martedì 29 novembre 2011
Giocare a tetris (con le cose da mettere in valigia) - pt.2
Per scacciare i cattivi pensieri degli ennesimi dieci dollari buttati nel cesso, di una spiaggia presunta stupenda ma lontana dalle parole spese, mi faccio tentare. Da cosa?! Hehe.. Cammino di fronte al grill della spiaggia, quello dei “world famous” Jalama Burger. Ho in mente di provare l’impresa, di cimentarmi ufficialmente con il mio primo burger da 1 pound. Un pound corrisponde a circa 450 grammi. Non sembra molto vero? A dire il vero, non e’ molto sul serio! Cosa sono 450 grammi di cibo? Suvvia, poca roba! Un chilo e’ tanto, e suona possente, fa paura dirlo. E per lo stesso motivo, anche un pound suona come tanta roba. Quando in realta’ non lo e’. Cosi’ mi motivo per affrontare la sfida, di proporzioni accettabili ripensando a qualche allegra mangiata a base di hamburger di 600 grammi fatta in estate. 600 grammi di sola carne, pero’! Al bancone, faccio sfilare i pivellini (“Delle patate fritte grazie!”, “un Cheeseburger!”, “Un hamburger con bacon e doppio formaggio!”) e quando tocca a me dico “Uno Jalama Burger. Senza lettuce, pero’!”. Il padrone del posto, un vecchietto robusto e gioviale, come un po’ tutti i vecchietti americani, mi guarda strabuzzando gli occhi e mi dice “Are you sure?! It’s a big, BIG BURGER!”. Gli mostro di stare completamente al gioco. “Yes, I know, but not enough I guess!”. La sua espressione cambia e pare dirmi “Ok, ho capito che tipo sei”, e segna l’ordinazione. Mi augura buon appetito, ed io salgo le scale per sedermi al tavolo. Cinque minuti, ed ecco il burger. Stilisticamente e’ da 10+, come il famoso pollo della pubblicita’. Ci sono 3 patties di carne, 3 fette di 3 formaggi diversi, 3 strati di bacon, e salsa a volonta’. Ah, e la cipolla! Al gusto, passa la prova ad ampissimi voti. E’ una delizia, ed anche se non ho cosi’ fame (ricordate le ciambelle? Anche li’, per inciso, non avevo fame. Container di merda che non sono altro) lo ingurgito avidamente. Una volta finito – si, l’ho spazzolato tutto – passo al voto quantita’: 5. Scopro che 1 pound di panino e’ benissimo alla mia portata. Cosi’, la prossima volta, la sfida la lancero’ ad un panino di 2 pound. No un attimo, proviamo 1 pound e mezzo. Non vorrei dover digiunare per 2 settimane per avere qualche chance di sconfiggere quello da 2! Esco dal bar fra gli applausi degli avventori e torno alla macchina. Mi spiace, ma non voglio piu’ saperne di stare in questa fornace a girarmi i pollici. Guidero’ a sud, fino a quando non trovero’ un posticino discreto, dove potermi comodamente mettere in motel a riordinare le valigie. Mi correggo: riordinare presuppone ordine pregresso. Cio’ e’ falso per le mie valigie, quindi direi piu’ “creare”, le mie valigie. Ecco. Ripercorrendo la tortuosa strada collinare fatta all’andata, trovo diverse occasioni per fermarmi a fotografare svariati rapaci in volo. Uno, stupendo, vola a circa una quindicina-ventina di metri al massimo sopra la mia testa (mi e’ difficile calcolare questo tipo di distanze, ma ritengo la stima piuttosto verosimile). Per ghermirlo, parcheggio la macchina in una posizione diciamo “difficile”. Per rendere l’idea, immaginate la curva di un circuito di Indy Car americano: 180 gradi, inclinata sempre piu’ mano a mano che si sale verso l’esterno della pista. La curva dove parcheggio io pero’ non e’ fatta di cemento bensi’ di sabbia e la cosa rende la stabilita’ meno certa. Inoltre, lo spazio e’ comunque ristretto ed invado con parte della macchina la carreggiata. Un must, oramai. Colgo qualche ottimo scatto, tra gli sguardi stupiti dei passanti – si chiederanno che diavolo stara’ fotografando questo qua per essersi messo cosi’! Sulla scia di questa piccola, temporanea felicita’ penso a rimediare ad un’altro piccolo inconveniente: ho ancora la tenda semiaperta dall’ultima volta che l’ho utilizzata (una settimana fa!) e sarebbe opportuno metterla via degnamente. Lo faccio – scelgo delle location impeccabili – davanti al cancello d’entrata di un pascolo per bovini, a pochi metri da grosse macchie marroni scure su cui preferisco non