Sono le 06.30 del mattino quando maldestramente irrompo giu’
dal piano superiore del letto a castello stamattina, domenica 18 novembre. In
camera c’e’ un fetore da balena morta – credo che l’altro utente di questa 4
beds stia per raggiungere l’appena citata balena – e io non vedo l’ora di
mettere il naso fuori dalla porta per vedere che tempo c’e’ fuori. Ho in
programma la dura Alex Knob track, un bel macigno da 17,2 km che dovrebbe
portarmi in cima ad una cresta da dove dovrei avere una visione superba del
Franz Josef glacier. Il DOC (Department of Conservation) definisce la hike
“only for skilled trampers” sulla guida che ho letto io, ed io non lo sono. O
almeno, non mi ritengo tale. Vedremo chi la spuntera’. Nel frattempo sono a
prepararmi la colazione: gelato alla vaniglia (ne ho comprata una confezione da
2kg ieri, la piu’ piccola, e credo che solo ieri ne ho mangiato un chilo) con
caffe’ freddo microondato – l’avanzo di ieri, ottimo comunque – cereali e
frutta in barattolo con latte, qualche biscotto. E un po’ di caffe’latte,
quello non deve mancare. Mentre preparo le mie cose, sento una signora che dice
“Arigato”. Deduco sia giapponese, ma per conferma le chiedo da dove viene.
Conferma. Le dico che avevo sentito la parola e che, siccome e’ l’unica che
conosco di quella lingua, avevo supposto bene. Si mette a ridere e mi fa capire
che parla poco inglese. Ma pochi minuti dopo mi manda l’interprete (credo) a
farmi dire che sono un “nice guy” (e daje). Gia’ che ci sono offro
all’interprete il gelato avanzato, e lo accetta con piacere. Quando la voce si
sparge nel gruppetto di 5-6 giappi, e’ tutto un profondersi di ARIGATO’ e
inchini a mani giunte in omaggio al mio nobile gesto. Credo di essere vicino
all’elezione a samurai, quando invece mi crolla tutto sotto i piedi e mi viene
semplicemente offerta della banana in cambio. Banana che scopro essere
consumata in uno strano modo in Giapponia: viene tagliata a pezzi ancora con la
buccia, e servita di modo che ognuno faccia la fatica di cavarne almeno un po’.
Curioso, comunista, ma sensato. Si spartiscono gioie e dolori.
Pochi minuti dopo sono fuori, scruto il cielo: quasi nemmeno
una nuvola. Dietro al mio ostello c’e’ una montagna con una foresta pluviale,
quindi al momento non vedo alcun ghiacciaio, ma mi basta prendere la macchina e
guidare 2 minuti, ed ecco aprirsi davanti ai miei occhi uno spettacolo
mozzafiato: montagne innevate di neve fresca, il Franz Josef glacier alla mia
sinistra, immacolato, senza nuvole. Rimango, come spesso mi capita quando
viaggio in ambienti di montagna, a bocca aperta. Credo di avere gli occhi
lucidi, mentre guido verso la trialhead, tanto stupendo e’ lo spettacolo a cui
assisto. Questa semplice, fugace occhiata potrebbe di suo valere la giornata. Insomma,
alle 7.50 inizio la Alex Knob. Parcheggio ovviamente deserto. Pregusto gia’
l’emozione che trasmette essere il primo ad arrivare in cima in un determinato
giorno. Sono fiducioso, la ranger mi ha detto di iniziare almeno per le otto,
altrimenti avrei rischiato di non vedere nulla a causa della foschia, in cima.
