martedì 8 novembre 2011

Oh Mountain Momma - pt.1

Mountain Momma
Vediamo, dov’ero rimasto.. beh, non posso sbagliarmi! Ovviamente ero rimasto alla colazione! Ce l’ho in mente da un po’, l’ho addirittura programmata mentre ero a casa. Ho visto il posto in internet e non ho potuto fare a meno di includerlo nel viaggio. E’ questo il motivo per cui stamattina, tirandomi su dal letto, apro le tende e poso il mio sguardo su Fresno. Sono qui solo per addentare del cibo, nient’altro. Che meschino, direte. Non avete tutti i torti, ma, com’e’ che dicono.. allo stomaco non si comanda! Verissimo. Mi alzo bene oggi, riposato, contento della bella dormita. Sbrigo le operazioni di messa a punto dei bagagli e della mia persona in quattro e quattr’otto e sono giu’ dalle scale a rendere le chiavi alla reception. Mi metto in macchina alle 7.30, e’ domenica mattina, e mi dirigo verso il Batter Up Pancackes. L’idea mi venne mentre spulciavo in internet un sito contenente tutte le “eating challenges” d’America, divise per stati. Un posto dove puoi trovare locali che offrono hamburger da 2,5 libbre, burritos da 4, sandwich da 3 piedi o bistecche.. no il peso non lo dico, e’ un insulto al mondo bovino. Insomma, una vera miniera di sfide mangerecce pronte per i ciccioni o per i pazzi che desiderano infierire contro il proprio sistema digerente. Li’ mi sono imbattuto in questo locale, che propone un pancackes da 900 grammi circa, da condirsi con 4 ingredienti salati a scelta e da finirsi in 45 minuti. Ho cominciato a capire i miei limiti, quindi non mi sto dirigendo li’ con quest’obiettivo, sarebbe solo uno spreco di soldi (circa 35$ - un po’ troppi per una colazione). Mi sto comunque dirigendo li’ per assaggiare i loro famosi pancackes fatti al momento, con ingredienti scelti e un’ampia gamma di opzioni, che soddisfano tutti i gusti. L’unica volta che ho mangiato pancackes in un posto specializzato – la House of Pancacke – me la son goduta un sacco. Voglio replicare. All’entrata del locale vengo subito accolto da una gnoccona che mi fa accomodare con un sorriso stampato sulle labbra. In questi casi, se la gnoccona in oggetto mi domanda qualcosa, rispondo cose senza senso e con notevole ritardo. Rimango ammaliato dalla bellezza che osservo e le frasi escono dalla mia bocca sconnesse e senza tempismo. Dovro’ sembrar loro un pirla. Fortunatamente non mi domanda nulla se non se voglio del caffe’, al che mi e’ facile fare un cenno d’assenso con la testa. Mi salvo in calcio d’angolo, e dopo essermi ripreso dalla bambola temporanea, inizio a sfogliare il menu. Che potensa. Pancackes in ogni salsa, dolci, salati, dolci e salati, e poi omelettes, burritos, sandwiches. Un paradiso. Non mi faccio distrarre dalle altre creazioni, scelgo il mio cibo e mi reco alla cassa per ordinare (curioso). Il ragazzo, anch’egli giovane come la cameriera gnocca (sembra che qui tutti gli impiegati – cuochi a parte – vengano dal college. Non gli do piu’ di una ventina d’anni.) mi chiede cosa voglio. Io replico “A Sundae PancackeS”. Poi mi chiede se voglio singola o doppia razione di pancackes. Io, impavido, punto la doppia. Lui strabuzza gli occhi e mi chiede “Sei sicuro?”. Eh certo ragazzo, perche’ mai non dovrei esserlo? Mi spiega che e’ veramente tanta roba, e che lui nonn e’ riuscito a finirlo ad esempio, che ti uccide prima. Io lo ringrazio per il consiglio, gli dico che ne terro’ conto, ma che per ora continuo sulla mia strada. Pagando, gli do il via libera, ricevendo la sua stima. Mi accomodo al tavolo, un divanetto imbottito stile diners anni ’60, alla Fonzy, e sorseggiando il caffe’ leggo a proposito dello sciroppo d’acero, mentre aspetto. Vengo a sapere che esso e’ cosi’ costoso (diciamo tra i 6 e gli 8 dollari per 150-200ml circa) perche’ ci vuole la produzione