giovedì 10 novembre 2011

Oh Mountain Momma - pt.2

Guidando sul fondo della valle arrivi a lambire le trailhead per Bridalveil Falls – che sono molto carine per un solo fatto, come dice il nome (di nuovo l’originalita’ americana): essendo non troppo consistenti, appena spira il vento fanno si che l’acqua crei un effetto “velo da sposa”, che ondeggia a destra e sinistra a seconda di come la spinge il vento. Curioso. Le rocce che si tingono d’ocra quando toccate dal sole poi, incorniciano la scena in modo ancor piu’ pregiato. Avanti ancora, si segue il corso dello Yosemite Creek. Mi porta fino allo Yosemite Village. Qui e’ tutto Yosemite eh, sappiatelo. Se devi cagare cerca uno Yosemite cesso, mentre andrai a cena alla Pizzeria Yosemite. Non dimenticare lo Yosemite Postal Office se devi spedire una cartolina e, senza dubbio, anteponi la parola Yosemite a qualsiasi cosa tu stia cercando, mentre chiedi informazioni! Non sbaglierai mai! Al villaggio, un po’ difficile da esplorare a causa dei sensi unici e delle vie che, qualora scelte male, ti portano a girare per 10 minuti prima di tornare all’incrocio precedente, mi fermo subito alla reception per cercare una sistemazione per le 2 notti previste. Avevo gia’ deciso a Zion che non avrei piu’ dormito in tenda. In piu’, pare che qui il pericolo-orsi sia particolarmente sentito, soprattutto in questo periodo, quando i plantigradi sono attivissimi nel procacciarsi scorte di cibo prima dell’inverno. Trovo disponibilita’ di tent-cabins, e me ne aggiudico una. Altro non si tratta che di tende grosse, piu’ resistenti, con due letti, due sedie, un armadietto e una cassaforte automatizzata per i valori. Fra tutte le cose che si trovano solitamente in una camera da letto avrei preferito che so, una doccia, ma gli astuti progettatori l’hanno voluta cosi’. Mah, avra’ il suo perche’, mi liquido tra me e me. Non faccio a tempo a vederla (non sono nemmeno le tre, stanno ancora rassettando le camere) quindi torno piu’ giu’ nella valle e cammino un po’ il circondario. Ebbene, vagando nel mezzzo della valle, lungo il corso del torrente, tra erba alta, acqua, occasionali alberi alti e scuri, e montagne torreggianti ai lati, mi sento quasi in Alaska. E’ l’immagine che ho di una valle che sta per sboccare sul mare, con i grizzly che rovistano il terreno sabbioso alla ricerca di mitili e i salmoni che saltano qua e la nell’acqua. Peccato che qui non sono in Alaska, non solo per il terreno, per l’assenza di grizzly ma anche perche’, stranamente, e’ ottobre e me ne sto beatamente in maniche corte, contemplando l’idea di un tuffo nelle acque del torrente (cosa che escludo minuti dopo quando vedo un cartello che sottolinea “Vietato tuffarsi in acqua”). Beh ragazzi, mi sento un vecchiotto. Un pensionato. Cammino senza pressioni, senza fretta alcuna, con il solo spirito di uno che vuole farsi due passi tranquilli e assaporare il clima del parco. E’ uno di quei momenti in cui dici, ad alta voce, “si sta da Dio!”. Raggiungo le Yosemite Falls, che seppur notevolmente ridotte di portata – stanno quasi per prosciugarsi – sono pur sempre le piu’ alte cascate del Nord America, con i loro 739 metri d’altezza. Aggiungo un altro “piu’ grande del” nel mio viaggio! Le cascate, qui nel parco, sono uno dei tratti distintivi. Ve ne sono un sacco. Il fatto e’ che sono vere e proprie cascate solo in determinati periodi dell’anno, e ottobre e’ uno dei peggiori. Piove poco, la neve si e’ gia’ sciolta e dunque dai ghiacciai piu’ alti non scende nulla. Le cascate piu’ grandi riducono del 90% la loro portata, le piu’ piccole o meno alimentate, si prosciugano del tutto. Magro bottino quindi per chi, come me, si trova qui in questi giorni. Tornero’ anche qui, mi dico. Bisogna sempre, sempre cercare di non farsi abbattere, e vedere il bicchiere mezzo pieno. Do un occhio alle Falls che pero’ non si vedono granche’. Essendo divise in tre parti – Upper, Mid, Lower – riesco solo a vedere le Upper e parte delle Lower. E per oggi non ho la minima idea di partire e fare 6-8 km per raggiungere ciascuna delle tre parti. Rimando, forse, a domani. Tornando indietro seguo un sentiero a bordo strada, che e’ a tratti immerso nel bosco, dove mi imbatto all’improvviso in un deer, un cerbiatto, a pochi metri di distanza. Hehe. Un po’ di spavento per la fulmineita’ dell’incontro, tutto qua. Tornato alla macchina, pianifico la fine del pomeriggio: camminata a Nevada & Vernal Falls, doccia, cena, sonno. Very easy. E guidando verso la trailhead, un altro piccolo imprevisto animale: incontro un coyote a bordo strada, immobile su un piccolo spiazzo. Accosto, con l’ennesima manovra da italiano all’estero (maledetto DNA stradale), lasciando la macchina piu’ in corsia che fuori, per fotografare l’animale. Ne ho visti parecchi di coyote in giro per gli USA, ho un occhio particolarmente allenato nello scovarli e mi seguono spesso nei miei viaggi, devo esserci legato in qualche modo credo. Ho vissuto attimi in cui son stato virtualmente accerchiato da 3-4 coyote nel parco di Yellowstone, situazione che poteva diventare poco piacevole. Eppure, non avevo mai visto un coyote cosi’ temerario, cosi’leggero rispetto alla presenza umana – in macchina per giunta. Cosi’ apro leggermente il finestrino – non vorrei trovarmi un nemico a quattro zampe in macchina! – e scatto qualche foto al’animale, che giace fermo li’, immobile, occhi azzurri fissi su di me a mendicare del cibo. Il problema qui l’abbiamo creato noi: stupidi esseri umani che per il proprio divertimento ed intrattenimento sfamano bestie selvatiche potenzialmente pericolose. E cosi’, i cervi si avvicinano sempre piu’, gli orsi neri aspettano su due zampe come a ricevere l’elemosina, e i coyote non fuggono ma aspettano a bordo strada seguendo le macchine. E prima o poi, qualcuno rimane incornato da un cervo, sbranato da un orso, o morso da un coyote. Ah si, e spesso e volentieri morso da un “tenero, innocente” scoiattolo. Sto cazzo! Ma la cosa piu’ brutta, tenetelo a mente, e’ che molto piu’ spesso a pagarne le conseguenze sono loro, gli animali. Gli orsi abituati all’uomo vengono trasferiti o, meglio, uccisi. Possono diventare troppo confidenti dunque estremamente pericolosi. Dobbiamo rendercene conto, e imparare questa lezione: se DAVVERO vogliamo bene agli animali, dobbiamo star loro il piu’ distante possibile. Dobbiamo imparare a fidarci della natura, lasciare che essa faccia il suo corso, e solo cosi’ potremo continuare a vedere branchi di cervi indomiti al pascolo, orsi neri che cacciano nei boschi e cercano radici, e coyote che all’avvicinarsi di un essere umano, se la danno a gambe. Giusto, il coyote. Sono tutto intento a cercare di ottenere una foto decente quando sento il solito, ormai familiare clacson che suona in continuazione contro di me. Mi giro e vedo un paio di macchina che passano con i rispettivi conducenti che mi mandano al mio paese – dove in effetti sarebbe giusto che stessi, se continuo cosi’. Soprassiedo anche da quest’impresa e continuo il mio tour. Arrivo alla fine al parcheggio della pista che porta prima a Nevada Falls e poi a Vernal Falls. Ci sono ancora tre ore di luce, piu’ o