Sono le 8, ma io ho un passo superiore al normale, quindi ho discreti margini
di successo. L’inizio e’ paradisiaco, forse sono morto, non lo so. Cammino in
una specie di tunnel naturale fatto da fitta vegetazione ricoperta di muschi,
che forma le pareti ed anche la volta del tunnel. La luce solare fatica a
trovare i varchi necessari ad illuminare la via, ma quando lo fa, crea giochi
di luce amabili, i raggi si vedono chiaramente e la luce e’ piu’ bella di
quella di qualsiasi lampada fabbricata dall’uomo. Gli uccellini continuano a
cantare, tanti, diversi, con voce forte e chiara. Assaporo ogni passo in questa
idilliaca scena. Ma tutte le cose belle hanno un termine, una camminata cosi’
potrebbe essere la piu’ bella di sempre: il fatto e’ che non ho considerato le
abbondanti piogge dei 2 giorni precedenti. La pista, dopo poche centinaia di
metri, diventa a tratti un pantano difficile da superare con agilita’, bisogna
ponderare i passi per non finire col fango alle caviglie o peggio, scivolare e
rovinare a terra. Entrambe cose che preferirei risparmiarmi. Tra una pozza e
l’altra emergono rocce di cui mi posso fidare e insidiosi legni che sembrano
invitanti ma che, coperti da muschio, risultano scivolosi come l’olio. E’
difficile proseguire spediti, e mi tocca camminare come un cretino per evitare
tutti gli ostacoli. Avete presente Jack Sparrow e la sua camminata “braccia un
po’ all’insu’ e fare da frocio”?! Ecco, credo riassuma bene il mio hiking
style. Devo bilanciarmi bene e camminare in punta di piedi.
Mentre cammino un sacco di elicotteri sorvolano la mia
testa, alcuni molto molto bassi: sono quelli dei tuor che portano i turisti a
vedere il ghiacciaio da vicino. Sono quei turisti che piuttosto di camminare
dove sto camminando io si mangerebbero una merda fumante. Per me non ha alcun
senso. Voglio dire, che bello c’e’ nel pagare (non c’e’ del bello qui) e pagare
per farsi portare direttamente a destinazione, senza assaporare il gusto di
arrivarci da se’, con i propri mezzi, con le proprie fatiche? Per me, nessuno.
Non ha senso. E penso a tante cose mentre salgo. Alla fortuna che ho per essere
cosi’ in forma (anche se il ginocchio, ancora, mi da forti preoccupazioni: mi
bastano 10 km o piu’ in un giorno e il giorno dopo provo dolore a scendere 3
scalini. Dovro’ prendere provvedimenti, fare 1 o 2 anni cosi’ e’ da
purgatorio), a quando ero piccolo e andavo in montagna a camminare coi miei
genitori, allo spirito “competitivo” che c’e’ in me, che mi spinge un po’ piu’
in la’, un po’ piu’ veloce. E’ grazie a tutto questo che ora posso dire “Ok,
andiamo!”, che posso camminare lunghe distanze, che posso sopportare il peso di
un grosso zaino, che posso raggiugnere posti per cui altre persone devono
pagare o che, semplicemente, non vedono.
Raggiungo la cima dopo 2 ore di camminata. Lungo la via, un
paio di viewpoint mi hanno permesso di vedere bene il ghiacciacio, prima che venisse
inesorabilmente ricoperto da un denso strato di nubi che ora mi oscura
completamente la visuale. Il bello e’ che al primo viewpoint stavo per scattare
qualche foto, ma l’umidita’ talmente elevata mi aveva riempito la lente di
condensa, e cercando di levarla avevo solo peggiorato le cose. Avevo concluso
con me stesso che avrei risparmiato le foto per il ritorno. Gran bella scelta
del cazzo. In cima, e’ una sensazione stranissima, non ricordo bene ma forse
non l’avevo mai vissuto, un momento del genere. E’ come essere morti, stare in
purgatorio, perche’ il paradiso spero di vederlo un giorno, ma ben piu’
luminoso e accogliente. Sono a 1303 metri, e la visibilita’ sulla cresta e’ 30
metri da una parte e 30 dall’altra. A destra e a sinistra, bianco quasi totale.
