mercoledì 23 novembre 2011

"..Cruising down Big Sur.." - pt.1

Sono negli Stati Uniti d’America, dunque appena suona la sveglia, mi alzo e finisco la lattina di coca cola acquistata ieri notte in corridoio durante un tremendo attacco di sete. Stupida zuppa di molluschi, sarai anche buona ma fai venire piu’ sete della piu’ piccante delle pizze. Poi svegliarsi alle 7 e bere coca cola, ve lo posso assicurare, non e’ il massimo. E detto da me, abituato a qualsiasi (o quasi) brutalita’ culinaria, la cosa rende. Questo risveglio frizzante anche se un po’ sgasato mi appronta per la giornata, e dopo aver riordinato tutto sono deciso ad uscire fuori dall’hotel, effetti essenziali alla mano, per fare colazione. Faccio per aprire la porta, cappellino in testa e occhiali da sole gia’ infilati – auspicante una lunga giornata di sole per la mia avventura on the road giu’ nel Big Sur – ma anziche’ i raggi del sole trovo ad accogliermi na acqua che Dio a manda. Passatemi l’espressione dialettale, ma necessaria. Colto di sorpresa, mi avvio mestamente dietro l’angolo, quartiere malfamato, ed entro in un bieco localino messicano che ha appena aperto. Anzi, ad onor del vero sta aprendo, perche’ lo colgo mentre sta sistemando gli ultimi tavoli e accendendo le luci. Inaguro la sua spoglia giornata lavorativa. Per colazione desidero una tortillas con mexican beans, egg and cheddar cheese, piu’ breakfast potatoes come contorno. Da bere, ispirato dal clima, una cioccolata calda. Posto pietoso, colazione appena sufficiente, giornata che se inizia cosi’ passera’ agli annali come una delle peggiori delle mie vacanze. Mentre esco dal locale, come nel cartone di Robin Hood quando arrestano il povero Frate Tuck, scende una pioggia battente. Stavolta sopra il cappellino alzo anche il cappuccio della felpa e, come un criminale dei peggiori ghetti di Chicago, torno scuro verso l’hotel. In poco tempo sono pronto per partire, per lasciare questa citta’ avara e puntare altrove. Carico le valigie in macchina e parto, maledicendo per un ultima volta San Francisco. Di sicuro non la recensiro’ e pubblicizzero’ come la citta’ amabile, carina e pittoresca che tutti pensano e descrivono. Il fatto e’, purtroppo, che non e’ ancora finita. Mi viene dato un altro motivo per odiare questo posto: le sue stramaledette strade che vietano di svoltare in uno dei due sensi di marcia. Lungo una delle tante vie del reticolato cittadino in cui mi ritrovo a guidare, molto vicino al’entrata della freeway che devo prendere, mi trovo sommerso da cartelli “NO TURNS” che mi impediscono di prenderla. E avanti uno, due, tre, quattro incroci.. nessuno che mi faccia svoltare a sinistra, il lato dove devo girare ed il lato, fatalita’, proibito. Mi domando: come diavolo faccio ad entrare in autostrada? Mi ci devo teletrasportare forse? Sono forse i cittadini di San Francisco muniti della tecnologia – il teletrasporto – che tutto il mondo vorrebbe possedere? Ne dubito, ed intravedo una soluzione grazie ad una macchina che mi sta di fronte. Infischiandosene bellamente del divieto posto sopra la corsia piu’ verso sinistra, mette la freccia e svolta. Oppresso, stanco, incazzato gia’ all 8 del mattino, lo imito in barba alle possibili conseguenze. Potrei far cambiare idea anche ad un vigile, ora come ora. Salgo sulla 101 e guido verso Sud, direction Los Angeles. La 101, One-O-One, come dicono qui. Quella della canzone “California”, che canta “..driving down the One-O-One..”, proprio come faccio io. Oh, mi piace troppo fare qualcosa che ogni tanto mi capita di canticchiare! E’ una bella sensazione! E con questo stato d’animo idiota, continuo a macinare miglia. Purtroppo, visto il tempo crudele, non posso far altro che volare basso in quanto ad obiettivi di giornata, e cio’ che di piu’ alto posso pormi e’ di visitare il famoso acquario di Monterey. Famos, si, almeno per chi si interessa abbastanza di Stati Uniti e segue NatGeo channel. Diciamo che non e’ molto noto al di fuori della propria nazione. Forse ne capisco il perche’, mentre lo visito. Nonostante il biglietto esoso – 29$, sui quali ottengo un gentile sconto “in fiducia” di 2$ quando dico di essere studente ma senza mostrare alcun documento! – l’acquario non regala molto. O almeno, non regala molto d piu’ degli acquari che ho gia’ visto, ad esempio, a Vancouver o a Denver. Vado sempre a vedere degli acquari, quando posso! I pesci sono una mia passione. Se devo essere onesto, vi diro’, Vancouver rimane ancora il migliore, fra i tre. Monterey e’ comunque notevole, ha tutti i grossi pesci che un grosso acquario deve annoverare, ed addirittura