venerdì 25 novembre 2011
"..Cruising down Big Sur.." - pt.2
Rimango parecchi minuti a contemplare l’immensita’ che ho davanti, la forza delle onde che su questa larga spiaggia che osservo si trascinano a riva fino ad esaurirsi in una lunga cortina spumosa. Mi vengono in mente quelle volte in cui, alla tv, sento parlare di onde alte 10-15, addirittura 20 metri che distruggono tutto cio’ che incontrano. Gli tsunami, no? Io ascolto queste notizie piuttosto scettico, incredulo al pensiero che un onda marina possa essere alta come il palazzo in cui abito. Ebbene, solo ora capisco. Ora che mi trovo, in una giornata piatta, soleggiata e in assenza di vento – c’e’ solo l’immancabile brezza oceanica che mai potra’ assentarsi – a vedere onde di un paio di metri, capisco che quando le forze della natura si scatenano, non dev’essercene per nessuno. Come San Tommaso, ora ho visto e credo. In altre occasioni, per inciso, spero di poter credere anche senza dover per forza vedere, caro Tommaso! Tornando a Big Sur, continuo a meravigliarmi della natura che mi circonda. Se alla mia destra ho lo sconfinato oceano Pacifico e i suoi flutti, alla mia sinistra ho verdi colline che a volte son macchiate da qualche sporadico arbusto, da una piccola foresta, o dalla casa di qualche fortunato che – comprensibilmente – ha voluto muoversi fin qui per passare la vecchiaia in un posto decisamente delizioso. La strada si snoda lungo la costa fra dirupi, canyon e ponti che si sposano perfettamente con l’ambiente naturale, senza rovinarlo o degradarlo. I fiori, che spesso si incontrano anche in questa stagione, sono gialli, rossi, arancioni e bianchi, e contribuiscono nel loro piccolo a colorare ancor piu’ la scena. Guidare e’ un vero piacere. Senza fretta, senza l’assillo di dover per forza essere in un certo posto ad una determinata ora. Per quanto mi riguarda, potrei anche trovarmi a passar la notte nel bel mezzo della regione, in macchina, senza cibo. Tutto sommato, non sarebbe poi cosi’ brutto. Forse addirittura ne trarrei beneficio! Un luogo dove pero’ non posso (o non voglio) avventurarmi e’ la strada che dalla 1 svolta ad est verso Paso Robles, una strada tortuosa che si inerpica verso l’interno dei monti centrali e porta alla cittadina di Paso Robles appunto. Devono esserci dei gran begli scorci da quelle parti, e forse la natura risulterebbe ancor piu’ selvaggia, piu’ “The Last World”. Pero’, io che sono quello dei “rischi calcolati”, non mi accingo a dirigermi verso mete sconosciute, potenzialmente irraggiungibili e soprattutto all’imbrunire perche’ potrei rischiare di trovarmi in mezzo ai coyote e ai puma nel cuore della notte. Continuo sulla 1. Una cosa che mi si palesa altrettanto rapidamente e’ l’abbondanza di fauna. Avvisto, giusto sotto una curva che compie la strada, una piccola baia letteralmente ricoperta di elefanti marini. Mi avventuro in mezzo alla sabbia per fare qualche bella foto. Sono veramente tanti! Tutti assiepati su 5 metri di sabbia, a dormire, sonnecchiare, o giocare animatamente. Alcuni sono in acqua a procacciarsi del cibo. Quando sbadigliano, si intravedono i grossi denti che questi all’apparenza innocui animali sembrano non possedere. Piu’ in la’, dove l’oceano di apre, alcuni pellicani sorvolano le proprie prede acquatiche. Improvvisamente, eccoli tuffarsi “a chiodo”, aerodinamici, ali chiuse, verso il pesce che hanno individuato. In un attimo, l’uccello e’ in acqua con un pesce nel becco. Anche qui, non so perche’, ma e’ quasi ammaliante fissare questi uccelli mentre perlustrano le acque alla ricerca di un pesce, compiendo una sorta di dietro-front ogni 10-15 secondi, tornando indietro fino a quando l’obiettivo non e’ nel mirino. A quel punto, scatta l’attacco. Io vorrei provare invece a scattare una foto ma la lontananza del bersaglio e la complicita’ della luce ormai calante renderebbero l’impresa ardua. Mi concentro solo sulle bellezze che mi circondano. Scendendo verso sud, incontro sulla mia strada il paesino di Big Sur, un ammasso comunque modesto di motels e B&B, grazioso, non eccentrico ne’ eccessivo. Sempre sulla strada, incrocio dei campgrounds magnifici: erba verdissima e tagliata come fosse un campo da calcio, piazzole linde, panche bianche come quelle di una residenza presidenziale. In piu’, la bellezza inqualificabile dell’oceano dove tramonta il sole. Un sogno. Rimpiango di aver gia’ venduto il sacco a pelo e di non avere piu’ tarps. Le notti qui, a sensazione, devono essere