Soprattutto sul versante dove dovrebbe esserci il ghiacciaio. Se guardo in
basso ho l’illusione che mettendo un piede fuori potrei essere sostenuto dalle
nuvole, e camminare su di esse, tanto spesse e dense sono. Dall’altra parte,
giro la testa e scorgo per pochi attimi, in un buco tra le nuvole, la costa,
l’oceano. E’ magnifico, quanto d’altro canto deludente, sapere che la fuori,
lassu’, in mezzo alle montagne, si gode della vista di un ghiacciaio alpino, e
semplicemente girando il collo, dell’oceano e delle spiagge dorate e fittamente
ricoperte di vegetazione. Mi metto in piedi su una roccia, e aspetto. Aspetto,
mi gioco le mie chance e aspetto per vedere se qualcosa accade, se le nubi si
squarciano. E’ domenica, e intanto prego.
Chiudo gli occhi, ascolto un po’ di musica, provo a
“meditare”, a parlare con Dio. Rifletto. Cosa sto facendo della mia vita?
Com’e’ che sto tentando di darle un senso? Nei miei occhi che vedono solo il
buio, che non sentono il vento che soffia la fuori, si materializzano immagini
di laghi, fiumi, montagne, canyon, di deserti, di gente, di una macchina che
corre sulla strada. Per me tutto sommato, vedere posti nuovi, esplorare e
ammirare la natura, conoscere nuovi amici e godere della loro compagnia, e’
essere felice. E’ raggiungere un benessere interiore ed esteriore tramite i
miei occhi, e i miei stessi sensi. Io sono felice, ora. Ma non e’ questo cio’
che dobbiamo fare nella nostra vita, no? Troppo facile perseguire obiettibi
meramente personali, futile egoismo. Una vita vissuta a meta’, un bicchiere
mezzo pieno di cui si nota perlopiu’ la parte mezza vuota. E io cosa faccio per
riempire il bicchiere? La musica sale, un crescendo, un’emozione in piu’ fa
salire anche il mio pensiero. Io sono quello che faccio, e quello che faccio
ora e’ girare, conoscere, ammirare e ringraziare per tutto questo. Io devo
condividere quello che mi viene donato. Ho una grande fortuna, che ho costruito
in buona parte da me ma che e’ pur sempre un dono, quello di poter girare e
vedere. Io devo portare agli altri la mia gioia, la mia felicita’, il mio amore
per il creato, per gli animali, per l’acqua e per gli alberi, per la stessa
gente che mi sta attorno. Contagiarli con la mia positivita’. Colorare il
grigio di certe giornate scure. Questo devo fare. So che Lui mi ha mostrato la
strada, Gli sono riconoscente, e voler bene a quello che lui ha creato e ai
miei fratelli, e’ voler bene a Lui.
Apro gli occhi dopo diverse canzoni, sono sulla stessa
roccia, immobile, da 25 minuti. Una lacrima mi scende dagli occhi. Purtroppo,
fuori non si vede ancora nulla, le nubi non sono miracolosamente scomparse,
come accadrebbe in un qualsiasi dozzinale film. Sono ancora li ad impedirmi la
visuale, da qualsiasi parte. Ma a me ora non importa piu’. Non m’importa piu’
il ghiacciaio, non m’importa piu’ l’idea di aver faticato tanto, essermi
sporcato ed ora, di essere da solo li in cima a prendere freddo, per nulla.
Sono contento ora. Quel tempo ritagliato per me stesso e’ stato importante, ben
speso, vissuto. Se c’e’ una cosa che posso dire, lo so, per questa giornata, a
prescindere da cosa accadra’ poi o dalla trail o da qualsiasi altra cosa, e’
che ho realizzato veramente, mi sento veramente, CLOUD RIDER.
PS. Oggi un ragazzo dai capelli rossi mi ha chiesto un
passaggio in citta’, fuori pioveva. Gli faccio ok con la bocca chiusa perche’
sto masticando un pezzo di pane all’aglio e basilico. Salta in macchina, mi dice “Just because the
weather, the previsions.. were good!”. La parola previsions mi puzza
lontano un miglio. Il ragazzo non e’ di sicuro di madrelingua inglese. Non ha
tratti orientali. Di sicuro non e’ del nord europa, parlerebbe meglio l’inglese.
Due son le cose: o e’ spagnolo, o e’ italiano. E io sono molto, molto certo sia
italiano. La prima frase che gli rivolgo e’ “Where are you from?”. E lui, “Italy”.
“E allora parliamo italiano va’”.
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