braccia in un modo o nell’altro e mi blocco la circolazione del sangue, creando quel pericoloso effetto “braccia inerti” che puo’ portare a farsi cadere una mano in faccia senza preavviso, mentre ci si gira! E’ ora di dormire sul serio, cade il silenzio anche in campeggio. Fuori, il cielo fa paura. Stellato da far venire i brividi. E’ una terra, da brividi.

venerdì 28 ottobre 2011

"Tanta roba"

Nota introduttiva: una grande giornata anche oggi cazzo! Come sempre, di questi ultimi tempi.

Quando il telefono fa partire la mia melodia da risveglio preferita (Deuter – Lovesong from the Mountains, andate ad ascoltarla perche' merita) mi alzo, tranquillo, in pace con me stesso e non incazzato col mondo come accade nei giorni lavorativi. Stropiccio gli occhi, ringrazio lassu’ che anche oggi vedo il sole – anche se fuori e’ ancora buio pesto – e mi espongo al freddo levandomi le coperte da sopra. In poco tempo ho le valige fatte, dei vestiti indosso e sono pronto a partire. Ho lo stomaco vuoto, ed un solo obiettivo: vedere una delle famose albe di Bryce e drigermi poi a tutta velocita’ verso un posto dove aggreppiarmi per colazione. Ma intanto guido semplicemente verso Sunrise Point. Lo dice il nome, l’alba si vede da quel posto! Arrivo una decina di minuti prima dell’orario previsto per il sorgere del sole, e prendo posto tra la folla gia’ radunata in loco. L’attrazione e’ famosa e richiama molta gente. Lo si vede dal fatto che sulle ringhiere dove ieri osservavo allibito e meravigliato per la prima volta l’amphitheather, oggi non c’e’ un buchetto neanche a pagarlo. Sono tutti gia’ appostati da un pezzo, peraltro attrezzati con abbigliamento tecnico che li fa sembrare in partenza per un trekking sull’Himalaya. Io, solito turistello pezzente, in pantaloncini corti neri, maglietta di cotone a maniche corte e felpa grigia. Ah, piu’ l’inseparabile berretto verde e grigio, compagno di mille avventure sin dai tempi gloriosi e degni di fama del South Dakota. Morale della favola: saro’ stato piu’ intrepido, avro’ sfottuto gli altri vecchiardi tutti bardati, ma io intanto non vedevo l’ora che quel cazzo di sole sorgesse perche’ mi stavo ghiacciando anche i lacci delle scarpe! Credo la temperatura fosse intorno ai 2-4 gradi al massimo, oltre ad una certa brezza di cui avrei fatto volentieri a meno! Comunque, rimango intrepido e non mi faccio distrarre dalle avversita’ climatiche. Guardo il Painted desert che si tinge di qualche colore, un violaceo, un bluastro, e si stacca dalla monotonia nera imposta dalla notte. Poi, sposto la mia attenzione a destra, all’amphitheather in se’. Ai primi riflessi di luce, quando il sole deve in effetti ancora sorgere, le pareti rocciose hanno un colore quasi spettrale, chiaro, fioco. Mano a mano che il disco luminoso sale nel cielo e passa lo zenit, gli hoodoos appena sotto il margine della terra diventano rosso arancioni accesi, e contrastano con i fratelli neri, quelli non ancora illuminati dalla luce solare. E’ questione di minuti pero’, affinche’ tutto il Bryce, tutti gli hoodoos, godano di un po’ di luce e si tingano di molteplici fantasie tra il rosso e il giallo. Sono spettacoli quasi effimeri. Dopotutto, credo che gli spettacoli effimeri siano quelli che ci attraggono di piu’, quelli che piu’ ci affascinano. Che gusto c’e’ a fissare una montagna per ore e ore? Ma una volta che ci mettiamo di fronte ad una palla infuocata che sorge, e per pochi minuti colora di tinte surreali un posto, allora ogni nostra barriera si abbatte e la nostra felicita’, la nostra ammirazione, scorrono senza frontiere. What a feeling! Non mi trattengo molto solo perche’ altrimenti rischierei seriamente un ritorno all’era glaciale, e preferisco quindi battere in ritirata con le mani in tasca verso la macchina, dove accendo per la prima volta il riscaldamento, anche se basso. Ecco, la guida al mattino, con le strade ancora semi deserte, quella sensazione di freddo data dalla temperatura in se’ e dai colori che si vedono fuori, e magari un po’ di riscaldamento acceso.. tutto questo da un piacere inpagabile secondo me. E’ come essere in pieno inverno, in montagna, seduti in poltrona davanti al caminetto, col fuoco acceso. Magari non proprio cosi’, pero’ la sensazione piacevole ci assomiglia! Guido piacevolmente verso una buona colazione. Piano piano io mi scaldo, e mentre faccio benzina mi tolgo una felpa e spengo l’aria calda. Ormai sono le 8 mezza ed il giorno e’ avviato! Mentre guido verso un paese degno di esser apostrofato cosi’, penso tra me e me che vorrei tanto far colazione in uno di quei diner da campagna in cui lo spazio e’ poco, ci si siede sugli sgabelli al bancone, e le cameriere hanno occhi solo per te, e ti coccolano sempre portandoti caffe’ caldo ogni 2,5 minuti circa e domandandoti ogni 1,5 se necessiti di qualche altro genere alimentare. Uno di quei posti dove ti senti a casa! Non l’avessi detto. Mi trovo a guidare il mio veicolo attraverso la Main di un paesino chiamato Hatch, credo un centinaio di anime e pochi business. Vedo un insegna che riporta scritto “Diner”, butto la macchina a sinistra e scendo. Sono aperti, dunque non vedo perche’ non entrare. Anzi non ci vedo proprio e tiro dritto oltre la porta d’ingresso. L’ambiente e’ piccolo, accogliente, familiare. Non faccio nemmeno a tempo a posare le mie onorevoli chiappe al bancone che il tipo mi riempie subito la tazza con abbondante caffe’ americano e mi chiede se desidero altro. Lo congedo e gli chiedo solo del tempo per meditare sul menu (in Italia non funziona cosi’. Se in ogni bar venissero aggressivi ma simpatici per depositare litri di caffe’ sulle tazze di ogni cliente, i baristi farebbero miliardi! E i peoci non andrebbero piu’ in nessun bar). Poco dopo decido di andare per un toast con uovo, bacon ed american cheese – scopriro’ quanto questo formaggio sia delizioso! – e le solite hash browns da contorno. Mentre l’ordine viene passato in cucina, ovvero al muro di fronte a me, perche’ la cucina e’ praticamente a vista e la cuoca mi guarda con circospezione, l’avventore mi pone varie domande: da dove vengo, cosa mi porta ad Hatch, che giro sto facendo, ecc. Parliamo beatamente mentre io sorseggio il mio caffe’ allattato (allungato con latte) e riprendo calore. Vedete, queste cose, questi posti, non esistono nelle citta’ tipo LOS ANGELES MERDA. No, zero, nada. Li solo traffico, confusione, locali impersonali, privi di quel calore e di quel senso di “familiare” che puoi trovare solo nelle zone country, di campagna. Io adoro questi posti e questa gente. Come canta una canzone country:” These are my people!” Finalmente poi arriva sul bancone il mio piatto, che con costanza spazzolo avidamente e deliziato. La padrona intercetta il mio sguardo, capisce, e mi chiede “Ancora fame?!” Io replico “Be’, a dire il vero sento ancora un languorino..” E getto lo sguardo sul menu, pronto a scegliere gli Homemade biscuits with gravy. Al sentire la mia scelta, la cuoca esclama incredulita’. “Sei sicuro?! Guarda che e’ tanta roba!”, mi dice. Ma io sono oramai un guerrero impavido, che non teme i colpi del fritto o della caseina, del lattosio o delle proteine. Do il via libera per l’ordine. E arrivata la merce, inizio a farla fuori. Completo 3 biscuits su 4, e avanzo buona parte delle altre hash browns di cui proprio non riesco a liberarmi (sono onnipresenti, mangio piu’ patate di un irlandese). Alla fine di questa colazione, che potra’ sembrarvi durata ore – e prima o poi lo diventeranno cosi’ lunghe, le mie colazioni – saldo il conto, saluto cordialmente gli avventori e mi avvio verso il parco di Zion. Al solito, con il mio personal airbag sullo stomaco. L’entrata lascia presagire un cambiamento repentino del paesaggio. Lo Zion Canyon (Zion e’ una parola che sta per “Eden”,”meraviglia”) e’ uno dei pochi canyon che si visitano da sotto. Lo si fa prendendo dei comodi e regolari bus-navetta che partono ogni 15 minuti sia dalla limitrofa cittadina di Springdale che dal Watchman campground, che assieme al South Campground forma la struttura di ricezione turistica piu’ vicina ai confini del parco. Sebbene innumerevoli hotel, motel e lodge si trovino a cento, duecento e oltre metri di distanza in Springdale. Il canyon, che viene visitato da Sud a Nord, e’ una stretta vallata verde dove scorre verde il Virgin River, che e’ accompagnato ai suoi lati da un’altrettanto verde vegetazione, ed e’ riparato da imponenti vette di sandstone, un materiale formato dalla compattazione di strati su strati di sabbia, che attualmente risultano essere tra le piu’ alte al mondo. Intendo, tra i monoliti di sandstone piu’ alti del mondo. La geografia cromatica e’ molto semplice: cielo blu, rocce rosse, vallata verde. Il quadro e’ fantastico anche solo a prima vista. Inoltre, Springdale e’ una bellissima e accogliente cittadina. Non si e’ trasformata nella classica trappola per turisti, pur contando decisamente tante strutture di lodging e dining, ma ha piuttosto mantenuto l’aspetto di una tranquilla e pulita cittadina del sud-ovest montano. Idilliaca. Mentre guido le prime miglia nel parco, noto la possenza delle vette circostanti. Le strade su cui si guida sono rosse tendenti al viola, e sembra siano un tutt’uno con i piedi delle colline adiacenti ad esse. Arrivo al centro visitatori vicino al campeggio, lascio la macchina al sole e presi i miei effetti ed il mio zainaccio, parto. Chiedo le solite informazioni al solito ranger, un arzillo vecchietto stavolta, e prendo la navetta. Una cosa diversa da altri parchi, che apprezzo molto, e’ la voce registrata che non solo elenca le fermate lungo la strada ricordandoti dove diamine ti trovi, ma narra fermata dopo fermata la storia e gli elementi caratteristici del parco, dando al turista una buona infarinatura di base. Io mi fermo subito a Zion Lodge e parto verso le Lower&Upper Emerald Pools per scaldarmi le gambe e vedere i primi assaggi di Zion. Avevo visto, dall’internet, che le pools sono un posto piuttosto scenico, con cascatelle, pozze color smeraldo e begli scorci sulle montagne circostanti. In realta’ la camminata mi delude, non fosse per un passaggio sotto una parete rocciosa, passando dietro ad una cascata purtroppo quasi secca. Ma comunque bella. Compio il tragitto in breve tempo e sono subito in strada. Faccio il tragitto in navetta fino alla fermata successiva, e decido che e’ giunto il momento di iniziare a far sul serio: punto Angel’s Landing. L’orologio segna l’ora in cui nessuno ti consigliera’ mai di partire per una camminata, a meno che non ti trovi al polo Sud. Sono le 13. La camminata e’ segnata per un tempo di circa 4 ore. Parto gagliardo e supero una masnada di gente, come uso fare di solito (non per tirarmela). Guardo parecchio per terra, per non rischiare di mettere il piede in fallo e rovinare al suolo, ma quando alzo lo sguard vedo spettacoli poco affascinanti e anzi piuttosto raccapriccianti. Ad esempio, i giappi. Non ci crederete, ma vedo una coppia che, scendendo, alle 13 del pomeriggio di un assolato giorno di fine settembre (sempre estate nel sud dello Utah) indossa: pantaloni impermeabili neri e lunghi, felpa e giacca a vento a collo alto, nera ed impermeabile, guanti ovviamente neri e cappello, manco a dirlo, ROSA. No sto scherzando, e’ nero anche quello! In pratica, una coppia di zorri senza mantello e dalla parlata asiatica che al posto del sergente Garcia potrebbero chiamare il sergente Matsuto. Brutta visione. Forse mai quanto quella di ragazze che, forse non consce di cosa le aspetta, salgono (e scendono) in semplici infradito. Pazze scriteriate. Credo che al mio posto, il mio tecnico cugino Barzy (A.L.) sarebbe inorridito. Lui che anche per una semplice scarpinata ad Asiago non lascerebbe nulla al caso, vedendo questi obbrobri tecnici rischierebbe l’infarto. Io che sono equipaggiato con le mie brand new trekking shoes salgo col passo di un camoscio ed inizio a sudare cospicuamente, sotto un sole che non perdona. Seguo la pista che si inerpica