martedì 1 novembre 2011
L'oasi nel deserto: Las Vegas
Lo sapevo gia’ fin dall’inizio, che oggi si spaccava. Non poteva essere altrimenti. E anche se sono ancora stanco morto, anche se piu’ che un giorno di divertimenti mi servirebbe un giorno di flebo sdraiato su un letto, devo resistere. Non posso cedere, ho davanti a me qualcosa che non si trova da nessun altra parte nel mondo: ho di fronte a me Las Vegas. La citta’ che non dorme mai (o al massimo dorme dalle 5 alle 8 del mattino), la citta’ dove credo ci sia il consumo elettrico in proporzione piu’ alto al mondo, la citta’ dove non puoi non spendere soldi, la citta’ piu’ pazza e stravagante d’America. Io ho ancora parecchio denaro, e credo proprio non usciro’ da questa citta’ con le tasche altrettanto piene. Sarebbe un’impresa, ma anche una stupidata, non farsi trascinare nel vortice, nel clima godereccio, mondano che si respira fin dall’ingresso nella strip. Cosi’ mi rendo conto che, se la strada da Zion a Vegas dura poco, non molto piu’ di 2 ore, il tempo per perdere la testa in citta’ e’ molto piu’ breve, diciamo 2 minuti. Entri di giorno, al mattino, quando la gente e’ ancora un po’ assonnata ma ci sono i turisti che ravvivano il clima. Entri quando le luci che rendono famosa la citta’ devono ancora accendersi, quando tutto sembra piu’ sobrio, piu’ normale, ma rimani stordito lo stesso. Non puoi non esserlo. A partire dalla differenza notevole, eccessiva tra i sobborghi, le immediate vicinanze del centro e lo sfarzo della strip. Se in periferia la gente vive in casette malandate, baracche senza pretese, in centro il lusso la fa da padrone. E non solo per i turisti, ma anche per chi vive e lavora in quel nido di ricchezza. Appena la macchina noleggiata fa il suo ingresso nel cuore del posto, ci si accorge subito che l’atmosfera e’ cambiata. Ci sono QUASI solo hotel, hotel di lusso dico anche se non cosi’ costosi come potremmo pensare, poi ancora hotel, e casino, casino, casino (senza accento perche’ da loro e’ proprio cosi’, “casino” che si pronuncia, come a riflettere il significato che la parola ha nella nostra lingua, un casino!). Si vede che e’ una citta’ costruita su misura di turista, di persona che entra e vuole darsi alla pazza gioia, per una notte, o solo per poche ore. Qui a Vegas non si vedono pickup, contry boys con cappello e stivaloni, jeans e camicette, ma solo turisti, tanti, tipe stratirate e improbabili rapper o strani personaggi da cabaret di strada. Tutto e’strano qui, il turista all’inizio ci mette un po’ ad abituarvisi. E’ sommerso dalla raffica di sensazioni che giungono al cervello, non riesce piu’ a connettere per un po’. Finche’ forse cede, forse il cervello pensa “Let’s take it easier” e si fa prendere dall’atmosfera, si adegua ad essa e tutto diventa piu’ a portata. Camminando per le strade, sovrastati da enormi edifici che altro non sono che immensi hotel, si rimane a bocca aperta. Ci si domanda come l’uomo riesca a concepire cose del genere, a seconda dei punti di vista giudicati obbrobri urbanistici o meraviglie turistiche. A seconda dei gusti, ma comunque ed assolutamente strabilianti. Al punto da riprodurre localita’ di ogni parte del mondo, da rendere il mondo a portata di mano, la mano di Vegas ovviamente. Cosi’ camminando nel sud del Nevada capita di sentirsi – e sembrare di essere – a Venezia sul Canal Grande o in piazza S.Marco, o a Parigi sotto la torre Eiffel, o magari in Egitto, davanti ad una piramide. E perche’ no, magari a New York. C’e’ tutto. Meravigliato da cio’ che vedono i suoi occhi, il turista entra in uno degli hotel, diciamo piu’ o meno a caso. Male. BISOGNA avere organizzazione per camminare