concentrarmi. Purtroppo, mi discolpo fra me e me, e’ l’unico spiazzo abbastanza grande lungo la strada per ospitare la mia tenda. Non ho di certo intenzione di mettermi a chiuderla nel parcheggio del motel! Ci metto solo pochi minuti, mi libero della tenda, delle mosche accorse e dell’odore non da profmeria e riprendo la mia strada. E’ presto, potrei fermarmi da qualche parte. Consulto alla mia solita maniera – pericolosa, non avendo alcun aiuto esterno – la mappa mentre guido, ed individuo un possibile punto d’interesse in Santa Barbara. Qui le localita’ hanno sempre San o Santa davanti al nome: Santa Barbara, Santa Monica, San Diego, San Buenaventura, San Bernardino, Santa Paula, Santa Ana, San Fernando, Santa Maria, Santa Ynez, San Clemente, San Marcos, Santa Clarita tanto per citarne alcuni. Ci fai un rosario, con i nomi delle citta’ del Sud della California. E non li ho detti tutti, solo alcuni tra i piu’ rilevanti. Vai sicuro che se chiedi indicazioni e sagli santo, finisci due o trecento miglia piu’ in la’! Ad ogni modo, giungo a Santa Barbara dove mi trovo involontariamente a partecipare al solito, triste gioco delle uscite della highway: ci sono 8 uscite, quale vuoi? E io: che diamine ne so? Me ne sia data una a caso, invoco! Ma il lume della ragione agisce prima della mia dabbenaggine e questa volta aspetto giustamente di imbattermi nell’uscita “downtown”. Dopo un paio di buchi nell’acqua riesco anche a trovare spazio in un parcheggio gratuito per 2 ore. Fantastico, non avrei potuto chiedere di meglio. Per quanto mi concerne, Santa Barbara non e’ certo una miniera d’attrazioni o un posto che potrebbe colpirmi al punto di decidere di passar qui la notte. Mi sembra solo e soltanto un posto da fighetti cagoni e con le tasche piene di grana. In effetti, dopo qualche passo sulla Main, scopro che non mi sbagliavo affatto. La citta’ non e’ nemmeno cosi’ male, anzi, sembra carina, simpatica, sempre in movimento. Influenza spagnola nelle costruzioni, basse e di color giallo quasi ovunque, palme anch’esse quasi ovunque e belle piazzette con panche in legno, fontane, ombra. L’atmosfera e’ gradevolissima. Le persone pero’, turisti a parte, mi ricordano le parole dell’amico di giornata Brent, che mi defini’ la citta’ come “expensive”. E chi puo’ permettersi di vivere in una citta’ expensive?! Ovvio, chi ha la grana. The dough. E la gente che cammina, tanti giovani anche, lo fanno trasparire senza remore. Tirati come la corda di un arco – l’effetto sulle tipe non e’ affatto deprecabile, anzi! – ricreano l’atmosfera del sabato pomeriggio in centro, solo che qui e’ venerdi’ e sono circa le 15. Mi faccio un giro sulla Main, metto il naso nei tantissimi negozi di souvenir e ancor piu’ nei locali che offrono cibo (ancora?!) ma non altro. L’atmosfera, per quel che ho fatto in questi giorni e per come sono conciato (da turista che viene da una spiaggia) mi mette un po’ a disagio. Non fa per me, questa dose di mondanita’ pura iniettata cosi’ di colpo ad un country boy. Proprio no. Qualcuno si offre di soccorrermi in questo breve momento di sconforto: e’ sempre lui, Coldstone, che mi alletta con un Gotta Have It! alla vaniglia a cui io non oppongo resistenza, per non offendere. Al tavolo, seduto a divorare i 600 ml e oltre di milkshake, ripenso a tante cose: alle cose esteriori, alle false impressioni, alla pochezza di certa gente, alla consistenza o meno di certe filosofie di pensiero. Penso alla bellezza di molte ragazze che ho visto qui. In effetti, potrei quasi affermare di averne viste piu’ a Santa Barbara che in tutto il resto del viaggio. Ovvio che Zion non e’ famoso per ospitare contest sulla ragazza piu’ carina dello Utah, pero’.. un po’ fa specie. Penso alle parole del mio vecchio amico Gretto, ai discorsi su sfighe generazionai varie ed eventuali e.. eh si, gli do proprio ragione! Questa e’ una citta’ collegiale probabilmente – vedo tanti gruppetti di giovani che camminano zaino in spalla per le vie – ma credo proprio che avendo vissuto in certe altre parti del mondo, in certi altri momenti, ce la saremmo spassata molto di piu’! Buon Gretto, sfiga generazionale