annuale di succo di 4 alberi per ottenere un litro di sciroppo d’acero. Vuol dire che ogni milione di alberi d’acero produce 250mila litri di sciroppo all’anno. In America, secondo le mie stime, in un posto come questo, ogni giorno, vengono consumati dai 2 ai 4 litri di sciroppo. Fate un po’ voi il resto dei calcoli, se avete voglia, e ragionate sull’opportunita’ o meno di acquistare sciroppo d’acero diluito anziche’ puro. Mentre mi diverto a fare supposizioni del genere, arriva la bomba. Mi viene servita su un bel piattone e portata dalla gnoccona di prima. Stavolta non bado a lei pero’, ma al mio pancacke. Sono 4 strati, e sono ornati da una grossa palla di gelato alla vaniglia, da top all’amarena e da quelle caramelline minuscole tutte colorate che servono per decorare i dolci – che qui chiamano sprinkles. E’ una meraviglia, e devo farci una foto. Poi pero’, devo anche mangiarlo. Al primo morso, il giudizio e’ univoco: sublime, uno dei pancackes piu’ buoni che abbia mai mangiato. Se mi chiedete il giudizio sull’ultimo morso, ecco forse risponderei qualcosa come assassino. Ma andiamo avanti. Mentre mangio lanciato i primi bocconi, e assaporo ogni singolo gusto, passa un signore di mezz’eta’, robusto, che mi dice qualcosa tipo “Com’e’ mangiare una roba del genere?”. Da quelle parole capisco definitivamente che non devo aver scelto l’avversario piu’ facile, anzi. Mi sto misurando con un ottimo sfidante. Perche’ ogni pasto e’ una sfida, qui. E mangia e mangia, alla fine arrivo al livello in cui il cibo mi esce dalla bocca quando tento di ficcarlo dentro. Appendo la forchetta al chiodo, mi detergo le labbra e metto la parola fine su questo sporco, ma dolce, discorso. Avanzo un pezzo di pancackes di circa 6x9 cm (pensate a quanto fosse grande da intero!), e la cameriera, vedendolo, mi fa i complimenti per quanto fossi riuscito a mangiare. Incredibile. Avanzo cosi’ tanto e sono celebrato per l’impresa? Addirittura, che pochi arrivano fino a quel punto? Mah, stavolta pero’ non mi faccio troppi problemi e accetto i complimenti profusi. Eh, mi saro’ allenato a colpi di bacon & sausage per qualcosa no?! Faccio scattare dalla cameriera gnocca una foto celebrativa con me, il tipo alla cassa e un paio di altre cameriere – la gnocca e’ troppo gnocca per essere immortalata con la maglietta da lavoro, fuck. E non sa neanche fare una foto decente, tutta biancastra. Stendiamo un velo pietoso. Esco in volata verso la macchina, che ho gia’ perso troppo tempo con questa pantagruelica colazione. Dopo un pieno di benzene prendo la mia via verso l’ultimo parco nazionale della mia vacanza, il secondo piu’ atteso: Yosemite. La gente ne parla molto bene, ed anche se visitarlo in ottobre non e’ il massimo, offre comunque un sacco di spunti naturalistici. Sono ansioso di carpirne i segreti e gli aspetti piu’ belli. Guido tra le varie highway verso Nord, seguendo le indicazioni per il parco, e stando attento a non sforare i limiti. Di multe ne ho gia’ abbastanza. Il bello – anzi l’assurdo – e’ che se io rispetto i limiti, l’80% delle macchine mi supera. Da cui deduco che o io mio odometer e’ tarato con il culo, o l’80% della gente qui supera i limiti. E si becca multe? Non mi e’ dato a saperlo, anche se potrei pensare di documentarmi in merito. L’unica cosa che so e’ che l’unica volta in cui ho superato il limite di piu’ di 5 miglia orarie, mi son beccato una bella multa. Dannazione. Dopo un paio d’ore raggiungo il parco e mi immergo subito nelle foreste che lo caratterizzano. A sud, nel parco, si trova Wawona, con il Tunnel Tree e qualche altra peculiarita’, come il vecchio Wawona hotel che unisce un setting incantato a parecchi decenni di vita, che ne fanno un posto rustico ma raffinato dove trascorrere qualche giorno in montagna. Il Tunnel Tree e’ un’attrazione che mi sono segnato come “da visitare” prima di partire. Non ci sono ore da perderci, quanto piuttosto pochi minuti. Altro non e’ che una vecchia sequoia gigante che, come dice il nome, venne perforata alla base per rendere possibile il passaggio delle automobili. Questo avveniva nel lontano 1881, e porto’ fama ulteriore al parco di Yosemite (pronuncia YO-SE-MI-DI), attirando turisti smaniosi di provare la non comune esprienza di guidare un automobile attraverso un albero – e che albero! Purtroppo compiendo un’opera cosi’, l’albero designato va incontro alla morte. Prima o poi si indebolisce, anche se forse piu’ poi che prima. Nel caso del Tunnel Tree, o Wawona Tunnel Tree, la causa della caduta dell’albero fu non solo la sua morte, ma soprattutto un enorme cumulo di neve sulla sua enorme massa di rami e foglie. Si calcola che quasi due tonnellate di neve fecero cadere infine l’albero, nel 1969. Ora esso giace ancora immobile, nel parco, a testimoniare cosa comporta la stupidita’ umana. E ad attirare ancora tanti turisti che, come me, vogliono vedere l’enormita’ delle radici di una sequoia gigante. I miei piani pero’ vengono ancora scombussolati, perche’ improvvisamente realizzo che andare fin laggiu’ mi comporterebbe una perdita di tempo notevole, che preferirei impiegare piuttosto nell’esplorazione delle parti piu’ salienti del parco, o in qualche camminata. Dopo una consultazione con un ranger li a Wawona, che mi fornisce delucidazioni sui tempi di percorrenza delle strade del parco – cavolo, sembra poca la strada ma ci metti un sacco di tempo! – decido di partire subito per Glacier Road, la prossima meta. Abbandono definitivamente le sequoie in questo mio viaggio: non ci ho fatto magiche camminate solitarie, ispiranti, anche se ho percepito la spiritualita’ che questi boschi emanano. Non ho speso minuti ad “abbracciare” gli alberi, toccarli, vederli da piu’ vicino. No, non ho fatto quel che pensavo avrei fatto. Ma un giorno ci tornero’, e me la prendero’ con piu’ calma. Per il momento appunto, guido la Glacier Road, una deviazione verso l’interno del parco che, nell’arco di 45 minuti circa ti porta a Glacier Point. Da qui si gode di una fantastica vista sullo Yosemite Creek, oltre che sui monti circostanti. Pare ci sia anche, da qualche parte (io non lo vedo) uno spuntone di roccia che si staglia oltre l’orlo del precipizio, e dove parecchi pazzoidi ogni tanto – spesso anche nel passato – provano qualche numero, del tipo stare in equilibrio su 3 sedie instabili o qualcosa del genere. Insomma, rischiano la vita in un posto scenico in un parco nazionale bellissimo. Brividi! Non mi trattengo tanto a Glacier Point, anche perche’, dato il facile accesso, c’e’ parecchia gente. Preferisco piuttosto fermarmi, lungo il ritorno, alla pista che porta ad Olmsted Point. Una camminata di un paio d’ore che, come consuetudine, polverizzo in decisamente meno tempo. Arrivo in cime al dome e assaporo il panorama. Intanto, cos’e’ un dome? Non lo so, scientificamente. Credo sia sempre una montagna, quel che cambia e’ la sua forma ho idea. Non terminano con la classica punta aguzza dei monti. Piuttosto, finiscono per tondeggiare in cima, per poi spesso cadere bruscamente dall’altro lato. Sembra che sia una montagna che, come fosse fatta di fango, sia stata accarezzata con decisione quando il fango era ancora secco. L’effetto e’ questo: un declivo che scende regolarmente, non troppo aspramente da una parte, una cima tondeggiante e un ripidissimo precipizio dall’altra. Questo sembra essere un dome. E qui, a Yosemite, ci sono un sacco di dome. E’ la patria dei dome. E se ne vedono parecchi anche qui da Olmsted Point. Il piu’ spettacolare chiaramente, Half Dome. El Capitan, il piu’ ambito. Gli scalatori arrivano da ogni parte degli