dentro un hotel a Vegas. Si entra, e se ne esce dopo almeno 15 minuti di agonia attraverso casino immensi, corridoi infiniti, negozi, ristoranti, SPA e Dio sa cos’altro. Chi esce prima di 15 minuti e’ solo perche’ torna indietro dopo 10 passi, dalla stessa porta da cui e’ entrato. Ma di solito non lo fa, e’ troppo incuriosito. Vede davanti a se’ un casino cosi’ grande come non l’ha mai visto in vita sua, magari come quello del Venetian – che a dire il vero e’ il piu’ grande che esista! – e non puo’ volersi sottrarre all’enorme dispendio di moquettes, lampadari, slot machines, tavoli da poker, black jack e roulette che si vede innanzi. Semplicemente, si lascia prendere e vaga in uno stato di quasi catalessi, con gli occhi da pesce lesso, per l’enorme struttura. Non sa, inizialmente, che gli hotel dello stesso block – isolato – sono astutamente collegati fra loro, rinchiudendo il turista in una trappola che lo estranea dal mondo esterno e continua a farlo girare perduto nel loro territorio, dove prima o poi finira’ per sedersi, consumare un drink, provare una scommessina o una puntata alla roulette. Questa e’ Vegas, questo e’ lo scopo che la citta’ persegue. Intrappolare la gente e far si che, prima o poi, apra il portafoglio e lascia giu’ parte dei suoi averi. E ci riesce maledettamente bene. Le insegne luminose, le ragazze provocanti, le mille tentazioni che stimolano ogni organo sensoriale umano prima o poi hanno la meglio sulle persone. Se anche solo provi un 1% di sete in quel momento, presto ti troverai assetato come vagassi nel deserto da 2 giorni. Ma non stai nel deserto da 2 giorni, sei a Vegas da 10 minuti, e ti stai ammazzando dalla voglia di una limonata fresca o di un Manhattan seduto al tavolo di un bar di lusso. Non hai fame?! Eccoti affamato come un orso uscito dal letargo. Non ti servono dei vestiti?! Cazzate. Ti sbatto in faccia corridoi su corridoi delle firme piu’ note al mondo, dovrai per forza passare davanti a quel che stavi cercando. E se pensi che tu non ne abbia cosi’ tanto bisogno.. be’, ci penso io a risvegliare il tuo istinto da shopper! L’ambito ristorativo pero’ e’ quello che colpisce di piu’ in una citta’ cosi’, dove ovviamente le strutture di ricezione turistica la fanno da padrone. Qui la gente alloggia, gioca, e MANGIA. Notare che prima gioca, poi mangia. E beve. Dunque, camminate per 5 minuti in citta’ e contate quanti chioschi, ristoranti, fast-food trovate sul vostro cammino. Innumerevoli. E quel che salta all’occhio sono, come li chiamo io, gli “agglomerati del cibo”, vere e proprie isole di ristorazione presenti all’interno degli hotel. Se ti senti stanco, eccoti un Mac Donald dove prendere il tuo burger preferito, un Subway se preferisci i sandwich, o magari un KFC se hai voglia di pollo fritto. Non sia mai che detesti il fast-food: eccoti allora un paio di ristoranti di classe dove potrai dar libero sfogo alle tue esigenze. Se poi magari cerchi il cocktail da consumare in compagnia, aggiungi due passi due ed ecco il cocktail bar piu’ in di Vegas. Il tutto concentrato in metri 100. Incredibile. Non puoi non uscire senza aver consumato qualcosa. Non puoi uscire dalla miriade di gift shops senza aver comprato un portachiavi, un cappellino, una maglietta, un adesivo. Che valga 1 dollaro o che ne valga 50, l’acquisto lo farai. E se non hai soldi in portafoglio, bene, ti indebiterai per far fronte alle spese. Vegas e’ cosi’. Ti mette davanti ragazze favolose che ballano in privato per te – basta comporre un numero e vengono direttamente nella tua camera d’albergo – oppure acquari enormi dentro gli stessi hotel – cose da fila di mezzora per entrare! – o infine parchi