sul lato di quella specie di “dente” che e’ Angel’s Landing, facendo un continuo zig-zag, una volta all’ombra e una volta al sole. Per fortuna, veramente, che ho il mio cappello di paglia. Mi sta davvero parando il culo ultimamente. Arrivo finalmente ad uno spiazzo sabbioso, dove trovo un assembramento di gente che mi suggerisce la fine della pista. Non trovo nulla di scenico, di cosi’ bello, ed il motivo e’ presto detto: non e’ la fine. Dannazione. Mi mostrano la via, e mi inerpico per l’ultimo tratto. La salita verso Angel’s Landing, un giro che conta 8 km round-trip, non e’ cosi’ difficile di per se’. La difficolta’ e’ data dal fatto che gli ultimi, diciamo, 2-300 metri si compiono in ferrata e perennemente esposti da un lato. Si sale tenendosi alla corda di ferro, ma per i piu’ intrepidi come il sottoscritto e’ un optional. Si sale di slancio e si ammira il maestoso salto verso il basso. Certo che con lo zaino e’ tanta roba. Arrivo alla fine della cresta con i muscoli gia’ andati, ma la gente mi avvisa che non ci sono ancora, che sono solo “almost there”, quasi li’. Impreco copiosamente. Con i quadricipiti a pezzi, salgo le ultime scale. La ferrata non e’ un sentiero che sale piano verso la cime, e’ un insieme di massi e crepe su cui bisogna salire a mo’ di scala, sforzando i muscoli delle gambe in modo atroce. Lo zaino acutizza le sofferenze. Sfinito, arrivo sulla vera cima sollevandomi con le braccia attaccate alla corda, per risparmiare le gambe. Il sole vuole darmi il colpo di grazia, e lo spazio non gioca a mio favore perche’ ogni albero e’ occupato dalle persone – notate che gli alberi in cima sono 4 o 5 e sono alti due metri. Mi arrangio a modo mio e mi butto all’ombra di una protuberanza della roccia, scomoda ma efficace come riparo dal sole. Bevo, e mangio energia (ovvero, barrette e fluidi energetici). Lo sforzo e’ stato importante, ma il risultato ottimo: 52’ per guadagnare la vetta! Sono contento di me stesso, e ammiro un po’ piu’ rilassato la spettacolare vista che si gode da quassu’. La Zion valley si apre maestosa verso sud, incastonata tra due lati di imponenti catene di sandstone. Immediatamente sotto di noi, un ansa del Virgin river fa un effetto “horseshoe” notevole, e mostra dei puntini bianchi che corrono sulla strada, le navette. A nord, la valle che si stringe fino a “the Narrows”, la fine della valle percorribile. Respiro a pieni polmoni, per recuperare e per assaporare questi bei momenti. Vengo poi fermato da una tipa, che scopro chiamarsi Karyl, che mi chiede di farle una foto e che si offre gentilmente di farmi una foto. Colgo l’occasione al volo, visto che sara’ una delle rarissime occasioni in cui potro’ comparire in una foto! (Non che mi interessi molto in realta’ esser nelle foto. Vedete, io ormai, nonostante un passato di questo genere, sono assolutamente contro alle persone maledettamente EMO da comparire in ogni cazzo di foto, davanti a tutto e a tutti. Un po’ giappi, no?! Nel senso che, alla fin fine, non conta un cazzo arrivare a casa e dire agli amici, ai familiari “Questo sono io davanti alla Torre Eiffel, questo sono io davanti a London Bridge, questo sono io davanti a Grand Canyon”. Che minchia me ne frega di vedere TE davanti a Gran Canyon scusa?! Un ricordo dirai?! Ma che ricordo e’!! Il ricordo di un posto lo si porta nel cuore, non in una foto. Quella, lasciatelo dire, e’ una cazzo di foto rovinata.) Sbrigate le formalita’ fotografiche, iniziamo a parlare del piu’ e del meno, come si fa sempre. Karyl, originaria di Las Vegas, sta a Salt Lake City per studio. Mi racconta un po’ di Vegas, mia prossima meta. Ci salutiamo dopo un po’, non prima di esserci lasciati un recapito per scambiarci le foto fatte, e prima l’una poi l’altro ci avviamo a ritornare indietro. Io ritorno con macchina fotografica in mano e piuttosto di corsa, all’inizio, il che mi fa sentire un po’ una specie di freelancer (magari inseguito da un leone di montagna!) Lungo la strada ritrovo Karyl, quindi continuiamo a scendere assieme. Torniamo a parlare di questa e di quella citta’, di cosa vorremmo fare, dei viaggi. E quando raggiungiamo un suo amico che la aspetta allo spiazzo che poco fa mi aveva ingannato, ci riposiamo un po’ all’ombra scambiando altre due parole. E poi, grato per questo piacevole diversivo, li saluto e riparto. Mentre scendo mi meraviglio di come qui la gente sia aperta, cordiale, socievole. Da noi non e’ cosi’. Io ho sempre la sensazione, parlando con sconosciuti, che stiano pensando “Chi cazzo e’ questo cretino che mi importuna?”. Qui non e’ cosi’, sara’ il clima rilassato del viaggio, sara’ l’aria magica di questi posti, o sara’ piu’ semplicemente che gli americani hanno una marcia in piu’, e scusate se lo dico da italiano. Amo questa gente, e in questi giorni, grazie a loro e a tante altre persone, sto vivendo momenti magnifici. Corro con rinnovate energie fino alla fine della pista. Anzi, quasi fino alla fine. Poco prima infatti mi trovo a pochi metri dal fiume, verde, limpido. Fresco. Io ho un caldo mannaro. Sento le braccia infiammate e le vedo rosse. Non ci vedo piu’, e decido di tuffarmi in acqua. Cammino la mia strada verso l’acqua. Mi viene in mente che non ho il costume con me, ma non importa. Mi buttero’ in mutande, che sara’ mai! E cosi’ faccio. Arrivo, mi tolgo tutto, ammucchio i miei effetti sopra lo zaino e li copro dal sole con un cappello di paglia. Sembra la tomba di un contadino. Io mi lancio in acqua. CHE SOLLIEVO MEEEN!! Sento la vita fluire su di me. L’acqua fredda tonifica e la vista, immediatamente sopra, della torre di Angel’s Landing, pure. Non c’e’ nessuno in giro. Fa un po’ Into the Wild. E magari, Dio solo lo sa, un giorno potro’ provare le stesse sensazioni facendo un bagno in Alaska. Mi godo quei brevi attimi di freschezza, esco dale acque con le mie mutande bagnate e mi asciugo un po’ al sole e un po’ con una maglietta bianca sudata che mi ero tolto (nota dello scrittore: quella maglietta non sarebbe mai piu’ tornata al candore iniziale. Innumerevoli aloni di terra rossa l’avrebbero segnata per sempre). Qualche minuto dopo sono di nuovo in marcia, poi in navetta, e poi all’inizio della breve camminata che conduce a The Narrows. Questa “cosa” altro non e’ che la fine del canyon normalmente percorribile, e l’inizio di un percorso che la gente puo’ fare previo noleggio di attrezzatura tecnica, seguendo il corso stesso del fiume. Si cammina sul greto del torrente e lo si risale, arrivando addirittura a nuotare in pozze profonde facendo galeggiare lo zaino, per poi arrampicarsi sui salti che il fiume naturalmente fa. Un percorso che porta belle emozioni e luoghi quasi surreali, come la fantastica “galleria” scavata nella roccia chiamata a ragione “The Subway”, un posto che sfortunatamente non tutti possono ammirare. Me compreso, che quindi cammino solo per il tratto accessibile del percorso. Mi basta questo, per oggi. Qualche foto, l’aria frizzante della parte ombrosa del canyon. La mia giornata attiva al canyon puo’ dirsi conclusa, e ho una forte voglia di milkshake. Ne ho bevuti pochissimi da quando son qui!! Devo rimediare ad ogni costo. Me ne torno in navetta fino in citta’, stoppo al primo posto utile, anche se non proprio una gelateria, e prendo una “cream” alla vaniglia che altro non e’ che un ghiaccio alla vaniglia. Lo prendo enorme – 24 oz, ovvero 0,68 litri – ed e’ anche buono! Momenti di fresca goduria. Momenti felici che protraggo visitando brevemente la cittadina di Springdale. Come ho gia’ sottolineato, e’ una cittadina piccola, che si sviluppa su una Main Street di un paio di miglia, con casette curate ma non eccessive, giardini verdi ma non megalomani, panchine bianche ai lati della strada, le bici dei bambini legate ai pali delle fermate del bus, la piccola chiesa bianca con poco di fianco l’ufficio postale, anch’esso minuscolo. Sembra uscita da una fiaba, da un racconto in cui si narra la faccia piu’ bella dell’America. Camminarci e’ un piacere, perche’ non c’e’ traffico, non c’e’ inquinamento, non ci sono clacson e i marciapiedi non sono dannatamente affollati come in citta’. Anche se ci sono praticamente quasi solo motel, lodge e mangiatoie, non mi dispiace. Il clima in genere, e’ magnifico. Entra di diritto tra le 10 citta’ piu’ belle che ho visto in USA, e dovro’ farci un pensierino qualora decidessi di trasferirmi in questa nazione! Mi reco al motel con ancora lo shake fra le mani, e me lo slurpo mentre parlo con la solita vecchiotta al desk. Entrato in camera non esito a farmi una doccia tonificante, e prendo fiato poi scrivendo un po’ di appunti, riordinando la macchina e le valigie, entrambi gia’ ridotti malissimo. Solite faccende. Esco presto stasera, relativamente affamato ma pressato da esigenze logistiche. Butto l’occhio sul sole che inizia a tramontare e accende i colori dei torrioni dietro alla mia stanza. Sembra che le montagne ci proteggeranno stanotte. Entro poi nella mangiatoia qui affianco, posto che non sembra male dall’aspetto e di cui non mi delude nemmeno l’aspetto della cameriera che mi serve! Mi accomodo e sfoglio la rosa delle ordinazioni. Mentre lo faccio, un tipo stravagante con una chitarra in mano improvvisa un po’ di musica country. Lo sento suonare poi, a richiesta, delle canzoni davanti a un gruppo di tedeschi evidentemente patiti di country. A un certo punto parte la piu’ toccante: “Take me home, country roads” di John Denver. Io personalmente ho la pelle d’oca mentre la melodia scorre, ed io realizzo di trovarmi nella terra del country, nel paese che amo, mentre uno strimpellatore peraltro bravissimo canta una delle melodie piu’ belle che il country mi abbia fatto conoscere. Sono commosso, e non fosse per l’ambiente, potrebbe anche cadere una lacrimuccia. Bello, bello. Alla cameriera che passa ordino una full rack di BBQ ribs, con contorno di fagioli alla texana e un bel po’ di te’, che mi viene servito sui barattoli enormi in cui le nostre mamme mettono la conserva di pomodoro. Interessante, anche se l’avevo gia’ visto fare in un posto in cui ho cenato a Banff, BC, in Canada. Attendo troppo per la media americana, credo una decina di minuti o addirittura quindici, poi mi avvento sulle ribs. Non sono il top, forse perche’ sono enormi, e ne mangio solo meta’. Finisco i fagioli, ma per le ribs non ce n’e’ piu’. Cosi’, per mascherare la sconfitta, accampo la vile scusa di un mal di pancia e batto in ritirata, pagando il conto. Mi vergogno di me stesso, anche perche’ poi trascorro del tempo a passeggio in citta’ e a far la spesa per il mattino dopo. Manu voto 3,5. In quanto alla spesa prendo un paio di barrette energetiche al cioccolato e un paio di banane. Domattina infatti ho in programma il top: Observation Point. E’ la camminata da farsi in giornata piu’ lunga del parco, 12 km a/r e un tempo raccomandato di circa 6 ore. Presuppongo di svegliarmi presto, attorno alle 6, per essere alla fermata alle 7, prendere la prima navetta ed essere alla trailhead per le 7.30. Dunque, no breakfast domani, primo perche’ i posti aperti sono n.1, e non eccezionale, secondo perche’ non avro’ tempo di digerire. Meglio sgranocchiare qualcosa di leggero in navetta e qualcosa arrivati in cima. Mi corico appena tornato, dopo aver liberato il letto dalle tonnnellate di robaccia di cui l’avevo ricoperto. Al solito, mutande e canottiera e via a letto. Qui in America credo non si abbia mai freddo. Ho dormito in varie stagioni e ho sempre trovato diversi strati di coperte nei letti. Sara’ per questo.. e anche perche’ probabilmente mi stanno gia’ sparando il riscaldamento senza che io lo possa controllare! No dai, questo lo escludo, c’e’ una specie di condizionatore (freddo pero’) che io ho spento. Quindi.. boh, quindi non lo so, non riesco a concludere questa mia divagazione sul microclima delle camere americane, vi dico solo di non portarvi pigiami, vi basteranno le mutande e la canotta che indossate durante il giorno! Buonanotte. Domattina mi trovate ad Observation Point.

