martedì 15 novembre 2011

But for the grace of God - pt.2

Pochissima gente, conto una decina di persone in tutta la porzione di costa a me visibile, e un caldo che colpisce alla testa. Non c’e’ piu’ il vento di un quarto d’ora fa, anzi, cerco riparo dietro alle formazioni di tufa per occultarmi dal sole. Mentre mi giro per osservare cio’ che mi circonda, realizzo la spettacolarita’ del paesaggio. A nord-est, il lago con le sue frastagliate formazioni rocciose. A sud-ovest, un pianoro coperto di vegetazione stepposa. Ad ovest, inserite a meta’ fra il cielo infinitamente blu e la vegetazione giallastra, le torreggianti vette di Yosemite, gia’ innevate. E’ fantastico, e ovviamente scattano una masnada di foto. Sono fortunato perche’ in cielo pare non esserci una nuvola. E’ gradevolissimo ammirare tutto cio’ con questo clima, questa assenza di fastidiosi turisti e di bestie moleste. Apparte per le infinite mosche che infestano la battigia. Sono milioni! Appena muovi un piede sciamano per qualche secondo per poi riposarsi al suolo. Stupidi insetti inutili. Cosi’, tra una mosca e un tufo, un tufo e una mosca, spendo il mio tempo a Mono Lake. Girando gli angoli formati dalle rocce spero sempre di imbattermi in un sasquatch, speranza puntualmente delusa. Non e’ destino. Mi viene in mente pero’ uno dei pregi del West americano: il trovare un lago che diresti provenire da qualche altpiano desertico dell’Asia centrale, a una ventina di minuti da uno degli ecosistemi di montagna piu’ belli d’America, peraltro a non molta distanza dal deserto piu’ caldo degli Stati Uniti – la Death Valley – lascia a bocca aperta. C’e’ una varieta’, un’immensita’, un’abbondanza in questa parte del globo che e’ stupefacente. Meravigliosa. Giro lo sguardo alle vette di Yosemite, ancora casa mia per la sera, e le ritrovo ormai coperte da ampi banchi di nubi. Credo di essermi giocato le ultime ore di sole della giornata, nel parco. Torno un po’ sconsolato al suo interno, passando il Tioga Pass non senza rischi. Il vento e’ ancora piu’ forte, la temperatura e’ scesa e in cima la visibilita’ e’ piu’ scarsa in quanto una polvere sottile infesta l’aria. Ad un tratto, cadono alcuni grossi sassi sulla strada. Dopo una frenata preventiva, decido di accelerare per passare oltre il piu’ velocemente possibile. Mi domando come faccia il motociclista dietro di me ad essere cosi’ tranquillo! Superato il passo, mi fermo a Gaylor Lake. Anche su questa pista sono da solo, al solito, e come di consueto mi munisco di un paio di grosse pietre. Non si sa mai. La camminata e’ piu’ faticosa del previsto. Intendiamoci, non e’ obiettivamente lunga, o particolarmente ripida (anche se a tratti spacca sul serio) ma diversi giorni di camminate, gli ultimi poi parecchio intense, hanno sfibrato i miei piedi. Non e’ questione di fiato, quanto proprio di dolore ai piedi, ferite varie, ammaccature, e ultima, stanchezza muscolare. Arrivo al lago ansimante e scontento. Il vento mi obbliga a indossare il mio fido berretto, e lo spettacolo sperato si riduce ad uno schifoso lago con acque grige e increspate. Nei dintorni, montange semibrulle aumentano la tristezza. Mi sembra di esser stato catapultato in Irlanda cazzo. Fanculo, ne ho abbastanza, questi ricordi mi mettono di malumore e me ne torno imprecante verso la macchina. Penso che per oggi ne ho avuto abbastanza, e mi concentro sul pensiero di una bella doccia, uno shake magari, e un po’ di riposo, di relax. Sono le 2.30 PM e imbocco la strada verso lo Yosemite Village, dove arrivo circa un’ora dopo. Mi dedico anzitutto alla pulizia e al riassetto della mia macchina, un campo profughi ambulante. Ve la racconto, cercando di farla breve anche se sarebbe interessante vagliarne ogni aspetto. Porzione anteriore: sedile destro con almeno una ventina di carte e guide aperte in