giovedì 17 novembre 2011
Manu vs. San Francisco - pt.1
Questa mattina lascio il parco di Yosemite. Con lui, lascio un cielo piuttosto sereno ma andante verso il nuvoloso. E, soprattutto, una sala buffet FAVOLOSA. La portero’ nel cuore, ho idea. Ne tessero’ le lodi. Stamane ad esempio, vi ho fatto la seguente colazione: un ottimo bicchierone di cocoa milk (ho scoperto che cocoa non e’ cocco come io pensavo, bensi’ l’abbreviazione di chocolate), uno di orange juice, poi un pancacke con maple syrup, 2 paste al cinnamon & cheese cream, frutta a volonta’, bacon stripes, 1 sausage patty con gravy, 2 french toast e un gustoso tacos con formaggio, bacon bites e sausage bites. Sono satollo. Ho passato due giorni a digiunare durante le ore dove il sole illumina la terra, e ad ingozzarmi durante le ore di oscurita’. Sono un ciccione. Piu’ che altro, nei buffet, la cosa che ti spinge a dare il massimo e’ il fatto che ormai hai pagato, dunque tanto vale mangiare quanto piu’ si riesce. Un po’ come se da Mediaworld ti dessero qualsiasi cosa con un fisso di 100 euro: voglio vedere se la gente non andrebbe li’ con i camion rimorchi a noleggio! Notizia positiva del giorno, inoltre, e’ l’aver sapientemente evitato i bocia. Sono arrivato mezzora prima del branco selvaggio, quindi ho potuto dedicarmi con cura alla scelta degli alimenti senza dover compiere atti criminosi a danno di minorenni. Ottimo. Prima di andarmene definitivamente, compio un atto caritatevole: separandomi dal mio fido sacco a pelo, entrato in mio possesso appena una dozzina di giorni fa, decido di donarlo al villaggio, di modo che nel caso qualche sprovveduto campeggiatore dovesse averne bisogno, qualcuno sapra’ fornirglielo. Ricevo molti ringraziamenti per il mio gesto, e me ne vado, contento come avessi aiutato una vecchietta ad attraversare la strada (cosa che accade solo nelle storie del Topolino). In macchina, le indicazioni che seguo sono quelle per San Francisco. Il mio viaggio volge alle ultime giornate, ed esse vedranno solo un susseguirsi di citta’, divertimento, movida, anziche’ boschi, deserti e animali come fatto finora. Metto una ventina di dollari nel serbatoio, in uno sperduto villaggetto al di fuori del parco (le pompe di benzina, stupende, sembrano un cimelio di inizio 20esimo secolo!) e mi lancio sulla strada. Impiego circa 4 ore e mezza per giungere a SF. Passo il ponte sulla Oakland Bay – dove mi bombano 4$ per il passaggio (se ogni ponte bomba tutti sti soldi ad ogni macchina, devo prendere in considerazione l’idea di costruirmi un ponte e fare il gestore di ponte come lavoro. Diventerei milionario!) – e stranamente, cartina alla mano nel groviglio di intersezioni della downtown, arrivo subito alla meta che desideravo: il Fisherman’s Wharf. Il Wharf e’ la zona portuale piu’ carina di SF, dove il turista puo’ trovare tutto cio’ che normalmente lo attira: cibo, negozi, tour guidati. Il Pier 39, la zona piu’ centrale del Wharf, e’ un ponte dove sono assiepati come cozze su uno scoglio decine di negozi e ristoranti, per soddisfare ogni esigenza. Il mio scopo per ora e’ quello di trovare un parcheggio e di dedicarmi ad un’esplorazione fancazzistica della zona. Diciamo per un paio d’ore. Poi, passero’ alla mission-accomodation. Aggirandomi nei dintorni del porto, noto un grosso parcheggio con scritto, in carattere ENORME, 2 hours free. Come un allocco, mi ci precipito dentro. Scopro ormai troppo tardi, quando ormai ho un paio di macchine in coda dietro di me, delle scritte in carattere MINUSCOLO che dicono, sotto le 2 hours free, che esse sono valide solo per un certo tipo di pass – pass che ovviamente io non possiedo. Impreco amaramente contro questi maledetti cortigiani e pago i 7$ del parcheggio. Ora, non e’ che abbia pagato 200$, ma le mie lamentele sono una cosa piu’ forte di me. Nel senso: e’ atavico in me il cercare di evitare il piu’ possibile di pagare soldi per parcheggiare. Mi sembra una cosa inconcepibile. Devo dare dei soldi a qualcuno per lasciare ferma una macchina in un suolo che e’ tanto mio quanto tuo?? Non sta al mondo! Ho evitato di pagare soldi per dei parcheggi in centri scozzesi, irlandesi, del colorado, south dakota, utah, italiani ovviamente, e