proclama una vasca con il mitico squalo bianco. Appena vedo il cartello vado in brodo di giuggiole. Non vedevo l’ora di vederne uno dal vivo. Vengo pero’ presto smontato, quando nella penombra creata di fronte alla vasca intravedo la creatura nuotare lentamente in acqua. Sara’ un’esemplare di due metri se tutto va bene. Che fregatura, non lo chiamerei neanche squalo bianco. Tutto questo puzza da fregatura, tecnicamente regolare ma comunque fregatura. Cioe’, c’e’ un pesce luna affianco allo squalo che e’ piu’ grande di lui tra un po’! Lascio perdere, e procedo innanzi. Passo veloce le varie stanze, al solito non filo di striscio nessuna delle didascalie esplicative sotto ogni vasca, facendo il turista ignorante e solo osservante. Esco ed al posto della pioggia trovo una bella aria frizzante ed un sole promettente. Felice, esploro quella che sembra una bella stradina vivace, Cannery Rd. Mi imbatto, lungo questa strada che vive sulle spalle degli afflussi turistici al’acquario, in una vecchia conoscenza di Denver, il “Bubba Gump Shrimp Co.”, catena dove mi sono abbuffato di gamberi lo scorso anno. Visito qualche negozio di souvenirs e infine, con calma olimpica, prendo un cinnamon roll con un’invitante glassa bianca, appena sfornato. Mi viene servito quasi fumante, su un piatto fondo di cartone, con forchetta e coltello. Il cinnamon, bello spesso e consistente, e’ DE-LI-ZIO-SO. Spesso ho argomentato contro queste creazioni dolciarie dal sapore troppo deciso dato dalla canella. Invece, devo ricredermi. E’ stupendo, e me lo godo boccone dopo boccone seduto su una panca esposta al sole. Altro che Red Bull ti mette le ali. Potrebbe scoppiare una bomba a cento metri da me e nemmeno me ne accorgerei, tanto sono concentrato su e deliziato da cio’ che sto mangiando. Ripresomi dallo shock – anzi, finito il roll – mi alzo e in macchina guido per Monterey. Sembra una citta’ assolutamente piacevole, vivibile. Le sue dimensioni ridotte, credo attorno ai 37mila abitanti, l’assenza di grattacieli, l’influenza marcatamente spagnola, ne fanno un centro marittimo molto gradevole, di quelli senza eccessi. C’e’ l’oceano e tutto cio’ che comporta (spiagge, surf, pesca, aria fresca), ma anche tanti spazi verdi verso l’interno ed un’urbanistica senza gli obbrobri architettonici delle grandi citta’. L’atmosfera sembra quasi quella familiare delle cittadine del West. Mi piace, mi piace. E’ un peccato non aver tempo a sufficienza per potersi dire “Ora mi faccio due passi qui attorno”, e godersi la citta’ con i giusti tempi. Mi ritaglio del tempo, invece, non appena vedo un Denny’s. L’appetito non e’ grande, tant’e’ che ho da poco terminato il mio dolce spuntino, ma ragazzi, vedere un Denny’s e’ come vedere.. no, ho in mente una battutaccia sporca che per non rovinare il mio appeal britannico omettero’ di scrivere. Comunque, vedere un Denny’s per me vuol dire che sono gia’ dentro. E cosi’ e’ anche stavolta, non fa eccezione. Passato un balordo che si aggira con aria losca per il parcheggio, in cerca di qualche spicciolo o meglio di qualcuno che si fumi un cannone con lui, entro ed ordino una cosa che avevo assolutamente voglia di assaggiare di nuovo. Una mia vecchia conoscenza, dei tempi gloriosi di Page, AZ (sembrano passati millenni invece era solo una decina di giorni fa! Magia del viaggio). Parlo del Mozzarella Sticks Sandwich. Ne prendo uno, giusto per levarmi quel fastidioso, leggerissimo languorino, ma gia’ che son seduto non vedo perche’ non prendere anche un aperitivo, ovvero delle patatine fritte con bacon e formaggio fuso. Sono ormai, tristemente, ufficialmente, un maiale all’ingrasso. Un pollo ruspante lasciato libero di pascolare in America sotto la tentazione di ogni golosita’. Prima o poi il fattore (colui che lavora nella fattoria) mi accoppera’ e si godra’ le mie ricche carni alla vigilia di Natale. Maledizione. Degusto il mio banchetto, assieme alla solita, generosa lemonade mentre leggo i valori nutrizionali di ognuno dei piatti dei Denny’s, tratti da un menu’ apposito che non avevo mai visto prima. Mi pare citi la parola HEALTHY in copertina. Ma dove? Forse davanti c’era scritto anche THAT’S NOT ma non ci metterei la mano sul fuoco. Chissa’. Fattosta’ che non vi diro’ nulla a proposito, primo perche’ il menu’ e’ interamente scaricabile dal sito del franchising, secondo perche’ vi verrebbe la pelle d’oca e mi dareste un’aspettativa di vita piuttosto bassa! Su quest’ultima, spero vi sbaglierete! Colto da improvvisa, lancinante pienezza di stomaco, lascio il locale, passo di nuovo il balordo, faccio un po’ di benzina e