meno, ed io, ricalcolando i tempi, immagino di poter fare l’intero anello nel giro di un ora e mezza o due ore. Parto speranzoso. In realta’ le mie speranze si smontano dopo pochi minuti. Vedo solo gente che torna, mentre io sono l’unico che sale. La cosa mi mette non solo in soggezione, ma mi preoccupa pure un po’. La zona infatti e’ quello che e’ in quanto a presenza di orsi, e sebbene credo di conoscere abbastanza su di essi, so anche che e’ meglio prevenire che curare! Inoltre, non vorrei mai dovermi ritrovare in condizioni di luce sempre inferiore, per non dire di oscurita’, di ritorno su questa pista. Vado avanti solo fino a quando trovo gente sul sentiero, sul ponte che marca il “quasi” arrivo a Nevada Falls. Lo spettacolo poi non e’ nemmeno cosi’ travolgente. Una cascata in lontananza, circondata dagli alberi e con delle montagne sullo sfondo. Ne ho visti di migliori, di posti. Un po’ deluso, molto piu’ invece preso dalla preoccupazione, decido di tornare. Non so, mi sento un imbecille in questi momenti. So che non ho troppo di cui temere, so che non sono in zone di guerra, che non ci sono grizzly o rapinatori armati fino ai denti. Eppure basta il sapere che esistono delle bestie che potrebbero ferirti o addirittura ucciderti, anche se non lo fanno sistematicamente, o sapere che la luce del giorno finira’ tra non molto, o sapere che non c’e’ tanta altra gente in giro, che sei piu’ solo di altri, che le mie sicurezze crollano. Credo sia normale, per carita’. Ma vorrei riuscire ad oltrepassare questo limite. Io lo vedo come un limite, mi previene dal fare molte cose che vorrei fare. Camminare in certi posti, a certe ore, anche quando sono solo. Tutto sommato pero’, credo sia una scelta spesso saggia, una scelta che magari, potrebbe aiutarmi a prevenire qualche fattaccio. Va bene cosi’, mi liquido ancora. Scendo ad un passo che per me e’ normale, ma che brucia gli altri turisti, tant’e’ che mi trovo a superare gente che avevo incontrato tempo fa a meta’ percorso, che stavnao gia’ scendendo. Che storie. Arrivo alla macchina e, tranquillizzato, decido che e’ giunto il momento di tornare al Village. Parcheggio la macchina vicino alla mia tent, di modo da non dover macinare miglia nei miei soliti viaggi da tenda a macchina per: “Ah, la valigia!”, “Cazzo, ho lasciato dentro il sacco a pelo!”, oppure “Va in culo, ho lo spazzolino nel bagagliaio!”. Sistematomi, mi riposo un po’ adagiandomi sul comodo letto, guardando qualche foto e leggendo un po’ il libro comprato ieri. Poi, pianifico il prossimo giorno. Domani, esplorero’ Tuolumne Meadows, un posto che per quanto ne so io, puo’ essere il piu’ bello del parco. Superero’ i 2500 metri di quota, girero’ in macchina posti magnifici, vallate mozzafiato, e sono speranzoso sul riuscire a fare tre camminate verso laghi, dome e qualche bel bosco. Spero anche di trovare qualcuno lungo il sentiero, non mi va l’idea di rimanere da solo ore in valli del genere. A little bit risky. Anche se a volte, tutto sommato, il pericolo e’ il mio mestiere! Per stasera invece mi accontento di una sostanziosa cenetta, ancora non so dove. Esco ad esplorare il villaggio by night e le opportunita’ mangerecce che esso offre. Di sicuro non andro’ alla Lodge, primo perche’ so gia’ i piatti che offrirebbe – sempre quelli e sempre costosi – secondo perche’ dovrei prendere la macchina e conseguentemente, perdere l’ottimo posto che invece ho trovato in parcheggio. Mi infilo la mia fida torcia da esploratore (o minatore) in tasca ed esco. Vedo gente che porta i suoi effetti in tenda, altra gente che