piuttosto umide. Un’altra cosa che mi colpisce e’ l’abbondanza di quelli che io chiamo (ormai e’ un marchio di fabbrica), “rapaciazzi”. E’ pieno di rapaci ovunque: sugli alberi, in volo, per terra, sulle staccionate. Ovunque si giri lo sguardo si intravede qualcosa di piumato e piuttosto grosso. E poi, non solo rapaci, anche tanti altri pennuti di specie non identificabili, data la mia scarsa conoscenza in materia. E’ da tanto tempo che desidero acquistare una field guide o, ancor meglio, un libro della Audubon Society per erudirmi in merito ai volatili americani, ma non ho mai voglia di sborsare 25-28$ per un libro che, lo so, guarderei solo a colazione per le immagini colorate. Come un bambino. Come facevo da bambino: solo che all’epoca leggevo Topolino (cosa che peraltro faccio ancheadesso, saltuariamente). A proposito di rapaciazzi invece, volevo spezzare una lancia contro l’Irlanda, mia scorsa meta di viaggio. Ricordo benissimo le guide consultate che la dipingevano come un “paradiso del birdwatching”. Non faro’ il nome della guida per evitare di gettarvi discredito. Ma per Diana, l’Irlanda e’ tutt’altro che un paradiso del birdwatching! Vedere un rapace da quelle parti e’ come vedere un cammello alle Hawaii! Non ho una foto di tali creature tra 700 scatti presi in dieci giorni, a riprova. Questo, il Big Sur, puo’ dirsi un paradiso, soprattutto per quel che io chiamerei “rapaciaz-watching”. Here it’s amazing. Purtroppo, non ho tempo da perdere in appostamenti, scatti e quant’altro, e sapendo che gli ultimi sprazzi di luce mi varranno solo una bella foto del tramonto sul mare, lascio perdere i pennuti e cerco un bello spot dove godermi il sole che si inabissa sull’oceano. Lo trovo poco piu’ avanti sulla strada, in una piazzola dove mi fermo dopo che un poliziotto (e daje! Non vedo l’ora che finisca questo viaggio solo perche’ ne ho abbastanza di sentirmi un fuorilegge per qualsiasi cosa faccio!) mi aveva intimato di spostare la macchina in un baleno altrimenti mi avrebbe fatto una multa. La contravvenzione? Avevo lasciato la macchina per due minuti contromano MA a lato della strada, stavolta senza invadere la carreggiata. Bah, ormai ho rinunciato a guidare come si deve, tanto qualsiasi cosa faccio pare non vada bene. Mi sento braccato dalla legge. Mi conforta solo il caldo colore del tramonto oceanico. E’ l’imbrunire, e sono ancora beatamente in maniche corte. Immortalo un soggetto un po’ atipico, un gabbiano particolarmente a suo agio con i servizi fotografici a quanto pare, con il sole che, alle sue spalle, scende sotto le nuvole all’orizzonte. Mi giro verso sinistra e, magicamente, l’arcobaleno. La scena e’ idilliaca, di quelle che trovi dipinte solo in quadri esposti nei musei piu’ blasonati. Da una parte il blu dell’oceano, chiazzato di bianco dalla spuma delle onde. Dall’altra, il marrone scuro della nuda roccia e quello un po’ piu’ chiaro della terra, frastagliata, irregolare. Nel mezzo, non convenzionale, quasi verticale, un forte e ben definito arcobaleno, che quasi non arriva a lambire le acque. Un’immagine quasi irripetibile, di quelle che madre natura ci fa ammirare per pochi secondi soltanto, effimere. Un effetto tipo anteprima, come se stesse a dirti “Guarda un attimo qui, ma non dirlo a nessuno!”. Mi sento ancora una volta fortunato, graziato, dunque contento. Ho i brividi che mi corrono lungo la schiena mentre, con mano poco ferma per l’emozione, immortalo la scena. O almeno, ci provo, perche’ la maestria di madre natura non e’ immortalabile nemmeno da l piu’ bravo dei fotografi, tenetevelo bene in mente! Come un lupo di mare, piedi ben fissi su uno scoglio, scruto un’ultima volta l’arcobaleno che si dissolve all’orizzonte, inarco le labbra e annuisco col capo in segno di approvazione, e, realizzato, torno in macchina per l’ultimo, felice pezzo di strada. Questi momenti non si comprano. Quel che puoi comprare, al massimo, e’ un passaggio in aereo verso posti dove essi possono essere vissuti. Questo e’ quel che io credo di fare, adesso. E non mi stanchero’ mai di ripeterlo, non esiste a parer mio un modo migliore di spendere il denaro. Non esiste. La beneficenza e’ un’altra cosa, e in quanto a nobilta’ la cosa non si discute. Ma in quanto a comprare qualcosa, ecco, non c’e’ eguale. Una macchina non ti soddisfera’ mai altrettanto! Mi accontento della mia CuboCar per continuare lungo la 1 e scendere fino a Cambria, localita’ incastonata fra le colline che io trovo amabile. Assolutamente