si, ma anche geografica!! Quando gli zuccheri iniziano ad addolcire i miei pensieri, e a contribuire a dissipare cupi ragionamenti, decido di tornare in movimento, finire il mio piccolo giro in citta’ e riprendere la macchina. Le contigenze d’orario mi fanno fermare a Ventura, localita’ qualunque in riva al mare che pero’ sembra avere una nutrita schiera di motels. Bestemmio per una quindicina di minuti per trovare l’uscita giusta. Quella delle uscite dalle highway, ve lo dico, e’ una piaga. Se non sei munito di esatti riferimenti, di un numero, di una mappa seria, sei fregato. Soprattutto se non hai la minima idea dell’obiettivo da raggiungere. Questa e’ proprio la mia situazione, e si vede: passo i quindici minuti ad uscire, rientrare, riuscire alla stessa uscita ma dall’altro lato della strada, rientrare, provare una seconda uscita, girare il quartiere e finalmente, esalando l’ultima imprecazione, trovare un motel. Sono talmente provato da questa sfida stradale che accetto la camera propostami al prezzo propostomi. Accetto, stavolta non senza mostrare palesemente il mio dissenso, un prezzo di 3$ per l’uso del wi-fi. Purtroppo ho intenzione di girovagare nell’internet qualora finissi a tempo di record con le mie valigie, dunque pago (per la prima e ultima volta, un wi-fi) e mi rintano in camera. Solo dopo aver fatto i soliti 4-5-6 viaggi della disperazione, tra macchina e camera, portando oggetti di qualsiasi fattura, peso e colore. Sono i miei innumerevoli effetti, che dovro’ far entrare in valigia. Comincio con una bella, tonificante doccia. Poi, accendo il pc, ci attacco l’ipod e metto su una colonna sonora adeguata. Per l’impresa dovrebbe essere qualcosa come la colonna sonora della serie Rocky Balboa, ma opto per cose un po’ piu’ soft. Detergenza ok, musica ok, abbigliamento ok.. manca solo una cosa: da bere. Sono privo di qualsiasi forma di liquido che non sia l’acqua che esce dal rubinetto. Ma, e qui mi gioco l’asso, ho un Denny’s giusto dalla parte opposta della strada. Non devo pensare molto per ritrovarmi in infradito ad attraversare la pericolosa strada di fronte. Sono incorreggibile: d’altronde, era quasi scontato che la mia avventura volgesse al termine li’ dove era iniziata quindici giorni prima. In un Denny’s, a gustarsi un hamburger da favola. Entrato, ordino una coca cola e astutamente la chiedo gia’ munita di refill (secondo bicchiere, gratuito). Il cameriere mi guarda un po’ strano e mi dice “Ok, te ne do due”. Captando odore di truffa specifico “Si, ma sotto forma di refill!”. Alla mia seconda obiezione, il cameriere scuote la testa come a dire “ Questo e’ ubriaco”, e alla fine digita qualcosa sulla macchina di cassa, mi porta due grossi bicchieri pieni di ghiaccio e cola, due cannucce e mi porge lo scontrino. Totale: 1.99$. Sono – non so perche’ – felicissimo. Torno al motel con due missili sottomarini pieni di fresca, dissetante coca cola per aiutarmi a smaltire le prossime ore di fatiche. E comincio il mio duro lavoro. Fra vestiti, biancheria sporca, libri, cianfrusaglie varie, cappelli, scarpe, mappe e qualsiasi altra cosa abbia trovato in macchina, quest’operazione mastodontica di pulizia dura quasi 3 ore. 3 ORE! Ok, so che ora starete ridendo di me ma.. io preferisco fare con calma, ponderare sulla strategia migliore. E infatti, riesco a portare a casa comodamente in valigia anche la mia vecchia Wenzy, la tenda che mi ha ospitato per 4 notti negli altopiani del Sud. Sono orgoglioso di tutto cio’, e vado a riposare contento, con il letto – almeno per una volta – sgombro da qualsiasi cosa. Domani sara’ il mio ultimo giorno negli USA. La tristezza dell’imminente ritorno si scontra con la gioia per l’aver vissuto questi giorni stupendi, indimenticabili. Iniziano gia’ a tornare alla mente ricordi di luoghi e persone che hanno caratterizzato questo mio straordinario soggiorno, che certo mai scordero’. Ma non ho ancora messo il punto su questo viaggio, devo ancora scrivere l’ultima parola. L’ultima, infatti, si chiamera’ “Los Angeles”, anche se cio’ un po’ mi preoccupa.
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