U.S.A. per conquistare queste montagne, che ad inizio secolo rappresentavano, con le loro pareti quasi perpendicolari e lisce, una sfida terribile mentre ora vengono scalate in un paio d’ore. Che progressi vero? Mentre giro su me’ stesso per ottenere il massimo da questo panorama a 360 gradi sul parco, e mi sento sul tetto d’America, butto l’occhio su un altro famoso albero di Yosemite. L’Olmsted tree, un vecchio tronco raggrinzito di un ex-albero, giace disteso sulla roccia bianca della vetta. Non e’ particolarmente bello, ne’ grande. Pare pero’ che sia uno degli alberi piu’ fotografati del mondo, l’ho letto da qualche parte. Sinceramente non riesco a darmi una plausibile spiegazione per tutto cio’, o forse individuo l’unica ragione nel fatto che il luogo sia molto battuto e molti scattino una foto al tronco d’albero. Crea un bel contrasto, fa da tramite fra il cielo blu e la nuda roccia, biancastra. Tutto qua. E dopo essermi aggiunto alla cerchia dei milioni che fotografano quell’albero, e ai milioni che si possono girare sui propri piedi e vedere, a 360 gradi, solo montagne, dome, cascate e foreste, dopo aver fatto tutto cio’, tiro un sospiro di soddisfazione, carico di soddisfazione, e mi avvio verso il parcheggio, corricchiando. Rischio di spezzarmi una caviglia mentre appoggio distrattamente un piede su una grossa radice, ma la dea bendata e’ dalla mia oggi e mi salvo fortunosamente. Ho ancora tante strade da camminare di fronte a me. In parcheggio odo un corvazzo (raven) emettere un suono stupido, buffo, diverso dal consueto gracchiare che si ode di solito. Lo imito schernendolo. E il pirla pare rispondermi, anche! Divertito, guido l’intera strada di Glacier Point all’indietro, per tornare sulla via principale che porta a Tunnel View e alla Yosemite Valley poi. Ho gia’ avuto un buon assaggio del parco, ma per quanto avevo letto gia’ a casa mi son fatto un’idea precisa: il meglio lo si ha piu’ a nord che si va (gran rima, peraltro). E il marker che definisce il vero, il definitivo ingresso nel parco di Yosemite lo scandisce indubbiamente Tunnel View. Il nome e’ scontato, come spessissimo capita con i nomi dati in territorio americano. Infatti, un paese che sorge a dieci miglia da una grossa cascata, si chiamera’ Big Falls. Uno che sorge ai piedi di una catena montuosa, si chiamera’ Foothills City. Uno locato in prossimita’ di una spiaggia con abbondanti palme, Palm Beach City. Ah, un lago frequentato da caribou ad esempio, ovviamente si chiama Caribou Lake. Di qui, provate a cercare Bear Lake negli USA. Ne troverete 2-3 per stato! E nemmeno i canadesi son poi cosi’ fantasiosi! Dicevo, Tunnel View. Il nome deriva dal fatto che per immergersi nella Yosemite Valley il turista deve guidare attraverso una galleria scavata nella montagna, alla cui uscita si trova di fronte anzitutto ad una ressa di turisti, pullman, auto e moto che raramente ha visto in vita sua in uno spazio cosi’ angusto. Poi, oltre alla marmaglia, alla vista “piu’ fotografata del mondo”. Cosi’ e’ descritto lo spettacolo che si apre di fronte agli occhi della gente, la Yosemite Valley in tutto il suo splendore, con lussureggianti foreste, Half Dome, El Capitan e Bridalveil Falls, tutti presenti a comporre uno dei quadri piu’ belli che Madre Natura abbia dipinto. Puoi rimanere ore ad ammirarlo. Ogni parte della giornata lo rende diverso. Il tramonto e’ scenico, l’alba quasi surreale, la neve aggiunge un pizzico di magico al tutto. Non fosse per la commercialita’ del posto – questi sono i pro ed i contro del massiccio turismo dei nostri tempi – sarebbe veramente unico, sublime. Mi accontento di uno sguardo, qualche foto, poi torno a cercare qualche sentiero dove isolarmi un po’. Non amo il turismo giappo-way.

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