mercoledì 26 ottobre 2011

Thank God I'm a country boy (pt.2)

Il resto del parco non delude, perche' un po' come gia' detto per Grand Canyon, nonostante le cose da vedere siano sempre quelle, esse sembrano sempre diverse da ogni angolatura le si veda. Guido fino a Paria View e Bryce Point, estremo lembo meridionale del piccolo parco di Bryce. Mentre da li rientro al parcheggio mi ferma una tipa, sulla trentina, che dice di avermi fotografato mentre, in un altro viewpoint, mi avventuravo su una cresta per fare a mia volta delle foto. Mi dice che il mio cappello, la mia canotta azzurra e le mie kipsta rosse creavano un bel contrasto con le rocce del Bryce. Mi invita, se voglio, a darle la mia email di modo da potermi inviare le foto che mi vedono come soggetto. Rimango basito. Una sconosciuta mi fotografa, e addirittura mi ferma per chiedermi se voglio quelle foto! Accetto volentieri, e scambiamo anche de parole. Non chiedetemi il suo nome perche' sapete bene che dopo mezzo secondo dalla presentazione me lo dimentico! So che viene da Seattle, citta che sebbene piovosissima mi ispira parecchio. Mi racconta di come sia in viaggio da un mese e mezzo - lavora in proprio quindi puo' permetterselo, beata lei! Ciarliamo in parcheggio per un quarto d'ora e, visto che ci siamo incrociati gia' in 2 viewpoint, ci diamo appuntamento al prossimo, verosimilmente! Continuo a essere allibito quando mi capitano cose del genere.. Tornato sulla strada, non per guadagnarmi da vivere, trovo uno spot che eleggo atto al tramonto serale, quindi torno indietro sapendo che vi faro' ritorno qualche ora piu' tardi. E' il momento per me di prendere la Queens Garden Trail e camminare il giro Sunset Pt, Sunrise Pt, Queens Garden, Sunset Pt. Lo danno tra le 2 e le 3 ore di cammino, sono le 4PM, quindi parto con lo zaino in spalla e tanta voglia di iniziare finalmente a camminare in modo dignitoso, dopo le risibili performance di Grand Canyon. Inizialmente cammino con la reflex in mano, assicurata al polso grazie ad un articolato sistema brevettato di bendaggi, e scatto foto a destra e a manca, fermandomi ogni metro. Gli hoodoos sono incredibilmente vari in forme e colori, e sono tentato a scalarne qualcuno fin quando possibile. Purtroppo, la roccia e' molto friabile, e' la stessa fragile composizione delle Badlands del South Dakota che mi vedevano protagonista di epiche corse nella primavera del 2009. Opto quindi per la sicurezza e continuo il tour, che rischia di farsi lungo viste le innumerevoli soste fotografiche. Mi fermo all'ombra delle rocce per fare foto da sotto a verticali pareti rosse che diventano gradualmente piu' chiare, fino a sbucare in un cielo terribilmente blu. E' un contrasto affascinante, che mette quasi soggezione. All'ennesima foto, decido di metter via la reflex e tirare un po' di piu' la camminata, smaltire i mozzarella sticks che ancora si divertono a sguazzare negli acidi del mio stomaco. Cammino solo all'ombra degli alberi e degli hoodoos del fondo del canyon, immerso in una quiete surreale. Nessun rumore, solo i miei passi ed il canto degli uccelli. La quiete e' rovinata solo dal sopraggiungere di qualche altro gruppo di turisti (a quest'ora sono solo io a girare da solo). Un gruppo di settantenni lo do per spacciato, credo passera' la notte quaggiu', col passo che hanno. Spiacente, io avanzo. Mi inoltro verso la parte finale della camminata, una strenua salita verso Sunset Point su una strada rossa e monotona tra due bellissime pareti verticali che conducono alla sommita'. Arrivo in cima con un passo velocissimo, son contento per quest'esordio, sudatissimo e affamato. La camminata e' stata molto gradevole, ed il mio cappello di paglia mi ha protetto dalle ultime calure del giorno. Mi fermo in macchina a sorseggiare dell'acqua e a reintegrare i sali minerali persi con delle barrette. Rimango un po' di tempo da solo, seduto su una panca un po' sporca all'ombra di una radura, a prendere qualche appunto sulla giornata. Le luci iniziano ad affievolirsi, ed e' momento di tornare a Bryce Point. E' sempre un su e giu' in questi viaggi. Il viewpoint e' affollato ma so dove andare. Mi faccio strada fra la gente fino a guadagnare l'estremita' di una roccia sporgente, esposta su una rientranza dell'amphitheather. Davanti a me ho l'intera sua vista, da Sunset fino a Sunrise, e tutto il deserto che si estende a Nord. Attorno a me, nessuno. Sono tutti un paio di centinaia di metri piu' avanti, ammassati tra le ringhiere del Bryce Point. Rimango seduto sulla nuda (e ruvida) roccia per mezzora, ad aspettare che tutto prenda una tinta piu' soffice, piu' chiara, prima di cedere il colore del giorno ai blu scuri della notte. Il vento accarezza la pelle e poi cerca anche di scalfirla, al che si indossa una felpa. Il calore aiuta la mente a focalizzare l'attenzione sulla stupenda visione che si ha di fronte. L'isolamento, anche. Mi sento un monaco buddhista in cerca della concentrazione giusta. L'incantesimo e' rotto solo dalla fame, e dal freddo che inizia a farsi sempre piu' persistente. Decido che ho visto abbastanza, e faccio rientro. Guido mentre il sole tinge di colori mozzafiato le campagne che circondano il parco. Vedo i cavalli che continuano a brucare l'erba anche nell'incipiente calar delle tenebre. Vedo in lontananza catene montuose oscure che sono illuminate da colori violacei e azzurro scuri, che tingono un cielo immenso a cui i miei occhi non sono abituati, un cielo di cui solo nelle grandi praterie d'America e in pochi altri posti al mondo puoi godere. Arrivo al motel stanco ma felice come un bambino, ancora eccitato da tutti i bei posti visti al punto da correre, appena smontato, dietro il motel stesso, lasciandomi dietro le case, i pali della luce, le macchine, e vedendo davanti a me solo campi, erba, cavalli e montagne. E un cielo bellissimo. Vorrei che attimi come questo durassero secoli. Raggiungo un livello di tranquillita', di pace, non indifferente, e col sorriso sulle labbra e dentro me stesso, torno verso la mia camera. Mi faccio strada un paio di volte oltre la porta piuttosto resistente con due carichi di valige (ho trasferito pc e magliette sulla nuova valigia, verde brillante, che ho preso via internet) e finalmente, stracco, mi "adagio" sul letto facendo un triplo carpiato con coefficiente di difficolta' 2.9. Ho una fame da babbuini e uno strato di sporco sulla pelle paragonabile alle incrostazioni di molluschi e alghe che si forma sull'epidermide delle balene. Devo lavarmi. Anzi no, dai, il solito esagerato. Mi sono lavato anche ieri, in realta' ho solo sudato un paio di litri ma non e' si' gran cosa. Provo comunque a lavarmi perche' in viaggio da sempre una bella sensazione e rinfranca, come stare attorno al fuoco. Al momento di aprire l'acqua pero', la bella sorpresa: la doccia funziona quanto un tubo rotto. Cioe', sembra ci sia un tubo rotto come getto d'acqua, quindi e' come lavarsi sotto.. boh, sotto una grondaia dopo una forte pioggia! Non gradendo piu' di tanto la sensazione e non essendomi gia' bagnato, rinuncio alla pulizia e opto per una cagata. Quella non guasta MAI! Mi profumo un po', faccio i soliti mestieri da uomo in vacanza - metto i calzini onti sulle scarpe onte e le appoggio al muro in verticale, come a far prender loro l'aria che in realta' non c'e' essendo ogni spiraglio chiuso, ripiego le magliette usate durante il giorno, metto il beauty in bagno, sistemo i miei effetti sul comodino. Dopo aver assettato cosi' la camera, esco per una meritata cenetta al ristorante del motel, distante venti passi. Mi piace troppo quando i motel hanno un ristorante: non devi far fatica a scegliere il posto e soprattutto, puoi raggiungerli a piedi e in infradito, come sto facendo io stasera! Entro e la classica donna di mezz’eta’, piu’ sulla meta’ vecchia che su quella giovane, mi fa sedere al tavolo. Ordino una gustosa country fried steak con onion rings di contorno (le patate, in qualsiasi salsa, mi hanno gia’ stancato), una small homemade chili bowl, e del pane all’aglio. Quello e’ buonissimo cavolo! Mi gusto la cena in un posticino accogliente, illuminato non troppo di modo da creare una luce che ti avvia piano piano al sonno, e finisco di riportare gli appunti del giorno, dopo essermi studiato la strada da percorrere domani. Andro’ a Zion, poco ma sicuro, ma non so per quale strada. La cameriera dice che Cedar Breaks e’ “gorgeous”, magnifico, e che la strada non e’ molto piu’ lunga di quella normale. A me pero’ la cosa puzza, a spanne e’ parecchio piu’ lunga, e in cuor mio decido che NON passero’ per Cedar Breaks. Torno in camera in infradito e pantaloncini corti, nella notte che si annuncia fresca e ventilata negli altopiani dello Utah centro-meridionale, scaldato solo dalla cena appena consumata. Sono presto sotto le coperte, ansioso di avere un po’ di riposo, ma felice ancora una volta di trovarmi solo a vagare nel West americano.

