mercoledì 26 ottobre 2011

Thank God I'm a country boy (pt.2)

Il resto del parco non delude, perche' un po' come gia' detto per Grand Canyon, nonostante le cose da vedere siano sempre quelle, esse sembrano sempre diverse da ogni angolatura le si veda. Guido fino a Paria View e Bryce Point, estremo lembo meridionale del piccolo parco di Bryce. Mentre da li rientro al parcheggio mi ferma una tipa, sulla trentina, che dice di avermi fotografato mentre, in un altro viewpoint, mi avventuravo su una cresta per fare a mia volta delle foto. Mi dice che il mio cappello, la mia canotta azzurra e le mie kipsta rosse creavano un bel contrasto con le rocce del Bryce. Mi invita, se voglio, a darle la mia email di modo da potermi inviare le foto che mi vedono come soggetto. Rimango basito. Una sconosciuta mi fotografa, e addirittura mi ferma per chiedermi se voglio quelle foto! Accetto volentieri, e scambiamo anche de parole. Non chiedetemi il suo nome perche' sapete bene che dopo mezzo secondo dalla presentazione me lo dimentico! So che viene da Seattle, citta che sebbene piovosissima mi ispira parecchio. Mi racconta di come sia in viaggio da un mese e mezzo - lavora in proprio quindi puo' permetterselo, beata lei! Ciarliamo in parcheggio per un quarto d'ora e, visto che ci siamo incrociati gia' in 2 viewpoint, ci diamo appuntamento al prossimo, verosimilmente! Continuo a essere allibito quando mi capitano cose del genere.. Tornato sulla strada, non per guadagnarmi da vivere, trovo uno spot che eleggo atto al tramonto serale, quindi torno indietro sapendo che vi faro' ritorno qualche ora piu' tardi. E' il momento per me di prendere la Queens Garden Trail e camminare il giro Sunset Pt, Sunrise Pt, Queens Garden, Sunset Pt. Lo danno tra le 2 e le 3 ore di cammino, sono le 4PM, quindi parto con lo zaino in spalla e tanta voglia di iniziare finalmente a camminare in modo dignitoso, dopo le risibili performance di Grand Canyon. Inizialmente cammino con la reflex in mano, assicurata al polso grazie ad un articolato sistema brevettato di bendaggi, e scatto foto a destra e a manca, fermandomi ogni metro. Gli hoodoos sono incredibilmente vari in forme e colori, e sono tentato a scalarne qualcuno fin quando possibile. Purtroppo, la roccia e' molto friabile, e' la stessa fragile composizione delle Badlands del South Dakota che mi vedevano protagonista di epiche corse nella primavera del 2009. Opto quindi per la sicurezza e continuo il tour, che rischia di farsi lungo viste le innumerevoli soste fotografiche. Mi fermo all'ombra delle rocce per fare foto da sotto a verticali pareti rosse che diventano gradualmente piu' chiare, fino a sbucare in un cielo terribilmente blu. E' un contrasto affascinante, che mette quasi soggezione. All'ennesima foto, decido di metter via la reflex e tirare un po' di piu' la camminata, smaltire i mozzarella sticks che ancora si divertono a sguazzare negli acidi del mio stomaco. Cammino solo all'ombra degli alberi e degli hoodoos del fondo del canyon, immerso in una quiete surreale. Nessun rumore, solo i miei passi ed il canto degli uccelli. La quiete e' rovinata solo dal sopraggiungere di qualche altro gruppo di turisti (a quest'ora sono solo io a girare da solo). Un gruppo di settantenni lo do per spacciato, credo passera' la notte quaggiu', col passo che hanno. Spiacente, io avanzo. Mi inoltro verso la parte finale della camminata, una strenua salita verso Sunset Point su una strada rossa e monotona tra due bellissime pareti verticali che conducono alla sommita'. Arrivo in cima con un passo velocissimo, son contento per quest'esordio, sudatissimo e affamato. La camminata e' stata molto gradevole, ed il mio cappello di paglia mi ha protetto dalle ultime calure del giorno. Mi fermo in macchina a sorseggiare dell'acqua e a reintegrare i sali minerali persi con delle barrette. Rimango un po' di tempo da solo, seduto su una panca un po' sporca all'ombra di una radura, a prendere qualche appunto sulla giornata. Le luci iniziano ad affievolirsi, ed e' momento di tornare a Bryce Point. E' sempre un su e giu' in questi viaggi. Il viewpoint e' affollato ma so dove andare. Mi faccio strada fra la gente fino a guadagnare l'estremita' di una roccia sporgente, esposta su una rientranza dell'amphitheather. Davanti a me ho l'intera sua vista, da Sunset fino a Sunrise, e tutto il deserto che si estende a Nord. Attorno a me, nessuno. Sono tutti un paio di centinaia di metri piu' avanti, ammassati tra le ringhiere