pagine a casaccio, biglietti elettronici dell’aereo e prenotazione della macchina. Poggiagomiti con al’interno due scatole vuote di chewingum, cuffie dell’ipod e ipod stesso, coltellino svizzero. Sotto la radio, 4-5 cartine di chewingum con gomme masticate all’interno, la mia pila da esploratore. Porzione posteriore: sacco a pelo gettato alla carlona sui sedili, n.2 felpe, n.2 magliette corte, n.1 pantaloncini corti, n.2 cappelli, n.2 paia di calzini usati e maleodoranti, varie bottiglie d’acqua semivuote, carte & cartacce, materiale da accampamento. Bagagliaio: non dico oltre le valigie, e’ meglio stendere un velo anche se pietoso. Queste le condizioni della macchina. Sembra uscire da una guerra. Capirete perche’ ci dedico del tempo. Sgomberata la scena del crimine, riordino i miei effetti al sicuro nella mia camera – anzi, nella mia tent cabin – e poi sono pronto per la doccia. Pare sia a un centinaio di metri da qui, ma ad ogni modo indosso infradito ed accappatoio per recarmici. La scena e’ di quelle da ricordare. Un emerito cretino esce da una tent cabin, nel bel mezzo delle High Sierra californiane, in ottobre, in completo da doccia con infradito e accappatoio blu, beauty alla mano. Sotto, solo le mutande. Passa, con questo apparel, nel bel mezzo di un branco di ragazzini delle scuole elementari arrivati qui in vagonate di pullman (probabilmente lasciandoli con seri problemi neurologici). Arriva finalmente alle docce in uno stato, seppur di galoppante felicita’, anche di soggezione non del tutto immeritata. Prova la stessa sensazione di una persona che, ad una festa in maschera, arriva in jeans e camicia. Un po’ fuori posto. Il cretino in questione sono io, ma sentendo solo il bisogno di una bella doccia, mando a fare in culo le mie pare mentali – tanto sono praticamente in campeggio! – e mi getto sotto l’acqua. Ficcati gli spicci dentro l’apposita, gia’ descritta macchinetta, posso finamente godere di un getto d’acqua detergente. Ed e’ un piacere uscire, ancor piu’ marittimo, e trovarsi in mezzo a gente con calzettoni da montagna, scarponi da montagna, abbigliamento semi pesante e zaini stracarichi. Io, e’ come stessi tornando da un bagno al mare! Non passa molto tempo – quello di una veloce asciugatura e di qualche faccenda domestica – che mi trovo, alle 17, nel “salotto” del villaggio. E’ una stanza, molto invernale anche questa, con un caminetto non funzionante, diversi divani e poltrone tutte molto comode (di quelle dove appena ti siedi sprofondi inghiottito dal cuscino) e alcuni tavoli muniti di sedie. Qui la gente si collega ad internet, gioca a carte, si legge un buon libro o, come un paio di signore di fronte a me, schiaccia un pisolino. Io opto per il libro. Ho un pc con me, ma non voglio usarlo. Non voglio connettermi, con il mondo. Una delle cose piu’ belle dell’essere in viaggio e’ quel carattere di “estraneita’ dal mondo”, che a me piace tantissimo. Sapere che magari nel tuo paese sta succedendo qualsiasi cosa (che magari il presidente del consiglio e’ saltato in aria, o e’ crollata Pompei, o l’Ikea ha chiuso dieci sedi, o addirittura e’ stata buttata giu’ la passerella a Cadoneghe) , come anche nei paesi dove viaggi, sta avvenendo qualcosa di eclatante (gli USA hanno dichiarato guerra alla Repubblica del Bananazib, o hanno deciso di espellere tutti gli irlandesi dal loro territorio), e tu non sai nulla di tutto cio’.. e’ una sensazione estremamente bella per me. Sara’ perche ogni dannato giorno, mentre sono a casa, sono avvolto da notizie. Ogni minuto. Da notizie sugli amici, alla politica, alla religione, al prezzo dei semi dei tulipani. Non se ne puo’ piu’. Non perche’ voglia essere disinformato, quanto per esasperazione, gia’ a casa cerco di fugare ogni tg, notiziario o trasmissione in cui si informa. Figuriamoci in vacanza, in viaggio. Dio me ne liberi! Sono cosi’ contento. E a volte mi sento un naufrago, che dopo mesi e mesi di deriva, rivede terra, e chiede della sua famiglia, dei suoi amici, della sua citta’, di cosa e’ accaduto nel mondo. “L’Italia non c’e’ piu’, e’ stata cancellata dalla faccia del mondo”, gli dicono. Lui, occhi sbarrati, non sa che dire. “SCHERZONEEE!”