lunedì 24 ottobre 2011

Thank God I'm a country boy! - pt.1

"Chi dorme non piglia pesci", dice il proverbio. E chi dorme fino alle 7 del mattino? Be', non so se piglia pesci o no, di sicuro so che non prende pesce a colazione! Ci mancherebbe, credo che da Denny's non sappiano neanche cosa sia il pesce! Vi ho rovinato la sorpresa con queste poche righe, ormai avrete capito che anche stamattina la colazione e' da Denny's. Dopo una notte che credevo migliore, piu' riposante, ed una sveglia appunto alle 7, mi reco in tenuta pezzente - canotta e brache rosse Kipsta - dal mio compagno di merende per un'altra, sudicia colazione. Anche stavolta torno sul Vanilla cappuccino, sugli AYCE pancackes, e aggiungo invece come portata principale un toast con cheddar cheese e mozzarella sticks. Dubitavo della bonta' di tal prodotto, ma ho dovuto ricredermi. La caseinita' della creazione, l'alto grado di formaggezza e la morbidezza del toast in se' manda in tilt le mie papille gustative. Non termino i pancackes per la seconda volta, ma mangio tutto il toast e le patate fritte di contorno. Esco per l'ennesima volta con una pancia strabordante, ma con la sensazione di aver provato una vera e propria goduria gustativa! Con la forma di un pesce palla, monto in macchina, caccio in bocca il solito chewingum "Extra" alla menta, e guido poche miglia fino alla Glen Canyon Dam, una massiccia costruzione che ostruisce il fiume Colorado e va a formare quello che e' il Lake Powell ed il piu' grosso bacino che e' chiamato Glen Canyon. Quest'area e' essenzialmente turistica, vistle le molte "marina", i campgrounds, le strutture turistiche e le innumerevoli imbarcazioni che affollano le sponde del bacino. Si sviluppa per 1,2 milioni di acri, ovvero circa 486 mila ettari! La diga che lo forma e' una delle piu' spettacolari d'America, tanto che possiede un proprio centro visitatori (che funge anche da TIC per la Glen Canyon National Recreational Area). Io non ho velleita' conoscitive o esplorative in questo luogo, voglio solo dare un'occhio alla meastosita' della diga, fermarmi un attimo sul ponte che la sovrasta e dire "Peeero'!", e tornarmene alla macchina. Cose semplici insomma. Cosi' faccio. Scortato da un gruppo di bikers europei, tutti vestiti di pelle e borchie, faccio questi due passi e scatto qualche foto. Geniali poi gli ideatori del ponte, a mettere delle grate invalicabili anche per un colibri' alte venti metri, tali per cui l'obiettivo della reflex non passa e le foto vengono inevitabilmente macchiate dalle striature della grata. Meschini. Torno indietro al trotto e, sotto un sole galoppante verso lo zenit, riprendo a guidare verso la meta di oggi, l'ambito nonche' agognato da un anno, Bryce National Park. Saluto il Grand Canyon State, l'Arizona, che non mi ha sicuramente deluso, anzi, mi ha decisamente soddisfatto. Imbocco la via per un altro bellissimo stato americano, lo Utah. Parlando con una persona, a Grand Canyon, si diceva come probabilmente lo Utah sia lo stato piu' bello d'America. Nella sua relativa piccolezza, presenta un'infinita' di parchi e meraviglie naturali. Quelli che nella East Coast sarebbero parchi nazionali da 10+, nello Utah FORSE raggiungono la qualifica di Provincial Parks o State Parks. Basta pensare a Red Canyon, un bellissimo surrogato di Bryce, che ha la sfortuna, pur essendo comunque notevole ma attaccato al gemello piu' famoso, di non avere alcuna qualifica o riconoscimento. E' semplicemente Red Canyon. Che storie, storie da Utah. In questo stato c'e' da sbizzarrirsi: Bryce NP, Zion NP, Capitol Reef NP, Arches NP, Canyonlands NP, la Monument Valley, Glen Canyon, Cedar Breaks, il Great Salt Lake e innumerevoli catene montuose, deserti rossi e immense foreste che si allargano la via verso Teton e Yellowstone, nello Wyoming. Utah, uno stato che pochi conoscono ma che e', alla fine, uno tra i piu' degni di nota. La strada da Kanab in poi si fa molto gradevole, mentre guido in una valle con bassi rilievi collinari su entrambi i lati ed un fiume che si snoda "bendoso" (con molte curve) alla mia destra, affiancato da bassa cespugliaggine. E' un paesaggio idillico, che da noi verrebbe detto di campagna e che in America e' definito country. E' un paesaggio fatto di fattorie piu' o meno vecchie, con granai piu' o meno in disuso, ampi pascoli per mucche e qualche cavallo, e piccoli corsi d'acqua che qua e la formano laghetti che diventano oasi di relax, quando accompagnati da qualche albero frondoso e una romantica panchina di legno. Verrebbe voglia di mollare tutto e venir qua, diventare un fattore e passare un'onesta, tranquilla vita country. Un po' una favola. In lontananza, inizio ad intravedere i rossi rilievi coperti da sempreverdi del Red Canyon. Piu' avanti, mi attende Bryce. Ci arrivo dopo una guida attraverso lunghe distese di pascoli, mucche, cavalli e motel per turisti. Trovo anche un enorme "Museo degli animali", la classica trappola per turisti americana, che vanta una collezione di migliaia di farfalle e gli scheletri di animali dal coyote al bisonte, dal leone al delfino. Mi domando - lo faccio fin troppo spesso - chi sia il demente che a 10 miglia da Bryce investa ore del suo tempo in un museo degli animali. Assurdo. L'entrata del parco e' preceduta da tunnel scavati nella roccia e belle distese di foreste. Ogni tanto compare quache bel posto dove alloggiare. Dopo la foto di rito, anzi, l'autoscatto di rito davanti al cartello del parco nazionale (una delle rare testimonianze del fatto che IO sia in viaggio!) entro e guido ormai impaziente verso il primo viewpoint: Sunrise Point. Parcheggio alla carlona, impaziente di immergermi in questa nuova meraviglia della natura, cammino ai mille all'ora superando vecchi, bambini, giovani coppie e gente a cavallo, e... apnea. Getto lo sguardo oltre il precipizio sottostante la recinzione del viewpoint, giu' a prendere tutti gli Hoodoos, le rosse guglie di fragile terra che terminano in bianchi speroni di roccia, fino a risalire il Bryce Amphitheather e a giungere, dalla parte opposta, a Sunset Point. La vista spazia su tutto questo ben di Dio, non si ferma mai, non vuole fermarsi ma piuttosto spostare lo sguardo su questa o quell'altra roccia, pianta, ombra. L'apnea continua. I miei occhi si posano sugli hoodos appena sotto Sunset Point. Penso a come diavolo abbia fatto la natura a creare cotanta bellezza. Penso a quanto fortunato sono a poter godere di questa vista ispiratrice. Penso a quanto maledettamente bene sono spesi i soldi che spendo in viaggio, per quanto siano troppi, sono dannatamente ben spesi, fino all'ultimo centesimo, e lo realizzo in momenti come questo. Penso a quante gente si ferma qui, ammira quello che sto contemplando io, e si compiace di cio', si emoziona un po', o fa una piccola preghiera a Dio, come faccio io. L'apnea finisce. Momenti magici. Mi giro attorno e vedo che tanta gente fa come me. Si ferma, prende tempo, e poi fa il resto delle cose che fa un turista: apre una mappa, scatta delle foto, indica qui e li. Prima pero', prende del tempo per se', per ammirare lo spettacolo del Bryce Amphitheather. Ora capisco perche' tutti, chiunque lo visita, non puo' fare a meno di consigliarlo agli altri. (Mentre scrivo e guardo una foto del posto su un libro acquistato durante il viaggio, mi vengono i brividi.) Dopo questi attimi quasi mistici, in cui la mia mente si isola dallo spazio e dal tempo in cui si trova per raggiungere qualcosa di superiore, faccio anch'io il turista. Non come i giappi, maledetti loro e spero che nessun giappo conosca l'italiano e legga il mio blog, perche' loro son proprio incomprensibili. Sembra che l'unica cosa che gli interessi sia arrivare sul posto, leggere il cartello che descrive il paesaggio, e scattare almeno "ennemila" foto. Stop. Se quello e' viaggiare, allora io non sono un viaggiatore. Chiamatemi vagabondo piuttosto. Estraggo anch'io la mappa, e decido di fare una camminata, ma piu' tardi, visto che il sole e' ancora alto nel cielo ed il caldo sarebbe decisamente troppo. Opto per guidare tutto il parco verso sud, visto che e' cosi' che esso si snoda, fermandomi ad ogni viewpoint per avere una panoramica generale, poi fare la camminata decisa ed infine fermarmi a godere il tramonto da qualche parte. Parto gasatissimo.

sabato 22 ottobre 2011

Il giorno piu' bello (pt.2)