divertimenti a mo’ di giardino privato dell’hotel. Fantastico. Ma incredbilmente seducente. Credo che i santi di oggi non dovrebbero andare nel deserto, ma a Las Vegas. Qui si che uno che resiste a queste tentazioni, e’ da considerarsi un santo. E dicendo questo, non voglio criticare il meccanismo che c’e’ sotto. E’ unico, e’ comprensibile, e personalmente mi strabilia. Davvero. Io, quello dei National Parks, affascinato da Las Vegas. Forte eh?! Penso che in questa citta’ scorrano le piu’ grosse quantita’ di denaro in un giorno solo. Rispetto ad altre citta’, intendo. La gente paga di tutto, in continuazione in grande quantita’. Ha sempre il portafoglio aperto. Paghi la monorail – una delle poche citta’ con una monorotaia (e mi viene in mente la puntata dei Simpson dove viene costruita la monorotaia in citta’. Spero la mia esperienza sia migliore!) paghi l’hotel, paghi i tuoi divertimenti. Cammini e rimani incantato di fronte alle fontane del Bellagio, uno degli hotel piu’ blasonati, che su un lago artificiale che e’ oggettivamente enorme per la location in cui e’ situato, manda in scena ogni 15 minuti uno spettacolo di fontane d’acqua a tempo di musica che sbalordisce ogni volta. Cammini e ti imbatti nei temi orientali, con cameriere tutte orientali e design orientali del Mandalay Bay. Cammini e ti trovi magicamente al Caesar Palace, dove ti senti anche tu un po’ nell’antica Roma e ti getti nel fantastico giardino con piscine che ti fa sentire, invece, un nobile in vacanza. Cammini, infine, e ti ritrovi in sale per scommesse grandi come una sala del Cinecity, dove in fondo ci sono maxischermi enormi per diversi sport – ippica, football, baseball, basket, nascar – e dove la gente ha a dsposizione un tavolino personale munito di lampada (l’ambiente e’ un po’ oscuro, tipico da scommettitore incallito) dove il giocatore puo’ accomodarsi con il suo drink e studiare le strategie di scommessa, osservando le quote sui maxischermi. Veramente, senza parole. Questo e’ quello che ispira Las Vegas e, col senno di poi, questo e’ lo stato d’animo con cui lasci la citta’: senza parole. Per la cronaca invece, registro altre cose. Dopo aver trovato il MIO Hilton – sappiate che esistono 5 hotel Hilton a Las Vegas – cerco la reception, che e’ sulla torre Nord, e mi faccio dire dove cazzo si trova la mia camera. Sono gia’ quasi incazzato per quanto enormi sono gli hotel. Ebbene, si trova al 23esimo piano. Non ero mai stato credo piu’ su di un sesto o ottavo piano, ora mi ritrovo a guardare una citta’ dall’alto. Interessante. Entrato in camera, mi godo il frutto della mia spesa folle in confronto agli altri motel (neanche tanto ad essere onesti) come farebbe Kevin in Mamma ho perso l’aereo – mi sono smarrito a New York. Mi sento come un bambino che si trova all’Hilton, con 3 differenze (vi prego di non deridermi): la prima e’ che sono a Vegas e non a NY. La seconda e’ che la carta di credito e’ la mia e non quella di papa’. La terza, aime’, e’ che non ho piu’ l’eta’ di Kevin da un bel pezzo ormai. Eh va be’, l’importante e’ essere giovani dentro! Ammiro compiaciuto il letto regale, i cuscini finemente decorati, la tv lcd enorme, il bagno elegante e la sveglia – si, la sveglia – che piu’ che un congegno per svegliare le persone sembra una stazione radio per comunicazioni con le stazioni spaziali orbitanti. Giustamente, piu’ spendi, piu’ hai. E qualche volta ogni tanto, ci sta. Tutto questo apprezzamento mi fa sudare – scherzo, lo ero gia’ da mo’ – quindi mi faccio una doccia elegante nell’elegante bagno. In pochi minuti sono di nuovo pronto, pronto a camminare ore per la citta’ che non dorme mai. Vago stordito e con due