del Bryce Point. Rimango seduto sulla nuda (e ruvida) roccia per mezzora, ad aspettare che tutto prenda una tinta piu' soffice, piu' chiara, prima di cedere il colore del giorno ai blu scuri della notte. Il vento accarezza la pelle e poi cerca anche di scalfirla, al che si indossa una felpa. Il calore aiuta la mente a focalizzare l'attenzione sulla stupenda visione che si ha di fronte. L'isolamento, anche. Mi sento un monaco buddhista in cerca della concentrazione giusta. L'incantesimo e' rotto solo dalla fame, e dal freddo che inizia a farsi sempre piu' persistente. Decido che ho visto abbastanza, e faccio rientro. Guido mentre il sole tinge di colori mozzafiato le campagne che circondano il parco. Vedo i cavalli che continuano a brucare l'erba anche nell'incipiente calar delle tenebre. Vedo in lontananza catene montuose oscure che sono illuminate da colori violacei e azzurro scuri, che tingono un cielo immenso a cui i miei occhi non sono abituati, un cielo di cui solo nelle grandi praterie d'America e in pochi altri posti al mondo puoi godere. Arrivo al motel stanco ma felice come un bambino, ancora eccitato da tutti i bei posti visti al punto da correre, appena smontato, dietro il motel stesso, lasciandomi dietro le case, i pali della luce, le macchine, e vedendo davanti a me solo campi, erba, cavalli e montagne. E un cielo bellissimo. Vorrei che attimi come questo durassero secoli. Raggiungo un livello di tranquillita', di pace, non indifferente, e col sorriso sulle labbra e dentro me stesso, torno verso la mia camera. Mi faccio strada un paio di volte oltre la porta piuttosto resistente con due carichi di valige (ho trasferito pc e magliette sulla nuova valigia, verde brillante, che ho preso via internet) e finalmente, stracco, mi "adagio" sul letto facendo un triplo carpiato con coefficiente di difficolta' 2.9. Ho una fame da babbuini e uno strato di sporco sulla pelle paragonabile alle incrostazioni di molluschi e alghe che si forma sull'epidermide delle balene. Devo lavarmi. Anzi no, dai, il solito esagerato. Mi sono lavato anche ieri, in realta' ho solo sudato un paio di litri ma non e' si' gran cosa. Provo comunque a lavarmi perche' in viaggio da sempre una bella sensazione e rinfranca, come stare attorno al fuoco. Al momento di aprire l'acqua pero', la bella sorpresa: la doccia funziona quanto un tubo rotto. Cioe', sembra ci sia un tubo rotto come getto d'acqua, quindi e' come lavarsi sotto.. boh, sotto una grondaia dopo una forte pioggia! Non gradendo piu' di tanto la sensazione e non essendomi gia' bagnato, rinuncio alla pulizia e opto per una cagata. Quella non guasta MAI! Mi profumo un po', faccio i soliti mestieri da uomo in vacanza - metto i calzini onti sulle scarpe onte e le appoggio al muro in verticale, come a far prender loro l'aria che in realta' non c'e' essendo ogni spiraglio chiuso, ripiego le magliette usate durante il giorno, metto il beauty in bagno, sistemo i miei effetti sul comodino. Dopo aver assettato cosi' la camera, esco per una meritata cenetta al ristorante del motel, distante venti passi. Mi piace troppo quando i motel hanno un ristorante: non devi far fatica a scegliere il posto e soprattutto, puoi raggiungerli a piedi e in infradito, come sto facendo io stasera! Entro e la classica donna di mezz’eta’, piu’ sulla meta’ vecchia che su quella giovane, mi fa sedere al tavolo. Ordino una gustosa country fried steak con onion rings di contorno (le patate, in qualsiasi salsa, mi hanno gia’ stancato), una small homemade chili bowl, e del pane all’aglio. Quello e’ buonissimo cavolo! Mi gusto la cena in un posticino accogliente, illuminato non troppo di modo da creare una luce che ti avvia piano piano al sonno, e finisco di riportare gli appunti del giorno, dopo essermi studiato la strada da percorrere domani. Andro’ a Zion, poco ma sicuro, ma non so per quale strada. La cameriera dice che Cedar Breaks e’ “gorgeous”, magnifico, e che la strada non e’ molto piu’ lunga di quella normale. A me pero’ la cosa puzza, a spanne e’ parecchio piu’ lunga, e in cuor mio decido che NON passero’ per Cedar Breaks. Torno in camera in infradito e pantaloncini corti, nella notte che si annuncia fresca e ventilata negli altopiani dello Utah centro-meridionale, scaldato solo dalla cena appena consumata. Sono presto sotto le coperte, ansioso di avere un po’ di riposo, ma felice ancora una volta di trovarmi solo a vagare nel West americano.

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