Cosi' rientro in parcheggio e mi avvio verso il promesso bagno a Lake Powell. Entro e mi avvio verso la marina (marina inteso come luogo ove vi e' la possibilita' di balneare e di ricevere servizi), parcheggio, indosso la tenuta marinara - infradito, costume e fido cappello di paglia - e mi reco sulla battigia. Vengo accolto da una stuoia di fighe (6) che pero' mi accolgono solo in senso geografico, perche' son gia' sdraiate li a prendere il sole, ma non mi spiaccicano una parola. Saranno rimaste ad ammirare basite il fisico possente del sottoscritto! Io mi toglio il pagliaro, e mi tuffo in acqua con estrema soddisfazione. La temperatura non e' ne' fredda ne' calda, sembra di stare nella pipi' che fai d'estate, anche cromaticamente parlando (e la cosa non sembra piacevole) pero' mi godo il momento acquatico senza pensieri. Mi godo la vista delle montagnuole aride che formano un altopiano giusto di fronte a me, sull'altra sponda. Mi godo un po' meno le barche, i barconi e le moto d'acqua che scorrazzano lungo tutto l'immenso lago, che io vedo solo in minima parte. Tornato alle sabbie, mi asciugo al sole come farebbe un cagnaccio e assaporo la tranquillita' del momento. Le fighe non approcciano, peccato. Sembrano tutte studentesse del college uscite a prendere una boccata d'aria e un po' di sole. Perche' diavolo non ho studiato da ste parti io??! Preso dallo sconforto abbandono il territorio, ancora un po' bagnato, mi asciugo in macchina facendo qualche numero e riparto verso il motel, devo farmi una doccia. Mai come durante i viaggi si sente il bisogno di una doccia, no?! Rigenera. E con le energie acquisite, mi dirigo nuovamente a Horseshoe, rifaccio di nuovo la camminata in mezzo alla sabbia cercando di evitare di riempirmene i calzini, e arrivo sul posto. C'e' gia' gente pronta ad immortalare il momento quasi sacro, ma riesco ad accaparrarmi un ottimo spot, in cima ad una roccia sporgente, con un ottimo "loculo" per la bottiglia di Powerade che mi porto appresso. Attendo il tramonto con ansia. Le condizioni visive non son come immaginavo, il sole e' diretto e forse qualche leggera foschia rende l'orizzonte un po' sbiancato. Peccato. Mentre faccio qualche scatto di prova, un tipo mi chiede che ore sono. Rispondo. Poi mi chiede anche da dove sono, e vista la domanda, per rispondere mi giro e gli presto un po' piu' di attenzione. Sembra un ragazzo piu' o meno coetaneo. Quando viene a sapere che sono italiano, replicache siamo "vicini", perche' lui e' tedesco. Interessante, ma non ci do molto peso. Continuo a scattare. Lui invece mi domanda qualcosa sui settaggi, sulla qualita' delle foto, su da quanto tempo fossi li. Un po' malvolentieri iniziamo a parlare, fino a quando spunta fuori cosi', out of the blue - improvvisamente - che lui e' da un bel pezzo che vaga per il Nord America. Io drizzo le orecchie all'istante. Lo prenoto per due chiacchiere subito dopo che il sole fosse tramontato dietro le rosse alture che circondano Page. Mentre faccio qualche altro scatto, non meraviglioso, quasi nemmeno mi accorgo che il sole e' gia' andato. E' volato via, come avesse fretta, o come volesse metter fretta a me. Stupito, mi volto a vedere se il tipo e' ancora li', detro di me, ma non c'e'. Lo cerco nel raggio di qualche decina di metri, ma non lo vedo. Non voglio perdere la chance, quindi mi allargo ancora un po', sto quasi per chiedere notizie di lui a qualche persona li vicino ma finalmente, lo rintraccio. Lo trovo che continua a scattare, perche' anche lui e' rimasto spiazzato dalla rapida discesa del sole. Poi pero', riprendiamo a parlare. Il suo nome e' Andy, ha 25 anni, e gira da 8 mesi per il Nord America con i visti turistici. Mi racconta di qualche posto che ha visto, qualche esperienza che ha fatto, ed io rimango a bocca aperta. Conveniamo insieme su una cosa, che pero' vi diro' alla fine. A dire il vero conveniamo su molte cose, e a forza di convenire vediamo le tenebre avvolgerci. Le luci illuminano Page ed ormai possiamo tornare al parcheggio soli, in mezzo al deserto, unicamente affidandoci al chiaro di luna. La cosa e' fantastica, e' una cosa che non si fa da noi, non in citta' perlomeno. Sa da selvaggio, da vita ancestrale, da sensi piu' primitivi della nostra natura umana. E' definitivamente bello camminare al chiaro di luna, specialmente se con te c'e' una persona con cui, anche se solo a prima vista, ti intendi a meraviglia. Parliamo di viaggi, avventure, fotografia, persone. Rimaniamo li' per un ora e mezza! Alla fine, visto che il Monday Night di NFL che mi ero programmato e' andato a farsi benedire (peccato, ma non troppo!) decido di invitare Andy a seguirmi per farci una bella scorpacciata di barbeque texano. Lui mi segue volentieri. Arriviamo sul posto dove ci accoglie John, un bel pezzo di signore nella sua sessantina (bel pezzo nel senso che e' piuttosto robusto!) con modi gentili e socievoli. Ci offre un assaggio dei suoi prodotti per aiutarci a decidere che piatti ordinare! Io opto per un piatto bbq di pork brisket, pork ribs e texan beans - ovvero punta di petto di maiale al bbq, costolette di maiale al bbq e fagioli alla texana. Ci accomodiamo con i nostri piatti - anche le porzioni sono texane, sempre una spanna in piu' di tutte le altre! - fuori, in un parcheggio delimitato da balle di fieno, come ad essere nel retro di un granaio. Continuiamo a raccontarci un po' di cose. Andy e' una persona molto interessante, credo quasi unicamente per la marea di esperienze che ha vissuto. E' indubbio che viaggiare rende le persone diverse, nuove, piu' ricche. E questo lo vedo di riflesso parlando con lui. C'e' sempre un momento, un ricordo, una conoscenza da tirar fuori durante un discorso, e non si e' mai noiosi. Inoltre, il viaggiare conferisce una profondita' di pensiero non comune. Il vedere altre situazione ed il confrontarsi con altre culture, altre filosofie di vita, arricchisce la nostra persona e ci rende migliori. Quasi commuove, mentre dialoghi con la gente, e pensi a tutto cio', a cosa stai vivendo. Mi godo ogni singola parola di questa chiacchierata, e Andy mi racconta di come lui, un anno fa, aveva un lavoro a tempo indeterminato (oro vero?!) in una solida azienda tedesca. Il lavoro era d'ufficio, e presto il mio amico si era stancato della solita routine quotidiana. Un giorno si alza e dice "Il mondo e' troppo grande e bello perche' io rimanga una vita in quest'ufficio in Germania. Devo vederlo". E parte diretto verso il Canada senza alcuna certezza, senza alcun visto, e senza piu' un lavoro, perche' chiaramente si licenzia e lascia una sicurezza per cui oggi molti giovani farebbero follie. Il racconto e' emozionante. Lui viaggia in autostop, noleggiando auto per qualche tratto, in bici. Lavoro qui e li per qualche giorno o per una stagione, per poi visitare il Canada e l'America con i soldi guadagnati. I lavori non sono quelli che uno sogna da bambino, ma lo scopo e' nobile, un sogno, quindi ogni mattina si alza pensando "Ok, non mi piace, ma lo faccio per realizzare cio' che voglio". E va avanti. E gira. Il Canada est, ovest, l'Alaska, gli Stati Uniti del centro, la costa ovest. E' un viaggio lunghissimo fatto di sacrifici e momenti bellissimi, una persona nuova ogni giorno. Io sono estasiato, vorrei tanto aver qualcosa di simile da raccontare, ma posso solo limitarmi a descrivere ad Andy il Grand Canyon e a consigliargli di andare anche a North Rim. Un po' povero come diario. La serata passa in fretta e le luci del ristorante iniziano a spegnersi (sono solo le 20.45 ma qui la gente non mangia tardi), quindi entriamo con i piatti in mano, manco fossimo camerieri, e riconsegnandoli esprimiamo tutto il nostro apprezzamento a John e alla moglie. Da un rapido saluto la cosa si trasforma, grazie anche alla loquacita' di questo duo italo-tedesco, in una chiacchierata stile "inverno davanti al camino". Veniamo a sapere che la coppia che ci ha sfamato e' originaria di Dallas-Fort Worth, Texas, e sono proprietari anche di un altro ristorante da quelle parti. Spaziamo dal cibo alla politica, argomento che stuzzica domande a raffica da parte sia mia che di Andy. Il Texas si sa, e' la roccaforte repubblicana per eccellenza, e una domanda sull'attuale mr.President non puo' mancare. Obama non ha polso, i democratici invadono troppo la vita dei cittadini, sono troppo socialisti. Questi gli slogan piu' gettonati. Ma questo a parte, le cose che mi toccano di piu' sono due. Una riguarda la guerra. Loro sono cristiani, e ripudiano la violenza, ma approvano la guerra e la caldeggiano perche' da americani si sentono IN DOVERE ad esportare la FREEDOM che c'e' nel loro paese. Perche' le donne islamiche segregate in casa e semischiavizzate potrebbero essere loro, perche' i bambini mandati in guerra a dieci anni potrebbero essere i loro, perche' vedono altri esseri umani come loro che non vivono (o non sembrano vivere) bene quanto loro. Per tutto questo, sono pronti a sacrificare un figlio, un marito, e farlo combattere affinche' altra gente possa godere un'esistenza di pace e FREEDOM. E' un discorso che, per quanto contraddittorio nelle basi e per quanto offuscato dalle nostre piu' o meno vere credenze sulle ragioni economiche delle guerre made in USA, e' toccante. E' emozionante, struggente. Io ammiro la fede incrollabile che ha questa gente. Dategli pure degli idioti, dei creduloni, e forse sotto sotto lo pensero' anch'io, ma prima di tutto, io voglio ammirare la loro fede. Il loro patriottismo, che si esprime e si tiene unito sotto l'idea di FREEDOM, parola che la padrona del locale usa spessissimo, fa venire la pelle