non volevo certo arrendermi ai parcheggi di San Francisco, anche se le grandi citta’ hanno piu’ armi per fregarti. E stavolta, me tapino, hanno vinto loro ed io ho perso miseramente. “C’ho i pugni nelle mani”, direi citando il famoso Rocchio, per descrivere il mio stato d’animo surriscaldato. E mi viene in mente un altra puntata dei Simpson, fonte perenne di ispirazione. Il riferimento e’ all’episodio di Homer contro New York. Ricordate il caro vecchio Homer, irritato al sol sentir nominare la citta’? Memore di scippi, insulti, truffe varie? Bene, io sono su quell’umore li’. Mi sento in collera con le grandi citta’ di tutto il mondo, perche’ alla fine tutto il mondo e’ paese, e non e’ solo SF che mi causa questi attacchi di bile. Mi svago un po’ lungo il Pier 39 – che scopro essere l’unica attrazione non culinaria lungo il Wharf – per un’oretta, decidendo di non intrattenermi oltre per non peggiorare la mia situazione finanziaria versando soldi ai parcheggiatori. Il pier, scopro con stupore, molto piacevole. E’ una trappola per turisti, al solito, ma e’ cammuffata bene, sotto un’etichetta di raffinatezza e perbenaggine. Non e’ uno schifo tipo che so, Deadwood in South Dakota (dal punto di vista dei casino, casino, casino!) o John O’Groats in Scozia (che a parte il nome figo e melodioso – potrei chiamarci mio figlio cosi’ – non e’ affatto una bella citta’), quanto una cosetta ben fatta stile Las Vegas. Ci cammino volentieri, e scopro vari, allettanti negozi tipo un NFL shop immenso, anche se secondo me tarocco. Padroni orientali e assenza di loghi di marche sportive per me equivalgono a merce falsa! Poi, chiosci di cibo di ogni genere, dai corn dog (hot dog fritti dentro una spessa pastella di grano alta mezzo centimetro) alle frittelle, dalle crepes al pesce fritto. Tutta roba super genuina, noterete. Infine, meraviglia delle meraviglie, un negozio di cioccolata che si autocelebra il piu’ grande (o vecchio) del mondo, non ricordo bene. So che si autocelebrano in qualche modo. Non so a che punto siano i rivali, se siano messi meglio o peggio, so solo che entrare in quel negozio fa venire il sangue da naso. Uccide la fauna batterica intestinale. Entri e ti ritrovi immerso in quintali di cioccolato di ogni forma, colore e gradazione. Ogni creazione e’ fatta sia con cioccolato al latte che fondente. C’e’ cioccolato in scatola, a pezzi, sotto forma di gustosi cioccolatini, c’e’ fudge di ogni sorta, e poi altri orpelli e gingilli tutti di cioccolato. Vorrei dire che anche il registratore di cassa e’ di cioccolato, fondente al 99% forse. L’unica cosa che mi trattiene – Thank you Lord – dall’accendere un mutuo per acquistare tutta la merce del negozio e’ che mi sembra essere un po’ costosetto. Non posso farlo, devo resistere, e cosi’ faccio. Mi metto una mano sugli occhi e, a tentoni, cerco l’uscita. La guadagno non senza difficolta’, dopo aver buttato giu’ qualche colonna di cioccolato e aver toccato le zinne di qualche avvenente fanciulla (NB. descrizione iperbolica costruita dall’autore). Tornato all’aria aperta, piuttosto fresca, mi metto a pensare a quanti orientali ci siano da ste parti. In effetti, pensandoci bene, avendo una delle Chinatown piu’ grandi del mondo c’e’ poco di cui meravigliarsi. Ma entrare nei negozi del Pier 39, e vedere in ognuno di essi un muso giallo, dai gestori ai commessi, fa un certo che. Sembra una testa di ponte sulla citta’ di San Francisco! Intanto l’ora che mi sono concesso e’ agli sgoccioli, quindi vado a riprendere il mio mezzo e lo muovo nei dintorni, fiducioso di trovare un albergo a pochi soldi. Non so quello che mi aspetta. L’inizio pare positivo, in quanto trovo un albergo rassomigliante uno stile italiano (dettato da non so chi!) con un nome italiano ma dove nessuno dei gestori e’ italiano. Mah. Purtroppo, hanno una camera solo per domani notte. Non posso far altro che fermarla e continuare la mia ricerca. Non potro’ godere della tranquillita’ psicologica di poter disfare la valigia per una notte. Approfittando della grande scoperta – parcheggio gratis per 2 ore, alla faccia di quegli stolti sul Wharf – mi aggiro a piedi nei block vicini. Entro, credo, in 4 hotel e in ognuno di essi, dal piu’ miserabile al piu’ elegante, mi sento dire che non hanno una sola, schifosa camera in quanto in citta’ c’e’ un meeting di Oracle e tutte le strutture alberghiere sono al completo, specialmente in downtown. Parte la consueta sfilza di imprecazioni, che stavolta pero’ ha un destinatario preciso: Oracle. Stupida azienda del cazzo, non comprero’ MAI un loro prodotto. E spero di non avere loro tecnologie nei miei strumenti informatici altrimenti li getto giu’ dalla terrazza. Difatti era da un paio d’ore che vedevo svariate persone con tesserini rossi e bianchi aggirarsi per la citta’, e mi domandavo giusto il motivo di tutto cio’. Ora lo so, e mi fa incazzare. Deluso, arrabbiato, studio un piano di riserva mentre aspetto che il semaforo mi permetta di attraversare la strada. Decido che potrebbe valer la pena di guidare oltre il Golden Gate, nella parte nord di Fisco, dove pare le strutture dovrebbero essere molto meno affollate e i prezzi non assurdi. In piu’, domattina potro’ godermi l’alba – tempo permettendo – dalle colline sopra la citta’. Faccio per aprire le porte della macchina, ma prima decido di informarmi sulla distanza da percorrere presso una coreana sulla quarantina passata che sta portando a spasso il cane. Mi domanda subito da dove vengo, e alla mia risposta – Italia – si fa piu’ interessata. Inizia a dirmi di quando e’ stata dalle nostre parti, di quanto gli piace l’Italia, mi chiede della mia citta’. A me sinceramente non ne puo’ fregar di meno di intrattenere questa conversazione, sto solo pensando al come tirar fuori un posto dove dormire stanotte. E mi sa che il cappello magico oggi non ce l’ho. Invece – sorpresa – proprio la signora mi fornisce la soluzione. Dopo 5 minuti 5 da che avevamo iniziato a parlare, mi propone di dormire a casa sua per la notte, al costo di 60$. Io non so perche’ ma non ci penso due volte e accetto. Non penso che potrei finire sotto le grinfie di un’arrapata signora coreana in prossimita’ della menopausa, con una voglia matta di godersi gli ultimi atti di una vita sessuale attiva con un baldo giovanotto italiano. Non penso che potrei finire invece sotto le grinfie di un eventuale marito, certamente membro della peggior banda mafiosa coreana. Non penso proprio, a nulla, se non a dirle di ritrovarci tra un paio d’ore allo stesso posto per rincasare assieme, stavolta con i bagagli. La saluto. Appena mi giro, abbozzo un sorriso e gli occhi mi si velano di lacrime. Avete presente quell’umidiccio che si forma sugli occhi quando siete cosi’ contenti, ma cosi’ contenti che vi vien da piangere? Ecco, quello. Allargo le mani al cielo e mi dico “Se me ne servisse un’ennesima prova, Dio esiste”. La tipa sembra un po’ scraniata, ripete le cose cento volte, fa un effetto tipo “Mi son drogata 10 minuti fa”, ma non importa. Quel che importa e’ che stanotte paghero’ relativamente pochi soldi per dormire in un posto a 5 minuti a piedi dal Wharf. Fantastico! La notizia mi rende di ottimo umore, e dopo aver mandato a fare in culo un’altra volta Oracle e i suoi addetti, riprendo il mio giro turistico. Torno al Pier 39 dove avevo in precedenza abbandonato la serie infinita di negozi presenti. Ora, indugio con piu’ calma su ognuno di essi. Mentre cammino pero’, quello che potrei chiamare “Il grillo Ministro delle Finanze” della mia coscenza mi si para su una spalla e mi fa notare quanti miliardi non abbia gia’ speso in questa vacanza, soprattutto in cibo. Ah, e la multa di importo ancora sconosciuto. Per quanto mi riguarda, potrebbe ammontare anche all’importo di una finanziaria del Belize. Comunque, riconosco la saggezza del mio collaboratore, e decido di porre un freno alla mia vena spendereccia (alla faccia di chi mi conosce come taccagno: a voi dico, seguitemi in vacanza, poi vediamo chi e’ il taccagno! Dico io, che cazzo c’e’ di bello dove spendere i soldi a Padova?!). Nell’ordine, rinuncio a: nuovi apparel NFL, un corn dog, un frozen yogurt, un pezzo di cioccolato, una stupenda maglietta con due orsi che si inculano sopra la bandiera della California con la scritta “CALIFUCKINFORNIA” (stupenda, ma 19$ piu’ tasse per una maglia cosi’ mi sembrano un po’ tanti!).
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