occhi da pesce lesso per ore in tutta la strip, approfittando del biglietto illimitato della monorail. Monorail che pero’ trovo poco utile, nel senso che le fermate sono poche e distanti dalle principali attrazioni. Dovete sapere infatti che questo e’ uno dei posti dove la gente cammina di piu’ in America, ho idea. La teoria e’ personale e accetto critiche. Ma basandomi sulla mia esperienza, ore su e giu’ da un hotel ad un altro, in un hotel e nell’altro, e con i piedi definitivamente K.O. a fine giornata, deduco che Vegas e’ un posto per camminatori prestanti o per shoppers incalliti. Poco da fare. Entro in decine di gift shops, hotel, casino, posti che vendono amenita’ e servigi di ogni tipo. Resisto a tutto, anche alla sete. Mi sento un santo braccato dalle tentazioni. Resisto stoicamente, tranne ad un certo punto alla sopracitata sete, che estinguo ad un Mac Donald con una Coca Cola media. Ci voleva assolutamente, no tears. Nemmeno per un bel paio di pantaloni Adidas che compro in un negozio a tema. Anzi, decido di prederne due, uno corto e uno lungo. Peccato che mi accorgo in mezzo alla strada che ho dimenticato quello corto in negozio! Dannazione, ho idea che dovro’ ritornarci dopo cena, fuck. Continuo a girare. Mi godo le atmosfere egizie del Luxor, un hotel fantastico che ricrea al suo interno piramidi, ed e’ anch’esso una piramide, a le camere si assottigliano piano dopo piano fino alla sommita’, e danno tutte all’interno, dove la gente puo’ vedere palme finte, cascatelle, sabbie, spettacoli di luci, sfingi. Il Mandalay Bay e’ quel che il nome ti fa affiorare in mente: una specie di tranquillo ormeggio nel sud-est asiatico, tutto fatto di sapori, odori, sembianze orientaleggianti, acqua, vegetazione lussureggiante, e occhi a mandorla. Cosi’ e’. Alla fine pero’, apri la cartina della Strip e vedi scritto VENETIAN. Perche’ no, ho letto che e’ mostruoso, devo vederlo. Diciamo che vagamente ti accorgi quando ci arrivi. Incredibile, passi da una polverosa citta’ d’America alla raffinata Venezia nel giro di un incrocio stradale. Sei davanti al campanile di S.Marco. Entri, e trovi affreschi (posticci) su tutto il soffitto, cornici dorate e ambienti veneziani ovunque. Arte ovunque. Piu’ che altro, una megalomania smisurata. Ma diavolo se piace, se coinvolge. E personalmente, se fa ridere. Non vado a Venezia, nella vera Venezia, credo da una decina d’anni. Ed ora mi ci ritrovo dentro nel sud del Nevada, Stati Uniti d’America. Mi faccio una sana risata sopra un ponte che attraversa un canale. Si, perche’ dentro l’hotel, c’e’ un intero sistema di canali, ponti e sottopassi che ricreano la citta’ intera! E’ umanamente inconcepibile, finche’ non lo si vede. Cammini sotto balconi che altro non ospitano che le camere dei clienti (piuttosto costose, queste, anche se non impossibili), i quali possono godersi dal balcone della propria camera i ristoranti sottostanti, le boutique di Hermes, Gucci e Armani, le fontane, e i gondolieri che traghettano le proprie gondole in giro per i vari canali. Cantano canzoni italiane, e portano i turisti, non necessariamente clienti dell’hotel, in giro per i canali al costo di una ventina di dollari. E’ pazzesco. Sembra che questa citta’ non conosca un limite, un po’ di decenza, di convenzionalita’, di etichetta. Bello. Poi pero’ la mia ammirazione, incredulita’, voglia di esplorare, cedono il passo alla stanchezza che ritorna incrollabile, stavolta prima delle luci della sera. Sento il bisogno di dormire, di riposare. E cosi’, in mono(rail), torno in albergo e opto per una nap – un pisolino – e metto la sveglia un ora e mezza dopo, alle 6 e mezza. Mi ridesto dal sonno con