d'oca. Pochi paesi al mondo hanno un senso di patria, di nazione, di popolo come gli Stati Uniti. Le grida "USA!, USA!", le bandiere, le feste celebrative, uniche al mondo. Io quando sono in giro per questo paese, sento questa cosa, e' palpabile. Ne sono profondamente colpito. Anche John parla, ed insieme ci dicono come qui, in America, la liberta' esiste davvero ed ognuno e' libero di venire, crearsi una vita e viverla appieno. Tutti possono ancora sperare nel "sogno americano". Esso c'e' ancora, non e' un'utopia relegata agli anni trenta o sessanta. Il sogno americano esiste, e lo facciamo noi con le nostre stesse mani, col duro lavoro di ogni giorno - perche' qui, amici miei, la gente si fa DAVVERO il culo. Lavora tanto, tanto, e viene pagata di meno. In America, anche se il sogno puo' vivere ancora, non c'e' piu' l'El Dorado che tutti vedevano. L'America e' un paese in crisi come gli altri, e se non vai li non ci credi, non realizzi che li la gente sta peggio di te. Noi qui stiamo meglio, credetemi. Siamo sempre pronti a piangerci addosso, ed e' questo che ci rovina. Se loro sapranno uscire da questo brutto momento, sara' solo grazie alla loro etica pubblica e al loro modo di fare le cose - quello americano, pratico, magari sbrigativo, ma attuato col duro lavoro di tutti, nessuno escluso. Dovremmo imparare anche noi, qui in Italia, a farci un po' piu' il culo, tutti quanti, a fare meno i furbi, tutti quanti, perche' solo con il sudore e l'impegno, e non con la furbizia e la voglia di metterlo nel culo alla gente, che si vive serenamente. Durante il dialogo emergono mille idee, mille considerazioni, ed anche se stanco il cervello elabora pensieri a non finire. E' quantomai stimolante, non fosse che oramai il ristorante deve chiudere davvero. E' passata piu' di un ora e sono le 22. Salutiamo calorosamente i proprietari, che ci invitano a tenerci in contatto ed a recensirli bene su qualche guida turistica, cosa che sicuramente faro'. Credo che il calore e la simpatia dei gestori siano tra le caratteristiche piu' importanti per una buona mangiatoia, e qui di sicuro non sono mancate! Decidiamo con Andy di chiudere la serata ad un Mac Donald, per uno shake e un po' di wi-fi gratuito ovviamente. Avendo io offerto la cena a lui - cosa che non facevo per una persona da un anno credo - per ringraziarmi mi offre lo shake. Ci godiamo la bonta' fresca e vanigliosa seduti su un paio di divanetti, nel semideserto Mac che vede, oltre a noi, solo una famiglia di neri con due bambini piccoli particolarmente vivaci. Ci immergiamo nei nostri racconti con il supporto visivo di qualche foto tratta da internet. La serata e' ormai al top, con noi due, stanchi ma felici, che parliamo come due amici di vecchia data che non si vedono da tempo. Ma siamo anche stanchi e cosi', decidiamo di salutarci. Do la mia mail ad Andy e lui mi chiede subito l'amicizia in Facebook. Mi dice che ora e' diretto a sud, verso San Diego, che raggiungera' dopo aver visitato Grand Canyon e da dove poi partira' per un altro lungo giro prima alle Hawaii e poi in Nuova Zelanda. Lo invidio un sacco. E lui mi dice, per salutarmi: " Se davvero vuoi fare una cosa del genere, se davvero senti che vuoi esplorare il mondo, e che questo e' il tuo desiderio, fallo. Non farti intimorire da nulla, fallo e basta. E' una scelta di cui non solo non ti pentirai mai, ma anzi per cui ringrazierai ogni momento dei tuoi giorni". Lo saluto con tanta felicita' nel cuore. Tornato al motel, vado a letto ringraziando Dio perche', fortunatamente, ogni tanto persone cosi' incrociano la strada della nostra vita. Ed ora vi dico anche perche'. Vi dico le cose su cui siamo convenuti in parcheggio, ad Horseshoe. We live once, dicevamo, calchiamo il suolo di questo mondo una sola volta. Non abbiamo a disposizione millenni, svariate esistenze per fare tutto cio' che ci passa per la testa e sperimentare tutto. Dobbiamo per forza andare li, dove ci porta il cuore, dove sappiamo di voler arrivare. Non possiamo scendere a compromessi, non dobbiamo farlo, e non possiamo dire "lo faro' un'altra volta". Non possiamo interrompere il nostro volare, non possiamo fermarci a meta' del cammino, o peggio ancora, non possiamo rinunciare al voler camminare. La gente pero', troppo spesso, si accontenta. Si ferma. Non parte. Perche'? Sono onesto: perche' ha paura. Ha una fottuta paura di perdere quello che ha gia'. Si, lo dico e lo sottoscrivo, perche' ci sto e ci sono passato anch'io. Cresciamo coccolati, la maggior parte di noi, abbiamo tante cose e tanti affetti e non appena la vita ci mette di fronte ad una scelta, ad un bivio, non sia mai che prendiamo la strada piu' difficile. Che per carita', potrebbe essere la piu' scenica, spettacolare e suggestiva del creato, ma e' tutta in salita, una di quelle che ammazza. Noi non la facciamo. Abbiamo paura di perderci qualcosa, o anche tutto, non possiamo saperlo. La gente scende a compromessi. La gente finisce per accontentarsi. Sono pochi quelli che oggi accettano grandi sfide, sono pochi quelli che mettono da parte gli stereotipi della vita odierna e fanno scelte rischiose. Sono pochi, ma sono gli eroi di oggi secondo me. Io vedo troppa gente che pur di non allontanarsi dagli amici non parte e si fa un bel viaggio con se stesso. Vedo troppa gente che per guadagnare 200 euro in piu' fa una vita del cazzo. Vedo troppa gente che per non farsi il culo un po' di piu', studiare un po' di piu', butta il suo futuro nel cesso. Non sto generalizzando, ma vedo tanti esempi del genere, e mi viene il nervoso. Se c'e' una cosa che ho imparato da Andy, e sono piu' di una, e' che non dobbiamo farci frenare dalle nostre paure, dai nostri preconcetti, dalle nostre sicurezza acquisite, perche' vivendo una volta sola, dobbiamo sempre essere pronti a rischiare, a metterci in gioco. Una persona che vive la sua vita nella sua citta', con il suo lavoro sempre e comunque quello, con sua morosa con cui si sposera' ed avra' un figlio che crescera', quello e' un cazzo di perdente secondo me. Scusate. Ma quello, e' una persona che tutti riusciamo a diventare. E' una vita normale che per carita', a lui puo' piacere ma diamine, un po' di brio, un po' di spirito! E' uno che non mette in gioco tutto. E' uno che non rischia. Ah, sapete cosa rischia invece? Di arrivare a 80 anni e pentirsi di non aver azzardato un po'. Scopre che ha passato la sua esistenza mediocremente. Discorsoni del cazzo questi.. si, forse, perche' alla fine e' vero anche che ognuno la vede a modo suo, in base ai suoi interessi. La mia era solo una veemenza dettata dalla mia passione forse, e forse molti non concorderanno con me. Il mio grido sara' accolto solo da coloro i quali non si accontentano della routine quotidiana, degli amici al pub, del sabato pomeriggio in centro, del venerdi' sera a calcetto. C'e' sempre qualcuno che prima o poi cerca qualcosa di nuovo, di emozionante. Io sono tra quelli. Non voglio diventare un selvaggio pellegrino nel mondo e voglio anzi, un giorno, crescere un figlio con una moglie affianco. Ma piu' avanti. Il mondo, cazzo se ha ragione Andy, e' grande e non voglio passare una vita su di esso senza nemmeno sapere quanti territori ha l'Australia e quanto freddo fa in Alaska. Voglio girare il mondo, voglio conoscere tante persone e culture diverse, voglio diventare "uomo" a modo mio. Una scelta che comporta rischi.. si, certo, ma son pronto a correrli. Non voglio arrivare a 80 anni a rimpiangere una vita mediocre. Ricordero' sempre un giorno, quand'ero piccolo, in cui, sotto Natale, andai con mio padre a scegliere un giocattolo come regalo. Ero indeciso tra un camper super figo dei trasfomers, che mi piaceva veramente tanto, ed un piccolo nascondiglio di Mighty Max, che adocchiavo solo perche' tutti gli amici ne avevano uno. Scelsi il secondo, a malincuore, convinto dalla moda del momento. Ma rimpiansi per tanto, tanto tempo quel camper enorme che desideravo. Ho vissuto con quel rimpianto per mesi. Tanto che ricordo ancora benissimo quei momenti. Ecco, non voglio avere ad 80 anni rimpianti ben piu' grandi. Non voglio fare un tour con i vecchiotti di Cadoneghe con meta Venezia per passare un giorno diverso. Non voglio fare un tour "della vecchiaia" che, come meta esotica, sceglie Vienna. Senza aver visitato il resto del mondo. No, non io. Fanculo i soldi, i vestiti, le macchine. Tanto a cosa servono?! Tanto scusa, dimmi a cosa servono i soldi!! Io credo servano a farci passare una vita un po' piu' dignitosa e confortevole, no?! Un po' piu' felice. Ok. Con i soldi ricevi beni e servizi. E che i beni e servizi che ti fanno star bene siano una macchina, dei vestiti firmati, una serata al cinema o una notte di campeggio a Grand Canyon.. be', that's up to you, sta a te! Io sono contento viaggiando, con uno shake in mano, al riparo dal sole! Mi godo ogni centesimo speso. E poco importa se, una volta tornato che so, da un viaggio come quello di Andy, non trovero' un lavoro remunerativo come quello attuale. I soldi non sono TUTTA la felicita'. Credo che dopo un'avventura cosi', la felicita' sia una compagna di viaggio. La ricchezza d'animo, una prerogativa. La serenita' dell'anima, una sicurezza. Con i soldi queste cose non si comprano, mi spiace. Andy mi ha ispirato molto con la sua esperienza. Mi ha detto un'altra cosa, mentre parlavamo, una cosa che in quei momenti e' passata un po' cosi', veloce, senza attenzione, e che gli era stata riferita da un indiano Navajo. La saggezza dei Nativi. Diceva: "Se vuoi veramente incontrare te stesso, devi andare nel deserto. E' l'unico posto dove non hai nulla dietro cui nasconderti".