. Pagliaccio, ci avevi creduto anche?! Ad ogni modo, non mi sento proprio un naufrago, che’ sono via solo da una decina di giorni, ma il benessere che traggo dall’esser isolato da chi conosco e da cosa conosco e’ immenso, davvero. Per questa ragione – torno all’inizio del ragionamento – non voglio usare il pc e collegarmi a internet. Ho una vita davanti per stare in FB, figuriamoci se lo faccio allo Yosemite Village, parco di Yellowstone, California! Opto piuttosto per un bel libro. Leggo per quasi un ora, poi riporto qualche nota alla giornata. Sono piuttosto spazientito quando, affamato come un coyote, vedo la masnada di bambini visti prima che si apprestano ad entrare al buffet. E cosi’, a ondate, fino a quando non finiranno le scolaresche. Io ho un buco allo stomaco assurdo, e sono costretto ad aspettare, per evitare la coda infinita. Le mie parole originali: “E mi ritrovo alle 17, nel “salotto” del villaggio, tra gente che guarda le foto, gente che sonnecchia, che cerca un posto nel prossimo campeggio, a leggere un libro su Arches e a scrivere il diario, aspettando che quella masnada di bocia de ste merda de miedosento scoe che no so parche’ (casso) i porta i boce a Yosemite in sto periodo i vaga fora dal ristorante (e dai coioni) che go na fame becca. Se 10 ore che go messo in bocca soeo un casso de caucciu’. Zio can”. Faccio notare l’enfasi, l’incazzatura a crescere, che demarca lo scoramento nel vedere orde fameliche di bambini invadere la mia pappatoia, e vedere me triste ed affamato spettatore, costretto ad aspettare un tempo indefinito per saziare la mia fame. Tristezza. E rabbia. Ma alla fine, anch’io sono premiato, da due cose: la prima e’ una lauta cena che mi appresto a descrivere. La seconda, una visione: una fresca ASSURDA. Classica americana: capelli lunghi biondi, lisci, occhi castani, chiara di carnagione, e.. un culo che e’ un cerchio. Potrei usarlo come goniometro! Purtroppo devo lasciar perdere le lezioni di geometria, altrimenti rischierei una stecca sulle mani da parte del padre – un aria poco rassicurante. Mi concentro invece, come detto, sul cibo. La rabbia in corpo mi fa mangiare avidamente, e scopro che questa puo’ essere la tattica vincente per future mangiate (amici padovani, prendete nota: incazzatevi prima di venire dalla Moma o in posti similari!). Gradisco, nell’ordine: una bowl di chili con carne, mezzo piatto di BBQ brisket (stellare), un piatto di riso con sopra della meat sauce, patate al forno, un generoso tacos con carne, formaggio e refried beans, e per finire, un bel piatto di pasta con marinara sauce, formaggio e olive nere! Un banchetto faraonico, ornato da litri di lemonade e la classica fetta di dolce finale. Mi alzo da tavola con lo sguardo del conquistatore, un conquistatore un po’ appesantito. So che fronteggero’ un’altra notte di rollii a causa della dimensione sferica del mio ventre, ma non sono per nulla intimidito! Anzi, sono contento. Faccio due passi, torcia in testa, per l’oscura Yosemite. Altra notte orsesca in vista. Guardando il profilo tenebroso delle montagne che circondano la valle, e proseguendo oltre, su un cielo decisamente coperto ma a tratti di un blu vivido, ringrazio lassu’ per le esperienze fatte e le meraviglie viste in questa giornata. Sono cosciente della fortuna che ho, e non vedo perche’ non debba chiudere un bel giorno cosi’ con un pensiero verso chi ha reso possibile tutto cio’.

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