la citta’ che viene lentamente avvolta dalle tenebre. Quando scendo e inforco la macchina, mi dirigo verso ovest, e sulle montagne, molto avanti, si vede chiaramente un potente temporale che scarica fulmini a raffica. Di quelli grossi, di quelli che quando capitano in Italia ci si preoccupa. Qui a Vegas piove a intermittenza, e la gente non ci fa caso. Io guido su W Sahara Ave per arrivare in una ciberia che ho visto in tv, su Man vs. Food (la gente con cui parlo spesso sa cos’e’). E’ la Hash House a Go Go, location dove vengono serviti elaborati manicaretti che uniscono diversi sapori e soprattutto, porzioni spaziali. Arrivo e ho le bave alla bocca gia’ in parcheggio. Il menu’ poi servirebbe un giorno per essere vagliato a dovere. Complice il cameriere simpatico ma in mezzo alle palle come una mosca in montagna, sono forzato alla scelta in tempi rapidi. Vado per un pantagruelico Chicken Breast Benedict with Plain Sage. Aspetto godendomi una stupenda homemade lemonade che non delude mai, quanto vorrei fosse importata in Italia. E quando l’ordinazione arriva, rimango a bocca aperta. Il piatto ha le dimensioni di quel che noi chiamiamo “vassoio”, ed e’ alto almeno 20-25 centimetri (prendete un righello e fatevi un’idea). Un coltello che credo sia derivato da un machete e’ posto a mo’ di spiedo su due enormi petti di pollo, fritti in una panatura color quasi marrone. Sopra, plain sage e rosmarino. Sotto i petti di polli, quattro – e dico quattro! – waffle cucinati con bacon strips INSIDE! E sopra dell’ottimo maple syrup. Agguanto la creazione, rovinandola, e portandola alle mie fauci. Il pollo e’ sublime. La panatura paradisiaca. Forse ecco, un po’ troppo croccante, mi sembra di aver mangiato un osso quando in realta’ e’ solo un grumo di panatura. I waffle sono stupendi, salati col bacon, dolci col syrup. Pesantissimi in generale, da digerire. Alla fine dei conti, pur con estrema soddisfazione degustativa, avanzo quasi due waffle e un infimo pezzetto di pollo. Sono esausto. Esco tra gli applausi virtuali della folla, con i camerieri che mi danno il 5. Sti cazzi. Semplicemente, torno in macchina verso l’albergo, dove prendo la mono per rifarmi la strip, stavolta come deve esser fatta: di notte, illuminata. Anzitutto, regolo i conti con i pantaloncini Adidas e li faccio miei. Belli cavolo, blu e bianchi, un po’ lunghetti, da americano! Poi, via con la strip. Immerso nel mare, nell’oceano di luci che rendono la notte, giorno. Ad ogni incrocio c’e’ qualcosa che attira l’attenzione. Il piu’ bello, ovviamente, e’ quello su Bellagio Street. Il Bellagio e le sue fontane, il Ceasar Palace, il Paris e il Planet Hollywood. Maestoso. Aspetto lo spettacolo d’acqua e me lo godo tutto. Le fontane piu’ alte, per rendere l’idea, sembrano l’Old Faithful di Yellowstone, anche se non ne pareggiano l’altezza (anche 90 metri). La musica che guida le trame aiuta molto, e quando capita di sentire la canzone un po’ patriottica, il botto finale, come quello dei fuochi d’artificio, regala un brivido che corre lungo la schiena, e ti fa pensare che, se solo per questo si provano certe sensazioni, non sono poi cosi’ pazzi quelli che a discorsi, commemorazioni, feste, urlano per strada “U.S.A., U.S.A.!!”. Io sono con voi, amici. Con questo spirito nel cuore, vinto dalla stanchezza, mi avvio verso l’hotel, non prima di aver smadonnato una ventina di minuti per uscire dal solito groviglio di casino, negozi, cocktail bar che mascherano le vere uscite con segnali fittizi. Per Vegas la notte inizia – sono appena le 9 PM – per me invece finisce, ed e’ un’ottima notizia, perche’ so copa’.
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