giovedì 20 ottobre 2011

Il giorno piu' bello (pt.1)

A volte capita che un giorno iniziato male finisca per essere quello di cui ci ricorderemo piu' a lungo. E' quello che mi capita oggi, lunedi' 26 settembre, giorno che inizio imprecando contro il terreno e la mia scelta di non comprare un materassino e che finisco in compagnia di un nuovo, grande amico con cui passo una stupenda serata. Avete presente l'arcobaleno dopo un temporale? Ecco, una cosa del genere. Mi alzo in piedi alle 5.20 stanco di dormire su una lastra piana, dura e per giunta (mi sembra) in leggerissima pendenza, cosa che mi da anche la sensazione di avere il sangue in continuo afflusso verso il cervello. Bah, staro' delirando. Mentre inveisco contro ignoti, o come si fa di solito, contro le divinita' in cui non si crede - i soliti Buddha cane, Allah ladro, porco Ganesh - smonto la tenda e penso SERIAMENTE di non passare una singola ulteriore notte in campeggio. Penso anche che la prossima volta spendero' sti 10$ e comprero' anche una stuoia che mi garantira' un po' di morbidezza in piu'. Per il momento comunque, di campeggiare anche a Zion non se ne parla, con le ossa malandate e le notti passate a rigirarsi al freddo, ho chiuso. In 15 minuti nell'oscurita' smonto la tenda - ormai sono un navigato campeggiatore, dovete sapere - e corro ad assistere all'ultima alba a Grand Canyon, a Birght Angel Point. In realta' stavolta non mi lascia cosi' meravigliato, forse perche' avvezzo alle prodezza dei giorni scorsi o forse perche' la luce non era un granche', dal punto in cui sorgeva. Fattosta' che il vento e la scarsa qualita' delle foto scattate mi spingono ad abbandonare presto il luogo, ringraziando il posto per i magici giorni offerti e dando un caloroso ARRIVEDERCI a Grand Canyon. Mi tornano in mente le parole di una coppia di giovani americani incontrati nel parco di Killarney, durante il mio viaggio in Irlanda. Parlammo di questo viaggio, di cos'avrei visto. E proposito di questo posto mi dissero "Grand Canyon, you'll never forget about it", non te lo dimenticherai mai. Credo proprio sara' cosi', ragazzi. Fiero di esser stato in uno dei posti piu' belli del nostro pianeta, varco le porte d'uscita del parco nazionale, diretto come ultima meta a Page, cittadina del desertico nord dell'Arizona. Uscendo dalla valle vedo un altro coyote, che tento anche di fotografare facendo pero' scappare il timoroso canide non appenna fermo la macchina al lato della strada. E' il terzo coyote in 4 giorni, ho un buon occhio per tal bestia! Qualche goccia di pioggia bagna il mio cristallo mentre torno verso il deserto ma cio' non mi preoccupa, e la musica mi accompagna fino indietro alle Vermillion Cliffs. Mi fermo un attimo lungo una strada che attraversa, sembra senza fine, la steppa semiarida che circonda le Cliffs, in un Historical Marker che ricorda la spedizione di tali Dominguez e Escalante del 1776. Il posto e', manco a dirlo, deserto anche dal punto di vista umano, il cielo e' azzurro e costellato da svariate innocenti nuvolette bianche, ed il sole inizia a scaldare il mio corpo, che libero da diversi strati di felpe e maglie lunghe. Dopo le classiche foto di rito - ci sono dei fiorellini che fanno da bella cornice sullo sfondo delle Vermillion Cliffs - rimango in pantaloncini corti e canottiera a gustarmi una banana seduto sul bagagliaio aperto della mia macchina. Non so perche', forse per il clima piacevole, l'assenza di gente, il mio umore, e' un momento appagante. Da l'idea di vacanza, di non aver preoccupazioni, fretta, timori. Semplicemente, mi scaldo al sole in un posto che pochi frequentano, sorseggio un po' d'acqua e riempio lo stomaco. Soddisfare le basilari necessita' umane a volte significa puro piacere, e per me adesso e' cosi'. Ho il morale al massimo quando mi faccio la prima foto del viaggio, un autoscatto per celebrare non tanto il posto o per testimoniare la mia presenza li', quanto il ricordo di quegli attimi felici e spensierati. Unica cosa: lascio la cartina geografica sopra il tettuccio e quanto riparto, sento un tonfo cartaceo dietro di me, fermo la macchina e corro a riprendere la carta che stava venendo trascinata via dalla brezza. Ops, cose che capitano! Riprendo la mia marcia e passo di nuovo per i centri di Cliffs Dwellers e Marble Canyon, di cui gia' ieri immaginavo la noiosita' ma anche la bellezza di una vita trascorsa tutto l'anno in loco, passo il Colorado, e riprendo la strada. Faccio una foto al deserto di un color ocra intenso, a tratti tendente all'arancione, macchiato di qualche bianca casetta di qualche deviato essere umano. I Navajo intanto assiepano le curve della strada con le loro bancarelle per turisti. E' lunedi', e sono quasi le nove. Nei pressi di Page sorge possente un'ansa del Colorado che viene chiamata, per la sua esplicita conformazione a ferro di cavallo, Horseshoe Bend (non che sia l'unica eh, anche lo scorso anno a Canyonlands mi capito' di vedere piu' di una Horseshoe bend ed una chiamata anche con tal nome). Questa pero' e' particolarmente scenica, soprattutto all'alba, ed offre dei colori stupendi che uniti alla vista veramente ampia - la si osserva dal ciglio del canyon - rendono il posto molto appetibile da fotografi e semplici turisti. La si raggiunge da un parcheggio che devia per poche centinaia di metri dalla strada che entra a Page. In 10 minuti di camminata veloce in mezzo ad un sentiero sabbioso sono sul posto. In effetti, ti lascia colpito. E' la grandezza in se' che colpisce, anche se non si percepiscono le dimensioni reali. Si deve solo fare affidamento su altri segni noti, tipo un barcone che viaggia sul fondo del fiume. Un puntino minuscolo trascinato dalla corrente. La cosa impressiona, come il colore delle pareti piegate e formate dall'erosione del possente Colorado e dal vento anche. Nonostante la bellezza del posto, non posso perderci ore, perche' la giornata e' appena iniziata e le cose da fare sono veramente tante. Sto scoprendo l'utilita' di avere un orologio al polso. Di piu', sto scoprendo quanto (per ora) riesca a stare nei tempi prefissati. Un voto piu' a Manu per la logistica. Inoltrandomi in citta', che non e' molto grande di per se', se escludiamo la periferia e i sobborghi, scopro dell'esistenza di un Denny's ed invariabilmente mi dirigo li' per espletare la colazione. Sono le 10.50 del mattino, e piu' che colazione questo e' un brunch, ma dalle 5 e 20 nel mio stomaco e' entrata solo una banana, quindi muoio dalla voglia di mettere qualcosa sotto i denti. In America funziona che ovunque tu vada a mangiare tu ti fermi all'entrata e aspetti che un cameriere ti accolga col sorriso, ti chieda in quanti siete e ti faccia accomodare al tavolo. Infatti, all'entrata del 99% dei posti dove si mangia troverete sempre un cartello che recita "Wait here to be seated". That's how it works. Vengo accomodato in un tavolino al margine della sala e posso sfogare le mie bizzarrie alimentari. Oggi son deciso a prendere la COLAZIONE DEL VIAGGIO, e col senno di poi forse ci siamo, quindi ordino: degli strawberry pancackes puppies with cream cheese (solo 2$ x 5 frittelliniiii!!!), e un sandwich (toast) con hamburger (la carne tipo svizzera intendo), Mac&Cheese, melted cheddar & Frisco sauce, con contorno di patate fritte e da bere un paio di mix di beveroni semi-frizzanti ai frutti (che mi hanno deluso, non li prendero' piu'!). Arrivato tutto questo ben di Dio sul tavolo, ho le bave alla bocca. Dubbioso sulla bonta' del Mac&Cheese - che sono fusilli al formaggio fuso che loro consumano ampiamente ma chiamano Mac, Maccheroni in pratica - azzanno il toast che si rivela bombastico. La formaggiosita' totale e' pari a mille ed il gusto e' indescrivibile. Il tutto si scioglie in bocca e regala un raro piacere. Non parliamo poi dei puppies: sono delle specie di frittelle con leggero gusto di fragola, che pero' diventano insuperabili con la crema al formaggio sopra. Veramente, puro godimento. Mi sembra di essere Homer Simpson che balla al ritmo di quella musichetta stupida nel paese del cioccolato, mangiucchiando pali della luce e inermi cagnolini. Divino. Faccio una colazione/pranzo fenomenale per 10$ in cibo e 2.29$ in bevande. Ditemi dove trovare un posto cosi' in Italia. Risposta: NON ESISTE CAZZO! Esco dal locale grato al fondatore di Denny's e satollo di cibo. Mi sento un pellicano col becco pieno di pesci. Ah, il Mac&Cheese non e' affatto male!! Ripieno di bonta' casearia mi avvio verso un sacco di commissioni. Faccio tappa all'ufficio postale come un normale cittadino americano. Devo ritirare l'unica maglietta che ESPN.com non e' riuscita a recapitarmi al motel6. Entro, e subito mi spavento per una coda di 8-9 persone, piu' altre 2-3 che stanno compilando moduli davanti di me. L'ufficio postale ha 2 cassieri, un sacco di cassette postali date in affitto alla clientela e che sembrano montate da 2 giorni (nuovissime) e infine, un bancone al centro della stanza principale con ogni modulo di cui il cittadino possa aver bisogno, penne e spiegazioni su come compilare i moduli. In questo modo, ogni persona, anche il piu' invornito, puo' essere autonomo e non rompe i sacrosanti coglioni ai cassieri, creando le code chilometriche che si formano in Italia. No, non qui. La coda che mi aveva spaventato si dissolve in.. in.. non riesco a dirlo, abituato all'Italia.. in 2 minuti d'orologio!! La gente qui viene, lascia una busta, ritira un pacco, spedisce una scatola, fa dei pagamenti, tutto in un minuto-due al massimo! E' UN-B-LIVABLE! (come amano dire qui, unbelievable) Arriva il mio turno e senza alcuna complicazione, alcun patema, ma con un semplice ID ricevo il mio pacco e tanti sorrisi dal cassiere. Che nobilta'. Che celerita'. Fanculo a Poste Italiane e al mio paese che in casi come questo e' l'ultimo posto dove vorrei fosse situato l'aeroporto del volo di ritorno. Ah, shit. Contento per il poco tempo impiegato e scontento pensando a quando la prossima volta rimpiangero' questi momenti in un ufficio postale italiano, risalgo in macchina e decido di prenotare la mia visita per Antelope Canyon, in un business gestito da indiani Navajo. La fissano per l' 1.30 PM. Nel frattempo decido di far su anche le magliette NFL arrivate al motel e con questo ogni ordine fatto ha trovato puntuale riscontro. Amo questo sistema: compri on-line, carta di credito o al massimo PayPal, e la roba ti arriva dritta dove dici, in giro per l'America intera, in pochi giorni. Fantastic. Decido poi di perdere un po' di tempo al Wal-Mart. E' un posto dove hai big chances per farlo. Nel senso che ogni Wal-Mart e' immenso. Quando ci metto piede, mi viene in mente quella puntata dei Simpson in cui la famiglia va al Mostro-Mart. E alla fine e' cosi', i supermercati USA sono immensi come immensa e' la quantita' e la varieta' di prodotti che vi ci puoi trovare. Non solo cibo ovviamente, anzi, ben altro. Pulizia personale, arredamento casa, abbigliamento, accessori ufficio, elettronica, sport, hobbistica di ogni tipo. E' un "cercaquelchetiservetantodaqualchepartecideveessere" che non delude nessuno (Ah, teorema di Manu punto 7 comma 32: ogni cosa mostrata dai Simpson sull'America e' vera in qualche percentuale, spesso superiore all'80%). Inizio quindi a peregrinare per gli infiniti corridoi del Mart per prendere essenzialmente due cose: un lucchetto per chiudere in qualche modo la mia nuova valigia, che oltre ad una zip non ha assolutamente nulla, ed una carriola di chewingum alla menta della marca Winterfresh, odorosi e profumati che anche un raffreddato che ha appena impestato la camera di scorregge li sentirebbe. Son buonissimi! Era da un anno che li aspettavo! Mi munisco dei sopra elencati oggetti e poi la mia attenzione cade sugli oggetti piu' strani trovati all'interno del Mart. Ricordo un intero reparto dedicato ai fucili da caccia. Ma la cosa che ho segnato sul diario sono.. si, i pesci per l'acquario! Ci sono almeno una dozzina di acquari con pesci tropicali e non, di cui la clientela puo' servirsi e pagare tranquillamente alla cassa. Incredibile, I love this country. E colto dallo spirito patriottico che Wal-Mart mi ispira, compro una nuova bandiera americana 2 metri x 1. Ah, e anche un paio di quei "braccialetti" elastici che i giocatori di football portano alle braccia. Ho scoperto cosa sono: fermano il sudore ascellare al punto dove vengono posti! Geniale haha! Siccome costano 2$ e sono della Riddell, ne metto un paio in lista. Vago stupito per altri 5 minuti e poi esco a pagare. La commessa ride alla mia spiegazione del perche' acquisto cosi' tanti chewingum, e mi augura una buona giornata. Dovrebbe esserlo, perche' ho in programma Antelope Canyon, un bagno a Lake Powell, una doccia da paura e il tramonto ad Horseshoe Bend. Sono gia' sveglio da un bel pezzo eppure ho ancora una marea di cose da fare. E' questa una delle cose che piu' mi intrigano dei miei viaggi. Giorni full, no rest, sempre in movimento. Vivere la vita ad ogni secondo. Qualche secondo dopo sono in macchina ed assisto ad una prodezza. Vedo un camion che trasporta cosa..? UNA NAVE CAZZUTA! Non una bagnarola da pescare a Sottomarina, ma un traghetto del tipo Costa Crociere! In strada!! Una cosa da film, sara' perche' da padovano poco abituato all'ambiente salmastro non ho mai assistito a cose del genere, o semplicemente, sara' che la cosa e' abbastanza improbabile. Fattosta' che guardo la scena con ammirazione. Minuti dopo sono in parcheggio di fronte al business dei Navajo e monto a bordo del loro mezzo, una specie di macchina/furgone semiscoperto sul retro dove i passeggeri possono star seduti come in autobus, ma su sedili attaccati schiena contro schiena, al centro del mezzo. Le ruote sono enormi per poter guadare i mari di sabbia presenti sulla strada per il canyon. Pensavo io, di esser relativamente vicino. In realta', bisogna affrontare un viaggio di 20 minuti in cui per 10 di essi si mangia sabbia e si viene accecati dalla polvere. Non e' particolarmente gradevole, anche perche' son preoccupato per la salute della mia reflex, tra sbalzi del mezzo e sabbia infiltrata nell'obiettivo. L'unica cosa che mi fa un po' ammazzare il tempo e' la conoscenza di una coppia di olandesi di Utrecht, con cui parliamo di varie cose e che mi consigliano di visitare Amsterdam e anche la loro citta'. Grazie del consiglio ragazzi, ma per ora ho decisamente altri obiettivi! Arrivati ad Antelope Canyon, iniziamo il tour. Vedo che il posto non e' cosi' deserto come le foto fanno pensare. Ci sono gruppi di tour guidati che escono in continuazione. L'interno del canyon e' piu' affollato di un negozio di H&M. Fare una foto (io poi, senza cavalletto, un'impresa) diventa una questione d'equilibrio e di tempismo. Cos'e' pero' il posto che sto visitando? Ebbene, e' un canyon secco, sabbioso sul fondo, profondo una trentina di metri in media, che viene periodicamente allagato da piene dovute a precipitazioni a monte del canyon stesso. Esso si trova circa 5 miglia ad ovest di Page, AZ, e per raggiungerlo bisogna montare sui mezzi speciali che prima vi ho descritto, perche' la strada si snoda attraverso lunghi deserti sabbiosi che non lascerebbero scampo ad una normale automobile. Come in South Dakota d'inverno durante un blizzard, saresti fottuto. Il canyon e' famoso per l'atmosfera irreale creata dal gioco di luci ed ombre che si realizza quando il sole manda i suoi raggi piu' perpendicolari verso il fondo. Innumerevoli fotografie sono reperibili in internet, e si vedono sfumature rosse, arancioni, nere che tingono le affusolate pareti del canyon, ed i raggi del sole che penetrano con una consistenza quasi palpabile fino a raggiungere la sabbia sottostante. Un posto che dici "Devo andare a vedere!". Ci vado, ci sono, ma non mi sembra cosi' magico come le foto fanno sembrare. La folla, in primis. I colori, poi. Sara' che, ci raccontano, per fare le foto migliori necessiti della luce ideale, di assenza di gente, di un cavalletto (che ho a casa!) e di qualche trucco. Tipo, gettare una manciata di sabbia in aria prima di scattare, di modo da evidenziare il raggio di sole e creare l'effetto "consistenza". Ingegnoso, ma furfantesco. Io non voglio falsare cosi' la realta'. E qui come in altri casi, e' vero che la fotografia non sempre rispecchia quel che veramente stiamo vedendo. Quando non e' cosi', forse e' anche un male. Forse. Passati i tormenti artistici, che liquido dicendo a me stesso di fare il possibile ed accontentarmi, continuo la visita. La nostra simpatica guida indiana spiega ogni roccia, ogni sporgenza, con nomi di cose o persone. Questa roccia sarebbe il naso di Roosevelt, quell'altra un cavallo imbizzarrito, quell'altra ancora la faccia di un capo indiano. Molte sono verosimili, altre mi sembrano tirate fuori dalla fantasia di qualche bontempone. I turisti dovranno pur essere intrattenuti in qualche modo! E la nostra guida lo fa bene! Dice sempre, ogni cazzo di minuto, la frase "Take a picture" che pronuncia con un inglese piuttosto divertente che la fa suonare come "Teica picciur" o qualcosa del genere! Fa morire dal ridere! Chiede a tutti la macchina fotografica, a turno, e scatta una foto per loro, di modo da far individuare la roccia o la sfumatura di cui parla. La cosa tocca anche a me, ma quando vedo le mani sudicie avvicinarsi alla mia reflex, declino gentilmente l'offerta dicendo che avevo gia' fotografato discretamente il soggetto. Meschino, ma giustificabile. Finito il giro, avanti e indietro, per l'ora pagata, rientro nel mezzo. Penso ad una cosa: le foto illusorie viste in internet sono sbagliate. Illudono appunto la gente che le guarda e si aspetta di vedere quello. Ma non e' cosi'. E puo' capitare che il pezzente che non se la cava cosi' tanto bene con la fotografia, rimanga deluso da cio' che ha visto e fotografato. Un meno a chi illude la gente cosi', fotografi fantasia.