imperdibile. A prima vista, e credo anche a seconda, finisce dritta nella mia momentanea top 10 delle small towns in cui vorrei vivere. Cambria, California. Un villaggio di 6000 abitanti che sorge lungo la strada, protetta dalle colline e da fitti boschi che fanno sentire un po’ sicuri, danno una sensazione paragonabile al “calduccio” delle coperte in inverno. Poco distante, la spiaggia, bianca, assolata. Coyote e cervi visitano il paese, ogni tanto. La Main Street e’ tutta un negozio, una bottega, la casa del medico. I parcheggi sono fronte strada. Nessun WalMart, MostroMart o MegaShop qui. Nessun segno di megalomanie stile WestCoast, nessuna robaccia per turisti. Un semplice borgo vecchio stile, cosa che non posso fare a meno di amare. Ci guido attraverso per venti secondi, ma mi sembra di averci passato gli ultimi 6 mesi, a Cambria. Ci tornero’, spero. Un’altro posticino carino e’ la citta’ seguente, Morro Bay. La citta’ – 14.000 abitanti circa – prende il nome dalla grossa, possente roccia che si staglia sulla spiaggia di fronte, Morro Rock, appunto. Una roccia alta 177 metri che sa tanto da isola sperduta, stile Jurassic Park (troppe cose Jurassic style quest’oggi), e che all’alba e al tramonto e’ semplicemente bellissima. Sara’, forse, solo un rifugio per uccelli, coperto di feci d’uccello e penne d’uccello, ma visto dalla spiaggia al calar del sole e’ stupenda. Noto, e non serve che mi dia molte spiegazioni del fenomeno, che il 95% delle case piu’ prossime alla spiaggia ha una terrazza panoramica, con varie sdraio annesse. Con un panorama cosi’, credo che nessun abitante della citta’ voglia negarsi il piacere di rientrare da lavoro, accomodarsi sulla sua sdraio, un drink in mano, magar un bel libro, e godersi lo spettacolo del tramonto sull’oceano e la Morro Rock. Non sapete quanto invidio quelle persone. So che e’ una brutta cosa, l’invidia, ma vogliate perdonarmi, voi tutti. Quando passerete da quelle parti, forse capirete cio’ che intendo dire. Passo oltre Morro Bay, la sua roccia, le sue case con ampie finestre panoramiche e terrazze armate di sdraio, la sua via principale ampia e ornata di motel, e faccio le ultime miglia fino a San Luis Obispo. Non c’e’ nulla di carino qui, al contrario delle cittadine precedenti. E’ piu’ grossa, piu’ caotica, meno scenografica. Anzi il mare non si vede neanche di striscio. Se qualcuno si domandera’ perche’ abbia voluto fermarmi qua, ebbene, la ragione e’ presto detta: spero di trovare posti a dormire piu’ facilmente e a prezzi piu’ economici. Anche se trovare un motel qui in giro sembra un’impresa di non poco conto. C’e’ una festa giu’ in paese e molte strade mi sono precluse. Quelle che guido io sono ovviamente prive di alcuna struttura ricettiva. Non vedo le solite insegne luminose di motel e hotel (sto iniziando a pensare che di notte le spengano per complicarmi il compito, stronzi bastardi). Deciso a tornare indietro e ripercorrere tutta la Main dall’inizio alla fine, mi imbatto in un motel a lato della strada con un’insegna verdognola. Non ci penso due volte e giro bruscamente, guadagnando il parcheggio. Alla reception trovo una giovane ragazza indiana di nome Karamjit, con cui anche se son parecchio stanco parlo un po’. Le parlo del mio viaggio che aime’, sta finendo, di come sto viaggiando da solo, di quanto mi sia finora divertito. Le chiedo la password per usare internet e alla fine, ci scambiamo il contatto Facebook. “Dammi 5 minuti che salgo in camera, mi connetto, e ti confermo l’amicizia”, le dico! E cosi’ faccio. Dopo una giornata quantomai mutevole, ricca di imprevisti, di bellezze, di momenti gloriosi, sono pronto a coricarmi per il mio penultimo riposo americano. Sono contento di aver incontrato Karamjit: nonostante il tempo che abbiamo passato assieme si possa quantificare in 10 minuti – e nonostante non mi abbia fatto sconti sulla camera! (scherzo!) – questa semplice conversazione mi ha reso di ottimo umore. Queste sono le persone che servono mentre viaggi da solo, quelle che anche se sei stanco, o triste, o nostalgico, ti fanno tornare sereno con una bella risata o con un po’ di sana, semplice buona compagnia. Queste sono quelle persone che cito come esempio alle persone che mi chiedono “Ma non ti annoi a viaggiare da solo?”. No, in realta’, ho tanti amici diversi, giorno dopo giorno. E piu’ divertente che mai! Vado a dormire oggi, 6 ottobre, con il Big Sur nel cuore.
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