torna da una camminata, altri ancora che, come me, si recano a mangiare. Io, dopo un veloce esame delle opzioni presenti, scarto il supermercato, la pizzeria, e il chiosco dei burgers e scelgo invece il buffet. E’ la prima volta che mangio a buffet negli USA, e sinceramente sono molto scettico sulla qualita’ di cio’ che mangero’. Non so perche’ ma ho in mente la mensa della scuola dei Simpson. Invece, pagati i 16$ di ammissione, mi si spalanca dinanzi uno splendido AYCA (all you can eat) che va dagli antipasti ai dolci, bibite incluse ovviamente. Non ci vedo piu’. Dopo essermi scelto il posto, mi munisco di piatti e inizio a balzare da questo a quel posto per prendere qualsiasi cosa sia di mio gradimento. Riempio 3 piatti di roba in men che non si dica, uno dei quali con una pasta di mia creazione. Prendo la pasta al naturale che i cuochi hanno preparato, la adagio sul piatto e la cospargo di una generosa dose di marinara sauce. Poi, afferro una mastodontica cucchiaiata di formaggio cheddar gia’ tagliuzzato e la getto sopra la salsa, di modo che si fonda piano piano. Il risultato e’ ottimo. Ero dubbioso anche sulla pasta NON cucinata da me negli USA, ma mi sono ricreduto. Anzi, sono veramente contento. Il fatto poi di potersi alzare a piacimento a prendere dolci, o passare dalla lemonade alla coca-cola, o a tutte e due insieme, quello mi rende felice come un bambino! Sembro una mosca che gira di merda in merda (paragone non lusinghiero ma, per dover di cronaca, da citare in quanto rende l’idea). Alla fine del lauto banchetto, scrivo qualche nota alla giornata ed esco dalla sala. Una sala peraltro bella, invernale, tutta fatta di legno, con un ampio caminetto a legna e le pareti ornate da cimeli d’altri tempi e da foto di nativi americani. L’ambiente e’ certo suggestivo. Fuori, la musica cambia. Mi accendo la torcia e la sistemo in testa. Fa freddino, e accelero il passo di modo da non dovermi bloccare la digestione per far due metri fino alla tenda. L’attivita’ della gente e’ volta ormai al prepararsi per la notte: si va al bagno, si portano via le ultime cose dalla macchina, si mettono al sicuro gli oggetti odorosi nei bear lockers. Ebbene, dopo essermi lavato i denti, faccio anch’io la stessa cosa. Prendo il mio beauty con dentifricio, sapone e deodorante, e i miei profumatissimi chewingum, li metto in una borsetta di plastica e li sistemo dentro il contenitore antiorso, una specie di cassonetto di un metro e mezzo x uno con un sistema di apertura che solo un essere umano puo’ sfruttare. Bisogna inserire le dita dentro una fessura e portare una leva verso l’interno, cosa che ovviamente un orso non riesce a fare. Almeno per ora. Chiudo il cassonetto con un potente calcio – forse troppo potente perche’ faccio un rumore che spacca i timpani – e mi rinchiudo in tenda. Chissa’ come sara’ la notte, se confortevole, se fredda, se in apprensione. Io ho sempre il mio coltellino svizzero aperto al mio fianco, non si puo’ mai sapere. E ripenso al problema degli orsi. In macchina non ho nulla, quindi almeno quella dovrebbe essere al sicuro. Non ho lasciato zaini o contenitori che rassomigliano fonti di cibo, quindi nessun plantigrado dovrebbe interessarsi alla mia vettura. Neppure in tenda ho lasciato nulla, ovviamente. Dovrei essere decisamente al sicuro. Ma mi addormento comunque con la speranza che qualche ignorante al campeggio abbia lasciato gli avanzi del suo BBQ davanti all’entrata della tenda. Cosi’ gli orsi non verranno a rompere le palle a me o alla mia macchina.

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