parto, stavolta senza piu’ stop fino a San Luis Obispo, una cittadina di media grandezza senza infamia senza lode, che per me segnera’ la fine del Big Sur. Eccolo qui, il Big Sur. Questo e’ cio’ che sto andando a vedere. Ne ho sentito parlare molto bene: selvaggio, pittoresco, scenico, amabile, incarna l’anima selvaggia della California pur non tralasciandone tratti caratteristici come sabbia, oceano e surf. Il Big Sur e’ una regione prevalentemente montuosa, dove l’interno e’ selvaggio tanto da ospitare (ancor’oggi) al suo interno i puma e le aquile che da queste parti stavano invece seguendo il cammino dell’orso grizzly, visto per l’ultima volta ben piu’ di un secolo fa. La vicinanza dell’oceano e delle sue correnti fa si che bassissime nuvole semi-perenni offoschino di continuo le cime dei rilievi montuosi della regione, non molto alti ma estremamente belli e rigogliosi in quanto a vegetazione. La strada che permette di assaporare al meglio questi posti e’ la California 1, un simbolo, lo fa pensare anche il nome. La numero uno. Serpeggia fra spiagge da film, scogliere a picco sull’oceano, altipiani rigogliosi e foreste incantate. Insomma, pare proprio sia uno spettacolo imperdibile, e conscio di cio’ imbocco la 1, speranzoso. Sono solo – che dico “solo”, decisamente! – triste per il fatto che il tempo non sia dalla mia. Il poco sole comparso in precedenza e’ tornato dietro ad un fitto strato di nubi, addirittura seguito da qualche leggera pioggia. Mi viene male al pensiero di guidare una regione mozzafiato come questa circondato da banchi di nubi e con la continua seccatura della pioggia. Il morale scende a picco. Sono combattuto quando mi fermo alla prima piazzola che incontro sulla via. Scendo per ammirare un paesaggio che definisco “primordiale”, in quanto composto da una fitta foresta di alberi tetri, scuri, con quella specie di muschio, lichene, color verde chiaro, che penzola da qualsiasi ramo. Questi alberi, che fanno molto atmosfera Jurassic Park, o per stare ai giorni nostri, mi ricordano molto il Nord Ovest (l’Olympic National Forest), crescono su ripide scogliere di colori che vanno dal rosso all’ocra, per gettarsi sull’oceano che ora e’ ancora scuro, minaccioso, possente. Continuo a guidare, sono appena all’inizio, prima o poi se Dio vuole un po’ di sole mi aiutera’. Non tarda troppo ad avverarsi questo mio sogno. Mr. Sun si rivela in tutta la sua possenza, per non lasciarmi piu’ fino alla fine della giornata, fino al calar delle tenebre. Le nuvole d’ora in poi, nemmeno tante a dire il vero, serviranno solo a rendere il cielo ancor piu’ scenografico nelle mie fotografie. Ed ora che inizio finalmente a godermi la guida, ora che con il sorriso stampato in volto ascolto e canticchio qualche bella canzone country, posso capire a fondo la bellezza di questa splendida regione. Voglio provare – anche se e’ la missione e’ difficile – a descrivere un po’ di questa bellezza. Anzitutto, l’oceano. Con le sue onde, bianche, spumose e apparentemente enormi anche se spira solo una leggera brezza. Appunto, la brezza, che rende l’aria piacevolmente fresca e profumata, un profumo che risveglia il mio spirito marinaro. Il mio pensiero vola quindi a qualche astratta considerazione suggeritami dal mio fissare l’acqua, per qualche minuto. Penso che l’oceano, questa tremenda forza della natura, sia una cosa alquanto temibile. Puo’ distruggere, persino uccidere, creare catastrofi. Spesso pero’, per fortuna, ammalia le persone, le fa innamorare di se’ al punto che alcuni decidono di dedicargli la propria vita. Io sono inspiegabilmente attratto dall’acqua, dal mare, e dall’oceano ancor piu’. Sottolineo la parola “inspiegabile”, non c’e’ un motivo preciso per cui uno e’ attratto da esso. Non e’ perche’ a qualcuno piace il colore dell’acqua che si finisce per spendere una vita tra i flutti. Pur affascinato dall’acqua, sono anche il primo a temerla. Di conseguenza, a rispettarla. E alla fin fine, credo che il nocciolo della questione sia questo, il rispetto. Come noi otteniamo amicizia e benevolenza da una persona che ammiriamo e rispettiamo, cosi’ funziona con il mare – e con la natura in genere. Potremmo mai ottenere benevolenza da qualcuno che noi per primi non rispettiamo, tralasciamo o addirittura ignoriamo? Non credo, a meno che non ci troviamo di fronte a dei veri e propri santi. Purtroppo pero’ le forze della natura non sono “sante” e nemmeno “benefattrici”, e se non le rispettiamo e allo stesso tempo temiamo, non ci restituiranno mai nulla. Forse anzi, ci toglieranno qualcosa.

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