martedì 18 ottobre 2011

Gli indiani avevano le ossa ammaccate!

Io non so come minchia facessero gli indiani a dormire sui tee-pee (le loro tende). O si mettevano quintali di paglia sotto, o dormivano sopra erba alta un metro, oppure giungo alla conclusione che ogni fottuta mattina si alzassero con il corpo devastato dalle ammaccature per i sassi e le pigne sopra cui avevano dormito! C'e' poco da fare. Ed io sono un pirla, perche' dopo la prima notte passata tra un sasso ed una pigna, non ho provveduto a liberarmi di essi e ho passato anche la seconda notte tra una pigna ed un sasso, con in piu' un vento assurdo che soffiava ruggente tra gli alberi. Inutile dire che il riposo non e' stato granche', e mi sveglio alle 5 del mattino con la sensazione di essermi infilato nel sacco a pelo 10 minuti fa'. Non una gran cosa sinceramente. Mi faccio coraggio, faccio un po' di flessioni per riprendere del calore corporeo, e dopo aver indossato qualche altro strato di vestiti esco allo scoperto. Ovviamente e' buio pesto, il cielo brilla solo della luce delle stelle ed io mi muovo solamente con la mia ormai fidatissima pila da campeggio. Oh fa una luce pazzesca! E la comodita' enorme e' che ti lascia la mano libera, grandioso! Un piu' alla pila. Devo smontare la vecchia Wenzy, la tenda. Al buio. Per la prima volta. Vabbe' no ghe vorra' un genio. Inizio a trabattare cercando di fare il minor rumore possibile, perche' il 95% del campeggio sta ancora nel mondo dei sogni (sassosi e pignosi, per chi non e' nel comfort di un maledetto camper o RV, come li chiamano qui, Recreational Vehicles). Stacco i paletti, smonto la baracca e incredibilmente riesco anche a piegarla di modo che stia come deve stare nella sua custodia. Sapete, io e il piegare in genere non parliamo la stessa lingua. Che sia un vestito, una bandiera, un sacco a pelo o una tenda, il risultato e' sempre una merda. Stranamente stavolta mi gira bene, e la vedo come una grande conquista personale. Carico tutto nella mia CuboCar e mi avvio, al buio, verso l'uscita Est. Mentre guido la palla infuocata guadagna la via dell'orizzonte e io scelgo di vederne la comparsa a Grandview Point, sulla strada verso l'uscita dal parco. Arrivo prima che il sole faccia capolino sulle creste del canyon e vedo le pareti tinte di infinite tonalita' di viola illuminarsi piano piano e fare da cornice allo scorrere silenzioso del fiume Colorado. Da est, un bagliore giallo aggiunge altri colori al paesaggio gia' meraviglioso. Come dicevo, ogni giorno, da ogni posto, lo spettacolo e' unico e ne ho una riconferma. Sono emozioni quando finalmente il sole si espone allo sguardo dell'uomo. Mi viene in mente in quegli istanti quel detto "Vivi ogni momento come se fosse l'ultimo", e assaporo fino in fondo quello scenario da favola a cui mi trovo di fronte. Poi, mi sveglio, e vedo che e' tempo di muoversi. La strada di oggi prevede uno spostamento di quasi 500 km, da South Rim a North Rim, che vorrei visitare in un giorno circa. Bisogna mettersi sulla strada presto perche' occorrono circa 6 ore di macchina. Passo tutta la Desert View Rd che avevo guidato ieri, e mi inoltro nel deserto che circonda Grand Canyon. Al mattino sembra un posto quasi idilliaco, con dune macchiate di cespugli verde acceso, cielo con nuvole "a pecorelle" - come si diceva da piccoli - e il sole che ancora non ti ammazza con i suoi raggi. Si guida piacevolmente. Noto il ripetersi ad ogni curva di piccole baracche di legno, con una o due sedie sgangherate, un tavolo e pochi altri ornamenti, con insegne rivolte alla strada del tipo "Navajo Crafts", "Native Art", "Navajo Pottery & Jerks". Oggi e' domenica, ed e' mattina presto (e poi si sa, gli indiani non tendoni ad essere ne' puntuali ne' tanto mattutini) dunque non c'e' nessuno per ora ai banchetti, ma si capisce che abitualmente i nativi passano le giornate al margine delle strade a vendere artigianato locale di piu' o meno buona qualita' oltre a paccottiglia per turisti. La prima cosa che mi viene in mente e' "Che due coglioni, cuocersi al caldo per far su 10-20 dollari al giorno". La seconda cosa che mi viene in mente e' che magari alcuni sono in disuso, magari solo un membro della famiglia lo gestisce, magari e' solo per arrotondare nei weekend. Ad ogni modo, la cosa mi incuriosisce, ed in fondo in fondo, mi impietosisce. Un popolo che fino a 200 anni fa era fiero e glorioso, con le sue tradizioni e la sua propria esistenza, adesso e' costretto a vivere nei buchi piu' caldi e afosi del deserto e vendere robaccia ai turisti contenti di aver finalmente visto "l'indiano". Se ci pensate, e' una cosa veramente triste. Ci fa tristezza un cane ammalato, a noi occidentali. Non ci accorgiamo dei drammi della razza umana, pazzesco. Il deserto invece, piano piano, regala meraviglie. I colori del dopo-alba sono veramente belli, sono tenui, sfumati, ma carichi. E' un piacere guidare con il fido ipod, ascoltando musica country che strimpella banjo e chitarra e narra gli usi della gente di campagna. Arrivato al primo benzinaio, nei pressi di Cameron (AZ), mi rifornisco e guardo davanti ai miei occhi. Si stende un villaggio di boh, un centinaio di abitazioni, che non so perche' esista. Non e' un posto turistico, perche' dista un ora di macchina da GCanyon South e almeno 3 da GCanyon North. Non c'e' nulla di particolare. Non ci sono attivita' lavorative. Mi domando perche' la gente abbia deciso di assembrarsi li'. Non so spiegarmi perche' questa gente viva in trailer homes e prefabbricati, con la porta aperta, 5 macchine scassate, il solito cagnaccio che vaga di fronte alla porta, e le sedie di plastica da siesta pomeridiana. Non so darmi una risposta per tutto cio'. Il dubbio mi avrebbe seguito da Cameron fino alle Vermillion Cliffs, primo stop lungo la strada di un certo livello d'interesse, ma intanto devo narrarvi di un posto che mi ha colpito favorevolmente. A Cameron, posto sperduto nel deserto, trovo un motel che mi delizia. E' il Cameron Trading Post, gestito da Navajo, che incorpora un motel, un ristorante per i 3 pasti del giorno, un negozio di souvenir ed un ufficio postale. Praticamente tutto quel che serve al turista disperso nel deserto! Mi fermo per colazione, ho un buco nello stomaco che mi fa camminare piegato a pigreco mezzi, e mi siedo carico di aspettative. Intanto ordino una cioccolata calda, non so perche'. Forse avevo voglia di cioccolato. Poi, dal menu tiro fuori l'asso: Country Fried Steak with gravy, 2 eggs and hash browns. (in originale suona da Dio. Altrimenti, bistecca fritta - una specie di cordon bleu - con salsa gravy, patate alla piastra e 2 uova in camicia) O, una roba fenomenale. La carne mi piace abbomba, poi il gravy ti fa compiangere di non poterlo bere al posto del latte, e le uova e le patate si fondono bene tra il pane del toast. La cioccolata rende questi pensieri ancora piu' dolci. E io sono un maiale. Dopo essermi rimpinzato anche di caffelatte, mi alzo da tavola satollo e pronto ad affrontare la giornata P.C. - ovvero Post Colazione, lo spartiacqua delle mie giornate vacanziere. Riprendo la mia guida e riprendo ad ammirare con tristezza la distesa di capanne, casupole, trailers che si assecondano ai piedi delle rosse colline del Nord dell'Arizona. Sono tutti indiani. Un vecchio Navajo con un enorme cappello da cowboy si avvia con passo lentissimo a gettare la spazzatura in un bidone che non vedo nell'arco di miglia. Continuo dritto, devio solo dopo molte miglia. Ormai, lo dice il cartello, entro nella riserva Navajo, la riserva piu' grande degli USA e una delle piu' povere. La riserva che contiene l'unico punto geografico degli USA in cui 4 stati confinano. Forte eh? E si fanno pagare 3$ per entrare in questo punto. Che storie, chissa' chi sono i cretini che ci vanno. Insomma, dopo la classica foto al cartello "Entering X Indian Reservation" che sono uso a fare, faccio una stroll (passeggiata) fino al ponte sul Colorado. Che panorama. Le Vermillion Cliffs davanti, il deserto attorno, il canyon di un colore tra l'ocra e il grigiastro, ed il fiume verde platino in basso. La maestria della natura non ha limiti. Mi dispiace lasciare un si' bel vedere ma devo percorrere altre miglia. Passo Cliffs Dwellers, un minuscolo insediamento arroccato ai piedi delle colline per tutto l'anno - ed e' il solito villaggio sperduto nel nulla senza alcuna citta' a portata di mano. E mi viene in mente il libro che ho letto, Coyote Nowhere, e la classica America delle praterie, le distese infinite e la gente contenta di vivere nel nulla, a contatto con la natura, con i coyote come compagni di giornata. L'America in cui viaggio solitamente. Galoppo su per le alture, passo interminabili stop per lavori in corso dove conosco la gente che mi dice "STOP" oppure "GO AHEAD", e finalmente il paesaggio cambia come mi aspettavo, come avevo letto da qualsiasi guida parli di Grand Canyon. Inizio a guidare tra verdi foreste, che a tratti pero' piu' che verdi sembrano nere, residuo di incendi piu' o meno controllati di chissa' quanti anni fa. Al solito pero', le nuove generazioni sono gia' alla porta, e giovani alberi si fanno strada fra le ceneri di quelli ormai passati a miglior vita. La dura roccia inizia a farsi strada, ed il paesaggio mi ricorda vagamente le Rockies canadesi (e sono gran bei ricordi quelli!). Con il clima che sembra variare in continuazione, dove cumuli minacciosi di nubi lasciano presto spazio ad un sole potente, entro nella vallata che fa da imbuto prima dell'inizio del parco. Una vallata che mi ricorda, stavolta, Hayden Valley nel parco di Yellowstone (e anche li son fior di ricordi. Voi tutti che leggete, se potrete, andate a Yellowstone, ve lo consiglio di cuore). I boschi si aprono solo ai lati della valle, che ora e' sfibrata dal correre delle stagioni e sfoggia solo erba ingiallita o di un verde sbiadito. Scorgo un coyote che, con passi felpati, si appresta alla tana di un roditore per poi usare la classica tattica del salto per cogliere di sorpresa la sua preda e ghermirla fra le sue fauci. Non ho una cattiva vista, per quanto riguarda gli avvistamenti di animali! Infine passo le porte del parco e subito dopo giro a sinistra ed imbocco la Cape Royal Road, un nome che piu' di Grand Canyon mi ricorda un covo di pirati all' Isola di Tortuga ma fa lo stesso. Guido immerso in foreste che stanno virando verso un giallo intenso, abbagliante, che contrasta incredibilmente con il colore dei sempreverdi e dei fusti di alberi inceneriti, ex alberi. Mi fermo un po' a tutti i viewpoint, che come ho gia' avuto modo di dire possono esser visti come tutti uguali, ma che cosi' davvero non sono. Ogni punto regala emozioni diverse. Una macchia di verde in piu', una cresta maestosa, un ponte nel vuoto, il fiume che scorre selvaggio. Mi godo ogni momento, degusto ogni passo della camminata verso Cape Royal Point, che e' grandioso, con un torrione alberato che si erge ad ovest ed il fiume in basso ad un canyon che dal rosso del fondo sale e diviene giallo oro. La gente regala solo commenti estasiati, e si congratula con la natura per lo spettacolo offerto. Qui non c'e' parere discorde, non c'e' fazione, la gente e' tutta amica e unita nel ringraziare chi o cosa e' l'artefice di tutta la meastria esibita. Ed e' una sensazione che, per i tempi che corrono e per il mondo in cui viviamo, credetemi risulta appagante. Tornare al villaggio dopo aver scattato plenty of pictures, un sacco di foto, e lasciando un posto cosi' incantato e' difficile, ma bisogna perche' la stanchezza incombe e bisogna ancora sbrigare le faccende da campeggio. Registrarsi, prendere la piazzola, erigere la tenda, procurarsi del cibo. Arrivo nel piccolo villaggio di North Rim (nome piuttosto originale a quanto pare) e faccio presto a guadagnare la via della piazzola. Carina, alla fine del campeggio, circondata da qualche altra tenda - ti da un senso di sicurezza questo! - ma non affollato. Il suolo e' duro come il cemento armato anche se liscio come il culo di un bambino, anche se avrei preferito un suolo morbido come il culo di un bambino e liscio come il culo di un vecchiotto, ma fa niente. Pianto la tenda, stavolta con un tarp sotto per cercare quell'1% in piu' di comodita', e prego per una notte con del comfort aggiuntivo. Dopo essermi cambiato un attimino mi reco in villaggio, che giro in circa 2 minuti: lodge, centro visitatori, bar, gift shop, paninaro. Stop. Anything more. No mas. Capisco che non e' il posto per chissa' quali serate e ammazzo il tempo facendo amicizia con una mamma inglese che, finalmente, alla fine mi presenta anche sua figa, eeh scusate, volevo dire sua figlia (l'errore ovviamente dettato dal fatto che la figlia in questione e' piuttosto carina). Ci salutiamo dopo un po' perche' sfortunatamente ha gia' la serata occupata da una riunione del suo gruppo di viaggio, a quanto pare un cargo di cittadini inglesi che girano per il SudOvest, ed io me ne vado sulla cime di una piccola altura con la mia fida macchinetta fotografica pronto a godermi il tramonto e a prendere qualche bello scatto. Unica variante non calcolata, il vento che sull'altura si sente il doppio. Dalla felpa si alza il cappuccio e dalla tasca esce il berretto che finisce dritto sulla mia testa. Il prezzo pagato in termini di freddo non e' nemmeno un centesimo di quello riavuto in termini di spettacolarita' del tramonto. Il paesaggio da Bright Angel Point e' gia' ammirevole di suo, ma con quel tramonto, che io vedo come un regalo di ARRIVEDERCI che il canyon mi fa, sembra paradiso. Non so, una di quelle visioni che ti fai in testa quando pensi a qualcosa di estremamente magico, dolce ma anche duro, impressionante, toccante. Se penso a quanto imprechero' per i soldi spesi, so gia' con certezza che comunque non saranno mai cosi' tanti quanto grande e' la mia felicita' in momenti come questi. E' impagabile, e penso a tutta la gente che pur di non spendere i soldi rinuncia a cose del genere. Questa e' una cosa che basta volere, non e' una cosa che solo chi e' ricco puo' fare. Volere e' potere dicono, e io cazzo se lo voglio, cazzo se ci vado. E' in momenti come questi sono fiero delle scelte che faccio e di come investo il mio tempo. Carico di emozioni scendo dal mio trono di pietra e cammino verso il paninaro, perche' non voglio fare il signorotto con i signorotti e cenare all'affollata lodge. Mi dico "Sara' un'altra serata di cibo di merda", ma mi smentisco. Ordino un sandwich con BBQ chicken breast pensando di mangiare schifezze. Invece, mi gusto il panino piu' succulento da un bel pezzo a questa parte. Il pollo sfilacciato si sposa benissimo con la salsa bbq offerta, e si scioglie in bocca. Altri momenti in cui mi godo i soldi spesi hah, no doubts. Altri momenti in cui penso che se continuero' a pensarla cosi', diventero' un ciccione. Ah. Col cuore colmo di felicita' pennuta torno al campeggio, alla mia tenda, al mio lavarsi i denti vagando per il campeggio verso i bagni con lo spazzolino in bocca e le infradito ai piedi. Sembro ancora uno in vacanza a Isola Verde mentre gli altri son campeggiatori di montagna. Mi distinguo dalla folla. Rientro in tenda e prego per una notte piu' morbida, come sempre. Dio solo sa quanto rimpiangero' un materasso.